Il ritorno della Valchiria
di Stefano Ceccarelli
Ritorna Die Walküre di Richard Wagner al Teatro dell’Opera di Roma, anche se solo il I atto, in forma di concerto. A dirigerlo è Omer Meir Wellber; i tre interpreti sono Stanislas De Barbeyrac (Siegmund), Allison Oakes (Sieglinde) e Brindley Sherrat (Hunding).
ROMA, 6 ottobre 2023 – Il pubblico romano deve andare indietro di molti decenni per ricordarsi una Walküre al Costanzi in formaintegrale, compresa di scene e costumi. Era, infatti, il 1966 e dirigeva Eugen Jochum; le tre recite del 1999, invece, erano in forma di concerto, sotto la splendida bacchetta di Giuseppe Sinopoli. Insomma, è passato veramente molto tempo e questo concerto, il I atto di Die Walküre, non può che giungere gradito: un preludio, magari, ad un progetto di ripresa dell’intero Der Ring des Nibelungen, che si spera la direzione artistica del Costanzi, prima o poi, si impegni a riportare a Roma.
Per ora accontentiamoci del I atto di Die Walküre in forma di concerto. La direzione è affidata a Omer Meir Wellber, che offre, nelle note di sala, anche un’interessante discussione sul suo personale rapporto con Wagner. Wellber è israeliano e nel suo paese natale l’esecuzione della musica wagneriana è vietata; ciò porta ad una sorta di apparente conflitto fra l’identità del direttore e la musica diretta, che Wellber risolve, però, allargando la discussione a condivisibili posizioni sulla cancel culture in generale. Ma veniamo all’esecuzione del concerto. Wellber si mostra subito energico, spedito, fin dal palpitante attacco del I atto: una corsa frenetica, in una notte burrascosa, ben sottolineata non solo dalle vibranti sferzate degli archi, ma anche dagli interventi degli ottoni. Wellber dà vita ai colori più autentici della partitura, scavando nelle parti dei personaggi e dando quel ruolo protagonistico che l’orchestra viene ad avere nella produzione wagneriana. In tal senso, notevole è il lavoro che riesce a fare con le maestranze del Costanzi: l’orchestra suona nitida, piena, sorreggendo un fraseggiare dei cantanti sovente stentoreo, scultoreo (si pensi alla parte di Hunding). Una particolare nota di merito va tributata agli ottoni, che vengono spesso da Wagner portati al limite delle loro naturali possibilità esecutive, per ottenere un suono carnalmente epico. Ma Wellber sa leggere con la dovuta soffusa dolcezza, mista però ad un colore quasi mai limpidamente chiaro (il che è un tratto tipico di Wagner), anche le frasi più liriche della scrittura wagneriana, come le prime battute fra Siegmund e Sieglinde.
La parte di Siegmund è interpretata da Stanislas de Barbeyrac, tenore che si è affacciato ai ruoli wagneriani da poco e che, sulla carta, per il repertorio finora intrapreso non si presenterebbe come un ideale Siegmund. Eppure, proprio come argomenta Wellber nelle note di sala, l’interprete riesce perfettamente nella parte, mostrando anzi un canto deciso e centrato nel fraseggio, donando smalto alle sezioni più liriche, che sono il suo pane quotidiano. L’attacco a fior di labbra del celebre «Winterstürme wichen / dem Wonnemond», il momento più lirico dell’intero I atto, riesce magnificamente: la voce si schiarisce e, limpidamente, esegue l’arioso che evoca un’erotica primavera, pronuba all’incesto dei due fratelli. Un esempio smagliante delle qualità drammatiche di de Barbeyrac si trova, in particolare, nello stentoreo fraseggio che accompagna l’estrazione della spada Notung, quando la corda del tenore è portata ad un limite oltre il quale difficilmente si può andare e l’orchestra, slanciata da Wellber, vibra di ruggente potenza.
Brindley Sherratt canta un Hunding potente, implacabile. Sherratt, che possiede una voce squillante, cavernosa, scura, esegue perfettamente un ruolo che ben conosce e che ha già interpretato più volte. Il suo Hunding sovrasta l’orchestra con smagliante facilità, trasmettendo quella violenta paura connaturata al personaggio.
La parte di Sieglinde è cantata da Allison Oakes, soprano dal pedigree decisamente wagneriano (ha già cantato non solo Sieglinde, ma anche Brünnhilde). La voce chiara, tersa, penetrante, ma pure morbida, soprattutto nella prima parte dell’atto, quando Sieglinde appare interdetta, cauta, sottomessa al marito Hunding. Scopriamo le sue autentiche potenzialità vocali nell’arioso del racconto del suo ratto e della spada da Wotan conficcata nel tronco di un frassino, sotto le mentite spoglie di un mendicante («Eine Waffe lass mich / dir weisen»). Stupendo è il duetto d’amore che chiude l’atto, uno dei più belli mai scritti. Wellber armonizza magistralmente il tenore lirico dei passaggi con l’intenso crescendo che conduce (come spesso in Wagner) all’apoteosi finale. De Barbeyrac e la Oakes si trovano in perfetta armonia, tanto che alla fine dell’atto scatta un applauso fragoroso, cui seguono diverse chiamate alla ribalta per gli interpreti. Una nota commovente: la Oakes, evidentemente sopraffatta (come tutti noi) dalla bellezza della musica wagneriana, non può nascondere qualche lacrima, che si deterge mentre viene a prendersi, assieme ai colleghi, al direttore ed all’orchestra tutta, i meritati applausi.