L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Le scelte di Mikhail

 di Roberta Pedrotti

 

Mikhail Pletnev a Bologna in veste di direttore per Schumann, Beethoven (il Quarto concerto, solista Herbert Schuch) e una personale trascrizione orchestrale di Brahms.

BOLOGNA, 4 maggio 2015 - Le vie che conducono al podio possono essere diverse. Il percorso può essere subito diretto, senza troppe divagazioni, alla meta; talora, invece, si approda alla bacchetta da uno strumento e allora i risultati diranno se si è trattato del ripiego di un talento mediocre o della felice evoluzione di qualità che meglio si mettono a frutto nella direzione, se si sarà trattato dell'espressione di un genio musicale versatile e onnivoro o dell'ambizione eccessiva dell'artista già grande nel suo ambito.

Certo è che Mikhail Pletnev è uno dei maggiori pianisti viventi. Certo è che sul podio è solo e soltanto un direttore, e un direttore che sa il fatto suo. Sempre un grande musicista, padrone della tecnica e delle specificità di ogni attività cui si dedica di volta in volta.

Il suo concerto sul podio della Filarmonica del Teatro Comunale non è solo, dunque, un'ottima occasione per il pubblico bolognese, ma anche, è facile immaginare, una scelta felice degli stessi professori d'orchestra, un'ulteriore importante esperienza ad arricchire il loro curriculum, già impreziosito da copiose collaborazioni con bacchette e solisti d'alto livello.

Ci si scalda con l'Ouverture dalla Genoveva di Schumann, quasi petrosa nel tratteggiare le atmosfere romantiche d'un medioevo leggendario. Poi viene il pezzo forte del programma, il magnifico Concerto per pianoforte e orchestra n.4 in Sol maggiore op.58. Solista è Herbert Schuch, senza dubbio bravo, preparato, perfettamente all'altezza della situazione e delle esigenze della partitura, sia per basi tecniche sia per cura espressiva, meditata e pudica. Non, tuttavia, indimenticabile, né baciato dai crismi di una personalità di classe superiore. Ciò nonostante non rimpiangiamo mai di non avere Pletnev alla tastiera, perché il musicista russo è qui un direttore, non un pianista prestato al podio perché il gesto non è quello del collega indulgente al servizio del solista, né del maestro che voglia tramutare il più giovane pianista in un proprio clone ed emanazione: Pletnev dirige, e lo fa assai bene, tenendo saldamente in pugno con gesto chiaro e deciso tutta l'orchestra, con tempi e respiri appropriati. Indubbiamente la conoscenza della partitura anche dalla prospettiva del solista giova alla sua lettura, sia per la sicurezza nella gestione dei dettagli sia nella confidenza con il linguaggio beethoveniano. Questa si irradia sull'orchestra come sul pianista, ma, appunto, non tanto quale imposizione autoreferenziale, quanto come naturale conseguenza della sua ben meritata autorità, capace anche di entrare in sinfonia con l'indole personale di Schuch. L'inclinazione introspettiva di questi sarà confermata poi salutando il pubblico, al termine della prima parte del concerto, con la trascrizione di Busoni del corale bachiano Ich ruf zu dir, Herr Jesus Christ BWV 639.

Nella seconda parte la trascrizione curata dallo stesso Pletnev delle Venticinque variazioni e fuga in Si bemolle maggiore su tema di Haendel op.24 di Brahms costituisce, oltre che un bel banco di prova per l'orchestra, un curioso gioco di prospettive. Senza dubbio, infatti, il concertatore si è voluto ispirare allo stile brahmsiano nel trattamento dei timbri e delle sezioni, ma è difficile comporre à la façon de, soprattutto su un testo che l'originale autore aveva già destinato ad altro organico (il pianoforte solo). Ascoltate di per sé le Variazioni selon Pletnev difficilmente possono lasciare immaginare una qualche fortuna esecutiva al di là di quelle cui sovrintenda il pianista/direttore russo. Si possono però ascoltare come una personale amplificazione e concretizzazione dell'idea che, affrontandole al piano, Pletnev può essersi figurato del brano, delle sue suggestioni timbriche, delle sue contrapposizioni dinamiche e agogiche. Insomma, costituisce una sorta di realizzazione svelata a tutto il pubblico di un tratto più nascosto del sentire artistico dell'interprete. Così lo si ascolta con attenta curiosità, anche continuando a preferire – come non potremmo? Lo stesso Pletnev non potrà volercene – la stesura originale.

Applausi calorosi al termine.


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