IL BARBIERE DI SIVIGLIA
A COLLOQUIO CON HUGO DE ANA
a cura di Fabio Zannoni
Testo tratto dal Numero Unico del 2007, edito dalla Fondazione Arena di Verona
Allora ci risiamo: una nuova scommessa per il palcoscenico dell’Arena di Verona, un’opera come Il Barbiere di Siviglia, di per sé priva di elementi di grande spettacolarità, tutta giocata sul ritmo e su una relazione molto diretta e di vicinanza con il pubblico. Quali le soluzioni e le strategie?
Il problema che pone un’opera come Il Barbiere di Siviglia per un palcoscenico come quello dell’Arena di Verona è essenzialmente quello posto, in genere, dal teatro all’aria aperta, per un’opera non concepita per questo tipo di spettacolarità. Ma l’Arena ha anche uno spazio che ci dà grandi opportunità, che possono essere di un certo interesse per il movimento di masse e di persone. Se nel Barbiere l’intrigo è giocato dai personaggi molto “da vicino”, io ho voluto muovere la mia ricerca verso l’individuazione di quegli elementi spettacolari, che sono propri del teatro all’aperto. Ho cercato quindi di amplificare certe situazioni, con movimenti che si caratterizzeranno come astrazioni: in un complesso movimento mimico e coreografico. Tutti sono chiamati a partecipare a questa sorta di grande gioco scenico, non solo i mimi e i ballerini, ma anche coro e cantanti, con un’azione che deve essenzialmente andare al servizio del pezzo musicale. Perciò ho puntato anche su un certo manierismo e su una gestualità un po’ plateale che l’Arena necessariamente richiede. Ci sono momenti, nell’opera di Rossini, nei quali l’azione drammatica comincia a diventare più ritmata, come ad esempio quando il coro inizia a ringraziare “Mille grazie… mio Signore…”, fino alle imprecazioni, “Maledetti, Via di qua”: in questi momenti abbiamo un’idea di quel passaggio che ci può essere tra un’azione ‘normale’ ed una che diventa coreograficamente astratta; e questo si verifica in maniera analoga nel finale primo e nel finale dell’opera. E’ in definitiva uno spettacolo che richiede degli sforzi, paragonabili a quelli che sono propri dell’allestimento di un musical.
Quale quindi l’ambientazione e la configurazione dello spazio scenico?
Questo mio Barbiere parte dall’idea di uno spazio scenico concepito come una specie di labirinto che è il jardin de l’amour: è il luogo dell’intrigo amoroso, della commedia degli equivoci ma che allude anche ad elementi esotici. Si evoca una Spagna e una Siviglia visti, sia dalla Francia di Beaumarchais che dall’Italia di Rossini, come un luogo assolutamente lontano dal quotidiano. E’ una Siviglia fatta di sensazioni, profumi, in un’atmosfera quasi arcadica, un posto assolutamente ideale, senza nessun riferimento ad un’immagine tipicamente spagnola. Questo jardin de l’amour è anche il luogo del mistero, una sorta di spazio mobile che assume diverse posizioni rispetto all’azione drammatica.
Una lettura che allude a particolari interpretazioni dell’opera?
Per me qui c’è il puro divertissement, senza cercare altre letture, con improbabili simbologie, come tante volte si è cercato di fare con quest’opera: non riesco a trovare tali profondità o allusioni. Per me Il Barbiere di Siviglia deve essere presentato al pubblico come spettacolo assolutamente frizzante, col suo colore proprio. Come tale è un gioco che deve fare sorridere, con la grande eleganza che è propria della musica di Rossini, in quell’equilibrio di apollineo e dionisiaco che nasce dal confronto tra un’opera ‘leggermente romantica’ e quella che conserva tratti del mondo neoclassico.
E che, in quanto tale, è rimasta un’opera assolutamente particolare, un unicum.
La cosa che ci deve far riflettere è come quest’opera, nata in una situazione storico culturale contingente, abbia attraversato la storia per diventare uno dei primi capolavori, che sono entrati a far parte del repertorio stabilmente eseguito in tutto il mondo: ciò solo per forza della musica di Rossini. Una musica che è sgorgata da una disposizione che potremmo considerare ambivalente da parte del compositore: da un lato una sorta di disinteresse, dall’altro una grande generosità. Lui ha detto: «fate quello che volete, questa è la mia musica». In effetti il Barbiere è un’opera con cui si può fare quello che si vuole: lo abbiamo visto in tutte le salse, nelle versioni più fantasiose o strampalate, anche ambientato a Palm Beach piuttosto che a Manhattan... Lo stesso Rossini ha consentito che altri aggiungessero, togliessero a seconda delle esigenze contingenti del teatro o del pubblico. Questa è l’eredità e la libertà che ci ha lasciato.
Vediamo quindi qual è l’ambiente in cui un’opera come Il Barbiere di Siviglia è maturato: nel libretto di Sterbini il giacobinismo di Beaumarchais è per così dire stemperato, siamo nel clima politico e culturale della provincia italiana di inizio ’800:
Certamente, possiamo dire che Rossini si allontana da Beaumarchais perché in lui sono assenti tutti i conflitti sociali e culturali, della Francia rivoluzionaria. Nello stesso tempo, egli crea una particolare enfatizzazione del conflitto tra giovani e anziani, rendendolo molto evidente: nel Barbiere sopravvivono e si compenetrano mirabilmente sia gli archetipi della Commedia dell’Arte, del teatro di Goldoni che della Comédie Française.
In tal senso i personaggi vengono acquisendo particolari fisionomie, non facilmente collocabili:
I personaggi perdono la loro sostanza politico sociale: sono un po’ più semplici, più lineari, meno scavati in profondità psicologica. E’ la musica in definitiva che arricchisce il loro spessore psicologico e il loro ruolo drammatico. Anche se dobbiamo pensare che Rossini prendeva un po’ alla leggera questi melodrammi buffi (li scriveva in poche settimane), egli riuscì, con la sola forza della sua musica, a creare con i suoi personaggi una sorta di astrazione di una certa idea di carattere e del sentimento umano. Rosina è tra i personaggi quello che si esprime nella maniera più chiara e credo che in realtà sia lei il vero deus ex machina. Il conte di Almaviva è invece il più piatto perché gioca sempre al travestimento, che è un modo molto semplice per cambiare il ruolo senza esprimersi in prima persona, con la sua vera personalità, con il suo carattere proprio. E’ quindi tutta la forza dell’aria della “Calunnia” a dare a Basilio i caratteri e le sfumature di un personaggio a tutto tondo così come è, per Bartolo, l’aria “A un dottor della mia sorte”.
Ma in che misura questi si distaccano dai cliché più abusati dei buffi del melodramma?
Se una certa tradizione ci fa vedere questi personaggi come quelli tipici di un’opera buffa, in realtà non c’è in Rossini l’idea di fare del Barbiere un’opera buffa. E’ un dramma comico nel quale dobbiamo arrivare a sorridere delle situazioni, senza mai provocare effetti volgari o sopra le righe: per me non bisogna per niente degenerare verso la macchietta. Perché, ripeto, è solo la musica che fa diventare questi personaggi assolutamente diversi, dandoci una sensazione di grande leggerezza e che, nello stesso tempo, riesce a far trasparire velatamente la critica sociale di Beaumarchais, che nel libretto di Sterbini è abbastanza stemperata. Ed è una critica che, in maniera più evidente, sviluppa il tema di questa specie di cospirazione dei giovani contro i vecchi che ritroveremo in forme diverse in Donizetti, con Don Pasquale fino al Verdi maturo di Falstaff.