Affinità elettive
di Roberta Pedrotti
Con un concerto al Teatro delle Muse di Ancona si rinnova il rapporto fra Alessandro Bonato e la Filarmonica marchigiana, che s'illumina e dà il meglio di sé in un programma che va da Wagner a Mendelssohn (solista Marco Rizzi) e Brahms.
ANCONA, 20 aprile 2023 - Concerto, sinfonia: l'etimo già ci dice, fra cum latino e syn (συν) greco, che l'idea di unione, di concordia è imprescindibile. L'autorevolezza del direttore non è tale, e il suo ruolo fallisce, se è imposizione e non persuasione, condivisione, se si scandisce il tempo invece di respirare facendo musica insieme con ogni gesto e sguardo. Era un anno, ormai, che Alessandro Bonato non tornava sul podio per un concerto della Filarmonica marchigiana di cui è stato direttore principale fino alla scorsa estate. Una pausa interrotta parzialmente dal Barbiere di Siviglia allo Sferisterio (leggi la recensione), non a caso la miglior prestazione da diversi anni a questa parte dell'orchestra nel festival maceratese.
Ora, finalmente, li ritroviamo insieme per un doppio appuntamento (alle Muse di Ancona il 20 e al Teatro della Fortuna di Fano il 21 aprile) nell'ambito del cartellone degli Amici della musica anconetani. Da come scatta ancora la scintilla e si riaccende l'affinità c'è solo da sperare che il consiglio d'amministrazione superi l'imbarazzante impasse gestionale degli ultimi mesi anche tenendo conto di questo rapporto, che non merita di essere interrotto e disperso.
Bonato ha le idee chiare e ha la tecnica per realizzarle, ma soprattutto ha il carisma nello sguardo, una capacità di comunicazione e di condivisione che sono come il coraggio per Don Abbondio: se uno non lo ha “non se lo può dare”. Bonato ce l'ha eccome, ma questo talento non servirebbe a nulla se non ci fosse la sostanza dell'interprete e del musicista: per questo porta con sé l'orchestra, leader naturale e non tiranno, in un respiro comune.
Il programma si apre con l'Idillio di Sigfrido, il primo Wagner per il maestro veronese, pagina perfetta per mettere in luce il lavoro sul suono, sulle arcate, la coesione di un'orchestra. Qui, però, si va oltre: la cura minuziosa dei pesi, degli scambi fra le diverse voci, la gestione tematica, i dialoghi interni non sono semplicemente un'oasi beata, ma si tendono in una parabola, vibrano internamente di una propulsione narrativa che, raggiunta l'akmé, conclude un movimento ciclico di rinnovata, ipnotica energia. Con ispirata franchezza, Bonato spazza via ogni tentazione compiaciuta o leziosa e sa innervare d'energia la sua lettura senza travisare e travolgere la natura dell'Idillio, anzi, valorizzandone proprio la delicatezza e l'estasi. Il vero artista, d'altra parte, sa bene che la forza di un'idea non risiede mai nel facile effetto.
Da Wagner si passa a Mendelssohn e al Concerto per violino in mi minore. Una pagina che, invece, era già consolidata nel repertorio di direttore e orchestra e che, per esempio, avevamo ammirato nell'autunno del 2021 con loro e Gennaro Cardaropoli solista (leggi la recensione). Oggi la presenza di un violinista dall'approccio affatto differente permette di apprezzare la capacità di entrare in dialogo con diversi interlocutori, adattarsi senza perder sé stessi, accompagnare, sì, il solista ma senza annullarsi di fronte ad esso. La musicalità per certi versi più assertiva di Marco Rizzi, la sua sonorità corposa trova così risposta in un insieme ben tornito e capace di un'intensità e di un volume non trascurabili in rapporto all'organico schierato (nove primi, sette secondi, sei viole, cinque violoncelli e tre contrabbassi). Accenti ben definiti, dinamiche e colori calibrati a dovere entrano in dialogo con il turgore del solista, il quale, familiarizzato con la generosità dell'acustica delle Muse, offre due bis coerenti all'insegna di Bach, del suo legame con Mendelssohn e di una rigogliosa ampiezza d'emissione.
Dopo l'intervallo, la Seconda sinfonia di Brahms presenta finalmente al pubblico una pagina che Bonato e la Form avevano affrontato insieme solo per lo streaming in tempo di pandemia. Il tempo non passa invano e non si può parlare semplicemente di una replica di quanto già eseguito. Anzi, si percepisce un senso di respiro e di saggia libertà che è la misura anche dell'unicità inafferrabile dell'espressione musicale. Il gesto di Bonato, così esatto e così affine al rubato viennese, è chiaro quanto fluido e tale è il fraseggio, dipanato con naturale consequenzialità e affettuosa leggerezza. L'intreccio delle voci ha in sé un moto perpetuo e una cantabilità in cui la dottrina brahmsiana trova esaltazione libera da ogni rigore, senza che la dimensione verticale prevalga sul procedere orizzontale. In particolare colpisce come il direttore mantenga ben distinto e indipendente il controllo del piano agogico e di quello dinamico, sicché il tempo, l'intensità e il colore si plasmino in franca dialettica senza meccaniche corrispondenze, com'è evidente soprattutto negli ultimi due movimenti, in cui, per esempio, l'accelerando può procedere in un suono che via via si espande o si assottiglia, sempre con buon gusto, misura e coerenza.
È indubbio che l'orchestra, con Bonato, si illumini e sfoderi le sue qualità migliori, così come appare evidente la qualità della lettura in cui li coinvolge il maestro, in questo Brahms sfumato, fragrante e, dunque, capace di dare incisività alle ombreggiature più drammatiche e patetiche, in bell'equilibrio con un Mendelssohn d'intelligente romanticismo e un Wagner inaspettatamente narrativo anche nel definire una pura atmosfera.
L'applauso del pubblico anconetano è vibrante, il vicino di posto ci confida la sua soddisfazione per il ritorno di un direttore di questo livello, l'orchestra, soprattutto, ritrova il suo maestro. E speriamo che a concludere queste serate sia un arrivederci a presto.