Al di là del bene e del male
Un’accoglienza trionfale è riservata in apertura della stagione 2025/26 alla Sinfonia n. 3 di Gustav Mahler sotto la bacchetta di Andrés Orozco-Estrada, direttore principale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale
TORINO, 9 ottobre 2025 - Una strana parentela unisce la seconda e la terza sinfonia di Gustav Mahler. Molti sono gli elementi in comune: l’organico gigantesco, la presenza della voce umana solista e del coro, un numero di movimenti superiore ai canonici quattro con una suddivisione del tutto originale, la durata da primato tanto all’epoca del loro apparire quanto al giorno d’oggi che le rende le composizioni più estese entrate nel repertorio stabile.
Molte sono tuttavia anche le differenze. Se la sinfonia nota come ‘Resurrezione’ raggiunge attraverso un climax crescente un’unità espressiva lungo l’arco di tutti i suoi movimenti, la terza sinfonia, scelta con coraggio dalla Rai per l’inaugurazione della stagione 2025/26 dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, è opera irta di antitesi interne: alle atmosfere distese del torso centrale, corrispondente ai tempi dal secondo al quarto, fanno da contraltare due enormi movimenti di incredibile magistero tecnico, spesso vertiginosi per ispirazione e visionarietà, ma sotto i quali ardono le braci di forze centrifughe che solo l’arte di Mahler riesce a domare sconfinando nel sublime.
Interpretare la Terza è dunque un’impresa ardua che richiede forze d’eccezione e una bacchetta che sappia valorizzare con cura e attenzione le risorse infinite della partitura, senza il quale le ragioni del bello rischiano di scadere nell’ovvio e quelle dello spettacolare nel corrivo. Andrés Orozco-Estrada, direttore principale dell’OSN Rai, raccoglie il guanto di sfida ed appronta un’esecuzione in cui il cesello di una lettura meditata si fonde con lo sfarzo sonoro dei passaggi più roboanti. Ciò non sarebbe possibile senza il supporto di un’orchestra in grande spolvero quale è apparsa la compagine torinese, in una serata che ha il sapore dell’evento e che è il miglior viatico per un’apertura di stagione col botto, considerato che già tra pochi giorni arriverà sul podio Kirill Petrenko per un concerto che si preannuncia memorabile.
Riconoscendo i meriti di Orozco-Estrada, a conti fatti non delude le attese e risulta destinata a rimanere nella memoria dei presenti pure questa monumentale pagina mahleriana, summa di un intero mondo musicale condensato in un racconto di un’ora e quaranta minuti che prende l’avvio dal celebre tema degli otto corni all’unisono, evidente richiamo al motivo principale del finale della Prima di Brahms, a sua volta modellato sull’Inno alla gioia della Nona di Beethoven. Un caleidoscopio rovesciato che, sotto l’apparente linearità della melodia, cela una costruzione densa di rimandi di natura intellettuale. Ed è un vero tour de force il primo movimento, con il suo assemblaggio di materiali di natura composita, dai cupi rintocchi di marcia di trombe ai tromboni al celestiale contrappunto del motivo cantabile esposto dai legni, in eco, su un tappeto di tremoli dei violini. Il discorso si infittisce fino a livelli di complessità estrema, dando origine al tempo di maggior ampiezza mai scritto da Mahler (che lo fece coincidere con l’intera prima parte della sinfonia), con un finale di notevole impegno e virtuosismo in cui l’orchestra dimostra una tenuta davvero invidiabile arrivando con un suono pulito, preciso e calibrato fino allo sfolgorante ultimo accordo. Prima della seconda parte, costituita dai rimanenti cinque tempi, nelle intenzioni dell’autore doveva esserci una pausa di cinque minuti. Ovviamente non viene mai rispettata, anche se sarebbe un interessante esperimento sociale costringere il pubblico a un così lungo silenzio nel corso di un’esecuzione.
Sarebbe inutile elencare i pregi dei fantasmagorici ‘Tempo di Menuetto’ e ‘Scherzando’ in seconda e terza posizione, dove il parallelismo con la ‘Resurrezione’ è evidente, così come sarebbe troppo lungo fare l’elenco di tutti gli eccellenti strumentisti (applauditi al termine con ovazioni personali) impegnati nella ragnatela di passaggi intrecciati e nel contrasto di timbri differenti che forma l’ossatura dello Scherzo, con l’indimenticabile e lungo assolo del corno da postiglione fuori dal palco; per l’ottimo Roberto Rossi al flicorno la menzione è d’obbligo, per averci fatto assaporare dal fondo della galleria uno dei motivi per i quali dobbiamo essere grati di essere al mondo. Apro e chiudo una parentesi con l’annotazione tra le ‘cose da fare almeno una volta nella vita’ anche per i non appassionati di musica: ascoltare con attenzione, se possibile dal vivo, gli scherzi delle ‘Wunderhorn Sinfonien’ di Gustav Mahler. Fanno capire meglio di qualsiasi altro brano come il mondo sia in contemporanea estremamente semplice ed estremamente complesso.
Lupus in fabula, la presenza di testi tratti dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn si palesa nel toccante lied Es sungen drei Engel, che chiama in scena il coro femminile Maghini e il coro di voci bianche del Teatro Regio di Torino, sotto le rispettive direzioni di Claudio Chiavazza e Claudio Fenoglio, nonché il mezzosoprano tedesco Anke Vondung, che aveva intonato poco prima con canto partecipe lo struggente testo O Mensch! Gib Acht! da Also sprach Zarathustra di Friedrich Nietzsche.
Rimane il finale, vasto tempo lento di difficilissima interpretazione. Che tono dare a una simile pagina dopo tutto quello che l’ha preceduta? Riflessione sul divino? Superamento dei conflitti e raggiungimento di una dimensione superiore? Pacificata visione del mondo oppure esaltazione della vita? Sono state dette mille parole. Alessandro Baricco, in suo articolo, scrisse una volta che Mahler qui fa del cinema, quasi una colonna sonora hollywoodiana. Non saprei. Siamo un po’ al di là del bene e del male, per dirla ancora una volta con Nietzsche. È certo musica che nella sua lineare semplicità, nella sua crescente intensità emotiva, nel suo radunare poco per volta tutti gli strumenti fino all’apoteosi non lascia indifferenti. Orozco-Estrada guida con mano sicura l’orchestra a una conclusione perfino controllata, nonostante il dispiego dei mezzi, lasciando aperto il mistero. Nell’esistenza dell’uomo non c’è nulla di semplice, ma l’arte può aiutare: non a squarciare il velo di Maya di Schopenhauer ma, attraverso l’arte stessa, a vedere meglio anche noi stessi.
Successo trionfale e larghissimo in un auditorium ‘Toscanini’ affollato come in poche occasioni.
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