L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La tragedia di Romeo e Giulietta

di Stefano Ceccarelli

All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia Daniele Gatti porta un programma tutto basato sulla celebre pièce shakespeariana: l’Ouverture-fantasia di Čajkovskij e un’antologia di pezzi dalle due Suite del balletto Romeo e Giulietta di Prokof’ev. In mezzo, le Variazioni su un tema rococò di Čajkovskij, splendidamente eseguite, per la parte solistica, da Pablo Ferrández.

ROMA, 24 marzo 2023 – The Most Excellente and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet di W. Shakespeareè di quei capolavori nati dall’evoluzione secolare di una storia archetipica: l’amore di due giovani contrastato dalla rivalità politica di due famiglie. Uno di quei temi che ebbero tanta fortuna nel secolo in cui la borghesia si irrigidì in un’ostentata austerità morale, cioè l’Ottocento, tanto da trovare una sorta di sfogo nelle struggenti storie di Liebestod che affastellano tanto i romanzi quando le opere teatrali dell’epoca. Non stupisce, dunque, che una persona sensibilissima al tema dell’eros, e soprattutto quando sia impossibile, come Pëtr Il’ič Čajkovskij, sia rimasto affascinato dalla storia, tanto da scrivere un Romeo e Giulietta, Ouverture-fantasia in si minore, con cui il meastro Daniele Gatti apre il concerto odierno, quasi tutto incentrato sulla tragedia shakespeariana. La direzione di Gatti è ordinata, molto attenta a valorizzare le varie sezioni della partitura; più che sottolineare incessantemente l’espressione dei vari passaggi, Gatti mira piuttosto a rendere chiara l’architettura generale, dando un focus sulle varie componenti strumentali e preparando con attenzione i momenti di sfogo del discorso musicale, le varie Spannung narrative delle sezioni. Più che bozzettistica, dunque, la sua direzione è narrativa. L’orchestra risponde magnificamente in tutte le sue componenti: del resto, Gatti ha un eccellente feeling con le maestranze dell’Accademia. La resa del Romeo e Giulietta čajkovskijano è eccellente, partendo dall’introduzione, elegiaca e medievaleggiante, allungata dall’agogica di Gatti, che stringe poi nei passaggi più turbati, fino a sciogliere l’orchestra (ma sempre controllando attentamente il gesto) nel tema, languente ed amoroso, che fa da centro lirico del pezzo. L’esposizione è drammatica, fino al teatrale finale. La sala esplode in un applauso sonoro: il tributo caloroso del pubblico sarà, del resto, una costante della serata. Secondo pezzo del primo tempo, in realtà slegato dalla Most Excellente and Lamentable Tragedy, sono le Variazioni su un tema rococò il la maggiore per violoncello e orchestra op. 33 sempre di Čajkovskij. Nella parte solista c’è Pablo Ferrández, giovane e talentuoso violoncellista, che delizia il pubblico con uno Stradivari dal suono pieno e turgido. Ottima l’esecuzione orchestrale e la direzione di Gatti, il quale largheggia anche per permettere all’interprete di mettere in mostra le sue doti. Ferrández possiede tutte le qualità che si addicono ad un grande solista: tocco sublime, in grado di produrre filati tenuamente respirati, senso del legato melodico, velocità dei passaggi virtuosistici, musicalità delle frasi. In effetti, tali doti interpretative sono essenziali per leggere piacevolmente queste Variazioni, che da un elegante tema settecentesco delibano tutte le corde del violoncello: si alternano passaggi virtuosistici, veloci, spediti, a momenti più elegiaci, dove Ferrández sfodera un caldo, sensuale vibrato. Le Variazioni si chiudono con una coda rutilante, che scatena il pubblico.

Nel secondo tempo, si ritorna al tema shakespeariano, ancora una volta re-interpretato da un russo: Sergej Prokof’ev, con il celeberrimo balletto Romeo e Giulietta. Gatti sceglie una selezione di pezzi dalle due Suite che il compositore trasse dalla partitura dell’opera. Gatti legge Prokof’ev con piglio intenso, spaginando un’orchestrazione tesa, vibrante, costantemente trascinata da regioni oscure verso squarci di limpido lirismo (in questo, evidentemente, un erede del Čajkovskij appena eseguito). Lancinanti gli accordi dissonanti che aprono la Suite n. 2 op. 64ter, che poi confluiscono nel sinistro valzer di Montecchi e Capuleti: qui l’arte di Gatti si nota tutta, soprattutto nell’abilità di portare il volume orchestrale e la tensione agogica a vette ragguardevoli; i legni dell’orchestra fanno un lavoro stupendo nella breve oasi lirica del Moderato tranquillo. Squisito esce La giovane Giulietta, in cui Gatti gioca con impercettibili rubati, per vivacizzare una scrittura teneramente infantile. Interrompendo lo scorrere della Suite n. 2, Gatti presenta quattro pezzi della Suite n. 1: il Madrigale, dolcissimo nella sua linea melodica, che il direttore carezza lentamente; il Minuetto, ironicamente pomposo, ma tenue nel Trio; Romeo e Giuletta, notturno sospeso, inizialmente eseguito quasi sottovoce dalla giustapposizione delicata delle linee degli archi, che poi si gonfia in una sezione lirica, sostenuta da arcate tese; e, infine, La morte di Tebaldo, dove Gatti esalta la scrittura sinistramente ironica (molto šostakovičana). Ci si riallaccia, quindi, alla Suite n. 2, concludendo con Frate Lorenzo, Romeo e Giulietta prima della separazione e Romeo alla tomba di Giulietta. Nel primo pezzo Gatti crea un’atmosfera ieratica, nel secondo si percepisce fremente l’emozione dei due amanti (il direttore è abilissimo a ravvivare i passaggi screziati del brano), mentre nell’ultimo gli archi intervengono con un canto lancinante, espressione del dolore di Romeo: Gatti espande tutto il sentimento che trasuda dolore. Quando cala la bacchetta, il pubblico applaude calorosamente, testimonianza dell’ottimo lavoro di direttore ed orchestra.


 

 

 
 
 

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