Tema e variazioni
Il Regio di Parma fa felice il pubblico che l'anno scorso non era riuscito ad assistere al Barbiere di Siviglia riproponendo alcune recite fuori abbonamento e con interpreti in parte cambiati. Operazione riuscita, anche se resta il desiderio di una programmazione un po' più varia e fantasiosa.
PARMA 1° marzo 2025 - Sicura e senza rischi, la ripresa del Barbiere di Siviglia al Regio di Parma incassa il pieno gradimento del pubblico, con sala piena e festante alla prima. L'intento principale di questo ritorno fuori abbonamento, a distanza di un solo anno, era accontentare i melomani parmigiani che non erano riusciti a trovare i biglietti per l'inaugurazione della stagione 2024. Da questo punto di vista, l'operazione ha una sua precisa logica, è riuscita a meraviglia e conferma il potenziale attrattivo del teatro d'opera. Ci si chiede, però, proprio in situazioni simili se sia questa la strada per trasformare in atto questa potenza o se non sia piuttosto una strada comoda per vivere di rendita. Intendiamoci, Il barbiere è un capolavoro e la produzione ha i suoi indubbi pregi, tuttavia queste riprese serrate in favor di botteghino avrebbero più senso in una stagione ben più estesa di quella parmigiana, che non conta più di tre o quattro titoli, tutti ottocenteschi e arcifrequentati (lo scorso anno Barbiere, Elisir e Tosca, quest'anno La bohème e Andrea Chénier con cui Giovanna d'Arco si direbbe un'esotica divagazione, se non sembrasse quasi un'appendice del Festival Verdi). Mentre gli altri teatri di tradizione emiliano romagnoli condividono Handel, Bellini, il Rossini serio o Spontini, spiace che una capitale della musica come Parma resti ancorata all'usato sicuro invece di cercare altri stimoli. Non c'è bisogno di andare a ripescare Il contadino di Agliate di Temistocle Solera per uscire dal circolo vizioso degli eterni ritorni; vale il discorso per cui spesso nella scrittura per il cinema o la televisione si lamenta quello che si vuol definire fan service, lusinga momentanea che alla lunga spegne creatività e qualità.
Ciò premesso, meritano attenzione soprattutto gli elementi di novità di questa ripresa, a partire da quella più fresca: come Figaro indisposto l'annunciato Davide Luciano, arriva a ridosso della prima il ventiseienne pesarese Matteo Mancini (all'attivo già le accademie del Rof e del Maggio fiorentino, nonché la vittoria all'ultimo concorso Tebaldi). Canta bene, sa gestire i propri mezzi senza strafare, è disinvolto in scena. Giusto un pizzico di emozione nella sortita è comprensibile e la prova nel complesso convincente, a conferma delle doti già notate in precendenza [Fano, La Cenerentola, 03/02/2024, Fano, La casa disabitata, 24/08/2024]
Novità relative sono invece costituite da Carlo Lepore e Ruzil Gatin: il primo è forse il Don Bartolo più assiduo dei giorni nostri, lo è stato anche a Pesaro la scorsa estate in questa stessa produzione [Pesaro, Il barbiere di Siviglia, 10/08/2024], sempre con un'intatta qualità attoriale e musicale. Il secondo, Almaviva applaudito con entusiasmo anche a Macerata [Macerata, Il barbiere di Siviglia, 12/08/2022], è nondimeno un interprete pregevole, sicuro, abile nel gioco di variazioni e colori, sebbene nel finale faccia avvertire qualche cenno di stanchezza e il rondò, alla prima, non sia del tutto all'altezza delle aspettative. Il nuovo Basilio è Grigory Shkarupa, bellissima voce anche se non sempre ideale per la tessitura della parte [Mascate (Oman), Homage to the Swan of Pesaro, 25/11/2022], oltre che non sempre incisivo nella caratterizzazione del personaggio pensato da Pizzi per Pertusi (e a Parma già ereditato da Tagliavini). Anche per Gianluca Failla non è sempre facile ripetere l'exploit del vulcanico Fiorello/Ufficiale creato da William Corrò, ma risulta comunque ben adeguato.
L'altra novità significativa si trova in buca: sul podio arriva George Petrou, mentre l'orchestra Senzaspine di Bologna fa il suo debutto in un teatro di tradizione. È un grande passo per il complesso nato dodici anni fa con un entusiasmo allora magari un po' incosciente, ma che ha consolidato una bella e assidua attività divulgativa e inclusiva. Chiaramente non ci troviamo di fronte alla Toscanini, ma non ci discostiamo dal livello di altre orchestre ospitate in tanti festival e stagioni liriche: Petrou, rispetto al fin troppo misurato Ceretta [Parma, Il barbiere di Siviglia, 12/01/2024], punta su repentini, fin eccessivi scatti agogici che non favoriscono sempre la precisione e l'intelligibilità, ma anche su variazioni dinamiche che trovano l'orchestra recettiva e attenta. Questa visione esuberante e un po' effettistica conserva l'apprezzabile integralità dell'esecuzione e quella completezza del continuo con fortepiano (Gianluca Ascheri) e violoncello (Başak Canseli Çifci) che dovrebbe essere la norma e, ahinoi, non lo è sempre.
Restano dallo scorso anno le due donne. Maria Kataeva possiede senz'altro una vocalità pregevole e sempre più controllata, ma il gusto non ha quell'eleganza e quella finezza che in questo repertorio dovrebbe essere imprescindibile. Licia Piermatteo, giovanissima ex allieva dell'Accademia Verdiana, era subentrata in corsa nel 2024 all'indisposta Elena Zilio e oggi si giova di un personaggio da principio ripensato per un'interprete così diversa. La ripresa dello spettacolo curata dallo stesso, eterno, Pierluigi Pizzi continua a farsi apprezzare, in virtù anche della rinuncia ad alcune delle gag superflue inserite a Parma lo scorso anno, sebbene lo slancio della prima edizione, così perfettamente modellata su misura del cast e servita da un'efficacissima concertazione, si sia un po' affievolito.
Il risultato complessivo è senz'altro soddisfacente, l'entusiasmo del pubblico (il più applaudito, non a torto, Carlo Lepore, seguito da Matteo Mancini) ragione di gioia, ma proprio per questo l'interrogativo resta: accontentarsi o cercare di ottenere la stessa risposta guardando un po' oltre?
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