L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Fuoco sacro

di Antonino Trotta

La vestale chiude la stagione 23/24 del Teatro Municipale di Piacenza e omaggia Spontini nel duecentocinquantesimo anniversario della nascita. Proposta nella sua versione integrale, vede il trionfo dell’onnivora Carmela Remigio nei panni di Julia. Molto bene anche il resto della compagnia di canto, in cui merita menzione il Licinius di Bruno Taddia; non convince ma persuade la messinscena firmata da Gianluca Falaschi, funzionale il lavoro in buca di Alessandro Benigni.

Piacenza, 24 novembre 2024 – Non ce le manda a dire il furente Licinius che, all’inizio del terzo atto, si rivolge alla platea con tono perentorio e indice condannatore: la voragine omicida pronta a inghiottire tanta bellezza siamo noi. Noi, pubblico plaudente, pronto a far saettare le mani solo dopo averle opportunamente intiepidite al fuoco sacro che ogni volta s’accende e arde sul palcoscenico, mai disposto, lo sappiamo bene, a lasciar andare quelle divinità che, per una notte o per un’era, calcano le tavolo di legno sacre e fanno dei palcoscenici di mezzo mondo are su cui spezzare il pane della musica. Non ci richiede molto sforzo, dunque, intravedere nel conflitto che affligge Julia, divisa tra vocazione spirituale e contingenza personale, un parallelismo con la storia della divina Maria Callas, che, oltre al segno indelebile lasciato nel ruolo, ha alimentato l’immaginario collettivo con quell’inarrestabile turbinio di trionfi e vicissitudini che l’hanno resa popolare ben oltre i velluti rossi delle sale.

Nell’arrischiarsi in tale impresa Gianluca Falaschi, che di questo nuovo allestimento di Vestale cura regia, costumi e scene, erige sul palco un tempio in cui i protagonisti non sono i personaggi in sé ma i ricordi e le emozioni recondite che abitano la mente della sacerdotessa del canto. Nella libertà concessa dall’inafferrabilità del pensiero umano, ecco allora la narrazione farsi strada tra suggestive proiezioni e lampanti citazioni – il costume di Zuffi, simulacro della perfezione e del sacrificio – che persuadono per l’eleganza e per lo stile ma rischiano, qui e là, di forzare la mano su soluzioni annegate in un simbolismo talvolta sottile e sfuggevole, non certo d’aiuto a un’opera già prolissa di suo. Nello spettacolo di Falaschi, dunque, la suggestiva dialettica visiva, innegabile punto di forza della messinscena, trova il suo più alto compimento nella modellazione del momento, sempre cesellato con cosciente mano teatrale, ma fatica di più a reggere un discorso coeso e compiuto. Insomma, c’è piaciuto tanto quello che abbiamo visto – checché se ne dica, balletti inclusi, coreografati da Luca Silvestrini –, ma non siamo sicuri di averlo capito appieno.

A corroborare la potenza evocativa dello spettacolo un cast popolato da generosi interpreti e fini dicitori. Trionfa l’onnivora Carmela Remigio: tragédienne carismatica, vocalista ineccepibile, Carmela Remigio fa sfoggio di temperamento e pathos per costruire una Julia-Callas passionale e volitiva – e qualche volta esagitata –, che trova nelle oasi liriche il suo terreno d’elezione e risolve con autorevolezza d’accento gli involi infuocati dove la scrittura si fa più drammatica e onerosa. Al suo fianco, Bruno Taddia veste con ardore i panni di un Licinius, trovando nel testo e nell’espressione la giusta chiave di lettura per impersonare il generale romano. Attore assai partecipe, fraseggiatore scaltro e musicale, sa far vibrare lo strumento carnoso e duttile nella parola scolpita, avvalorando di Licinius la vigoria e il valore. Ammantata da un timbro corposo e forte di una linea di canto equilibrata e sorvegliata, Daniela Pini è, con la sua Grande Sacerdotessa, il giusto contraltare drammatico alla virginale Julia della Remigio. Molto bene anche Joseph Dahdah, Cinna squillante e ben calibrato. Completano correttamente il cast Adirano Gramigni (Le Souverain Pontife) e Massimo Pagano (Le chef des Aruspices/Consul). Ottima la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, istruito dal maestro Corrado Casati.

In buca, alla guida dell’Orchestra La Corelli, non sempre a fuoco, Alessandro Benigni imbastisce una lettura atta a evidenziare, pur rischiando di cadere talvolta nell’eccesso, la monumentalità della partitura. Manca qui e là un po' di leggerezza, un po' di plasticità nei colori, ma, tutto sommato, la concertazione che ne consegue risulta abbastanza funzionale e capace, almeno nei punti cardine, di sorreggere la drammaturgia del testo.

A fine recita gli applausi sono calorosi per tutti, con punte d’entusiasmo per Remigio e Taddia. Trasmessa in diretta, l’opera è disponibile sulla virtuosa piattaforma digitale dei Teatri Emiliani.

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