Interconnessioni
Con un programma che, attraverso pagine di Chopin, Liszt e Berio, consente di indagare la connessione tra il pianismo del XIX e del XX secolo, Andrea Lucchesini fa ritorno, con successo, all’Unione Musicale di Torino.
Torino, 14 gennaio 2025 – C’è una connessione, in fondo, tra le pagine di Luciano Berio e quelle più note di Chopin e Liszt e non potrebbe, d’altro canto, essere diversamente: gli ultimi due, appena due secoli fa, hanno gittato le basi del pianismo moderno, scrivendo ex novo la grammatica di quello strumento che in quegli anni andava via via perfezionandosi. Chopin ha trasformato la tastiera in una passerella per accedere a una dimensione intima e personale, in cui anche il gesto virtuosistico più estremo si piega all’esigenze dell’espressione; Liszt, invece, ha fatto del complesso di corde e martelletti una macchina sinfonica capace di evocare vastità orchestrali, indagando ed esasperando tutte le possibilità timbriche a disposizione di quel mezzo. Ecco allora emergere, là dove in Berio s’avverte una tensione tutta analitica e una ricerca sonora mirata e costante, la continuazione di quel lavoro rispetto al quale non s’avverte mai una netta frattura, bensì un dialogo ininterrotto, seppur inevitabilmente trasformato dal contesto storico e culturale.
Ascoltando dunque i Six Encores o la Sequenza IV che Andrea Lucchesini, anche quest’anno ospite dell’Unione Musicale di Torino, incastona tra la Sonata in si minore di Liszt e i Preludi op. 28 di Chopin, non si farà molta fatica a scovare nella complessa architettura armonica di Berio arcate melodiche di disincantata bellezza – si pensi al solo Wasserklvier – o passaggi d’acceso istrionismo – incendiari nella Sequenza – che richiamano alla mente il lavoro a tratti pioneristico del maestro ungherese. Dallo strumento Lucchesini sa cavare quell’immenso ventaglio cromatico e dinamico necessario a dare concretezza e nerbo a queste pagine, va detto, di non immediatissima presa, in modo tale che esse possano dialogare non solo con la mente, ma anche con la pancia dell’ascoltatore.
In un gioco interessantissimo di interconnessioni nascoste e mutue influenze pare quasi di sentire la sonatona di Liszt ripensata sub lucem di Berio. Senza mai curarsi del virtuosismo circense – che, per inciso, non scopone l’artista chiamato al cimento – e senza neanche mai impelagarsi nella ricerca di in una cantabilità melliflua o leziosa, Lucchesini ne offre una lettura asciutta, autorevole, priva di orpelli, che esplora la partitura lisztiana in tutta la sua iridescente inventiva. Si ascolta così il pianista toscano contrapporre con fuoco un registro vocale sull’altro, saettare ottave con fare percussivo e gagliardo, scolpire il fraseggio con accenti irruenti o sciogliere la tensione in oasi di enigmatica tranquillità, indagando ovunque la scrittura per trovare l’effetto sonoro celato al di là dell’idea melodica. È una lettura, questa di Lucchesini, di evidente maturità, in cui l’assoluta visione d’insieme, ribadita costantemente nello sviluppo del flusso narrativo, restituisce al pubblico un’interpretazione originale e di indiscutibile fascino.
Hanno forse meno originalità, certamente non meno fascino, i preludi op. 28 di Chopin, destinati a chiudere la serata: le ventiquattro miniature del genio polacco offrono ora al pianista l’opportunità di mettere in luce, con modalità più dirette, l’eleganza e la musicalità del pensiero che governa le mani. Qui dove il sostrato musicale si fa più lineare, a imporsi, oltre al sopraffino tecnicismo, è la classe con cui ogni linea di canto è sapientemente tracciata: preludio dopo preludio, tra rubati dosati con maestria e un tocco che ora sa farsi più denso e morbido, ora più tagliente e incisivo, Lucchesini sa delineare, con viva sensibilità, le differenze di atmosfera, rivelando la ricchezza nascosta in ogni singola pagina. Ogni preludio diventa così un piccolo mondo a sé, un affresco delicato dove il pianista, come un pittore di suoni, scolpisce con precisione ogni dettaglio, senza mai perdere di vista il respiro più ampio e l’intima coerenza dell’opera nel suo insieme.
Salutato da calorosissimi applausi, l’artista concede due deliziosi bis: il notturno in fa maggiore op. 15 n. 1 di Chopin e il baldanzoso preludio in sol minore op. 23 n. 5 di Rachmaninov.
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