L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Eredità perduta e ritrovata

di Michele Olivieri

Poche compagnie al mondo possono vantare eleganza nella presentazione e purezza tecnica pari a quella dell’Opéra di Parigi. La sua unicità risiede nell’illustrare al meglio la differenza tra accademismo e classicismo esibendo linee, posizionamenti ed épaulement come primarie virtù dello stile francese. Paquita in questo allestimento è un capolavoro d’antan.

PARIGI, 23 dicembre 2024 - Dopo gli scioperi che hanno annullato alcune delle prime rappresentazioni, la ripresa di Paquita firmata da Pierre Lacotte è tornata regolarmente sul palcoscenico dell’Opéra Bastille con il Balletto dell’Opéra di Parigi come spettacolo delle festività natalizie e primo titolo della nuova stagione. Paquita è uno di quei balletti che si è perso nel tempo. Il suo debutto risale al 1846 alla Salle Le Peletier de Paris con la coreografia originale di Joseph Mazelier nata per mettere in mostra le abilità della acclamata prima ballerina italiana Carlotta Grisi. I francesi, nel corso degli anni, avevano dimenticato Paquita e i russi la misero in scena nel XIX secolo con modifiche apportate da Marius Petipa, il quale creò con l’aiuto di suo fratello Lucien – che aveva danzato l’edizione originale di Parigi - una nuova versione per il Teatro Imperiale Bol'šoj Kamennyj, protagonisti Elena Andreyanova e lo stesso Marius Petipa. Questa versione fu poi ripresa nel 1881 con interpreti Ekaterina Vazem e Pavel Gerdt, sempre a San Pietroburgo, aggiungendo la Polonaise, la Mazurka des enfants, il Pas de trois nel primo atto e il Grand pas classique. Quest’ultimo è un puro intrattenimento (detto alla francese divertissment) e un gioiello della disciplina tersicorea. Per molto tempo, il Grand Pas rimase l’unica traccia di Paquitain Francia. Ciò sino al 2001, quando Brigitte Lefèvre, allora direttrice del Balletto all’Opéra di Parigi, propose a Pierre Lacotte di ridare vita a questo titolo. Lacotte, da minuzioso restauratore e archeologo coreico qual era, lo resuscitò, ricostruendo la coreografia nella sua pantomima originale sulla base dello stile romantico dell’epoca. La maggior parte del primo atto e parte del secondo erano andati completamente perduti e quindi Lacotte li rimontò ex novo ispirandosi a descrizioni sopravvissute, note di programma e altro materiale ritrovato in archivi e collezioni private. Attinse, inoltre, dalle memorie di un ex ballerino russo a cui Paquita era stata insegnata dallo stesso Petipa. Il risultato fu uno smisurato sfoggio di virtuosismo. La presenza del Grand Pas Classique (circa venticinque minuti di gloriosa danza classica senza sosta, ad altissimo livello, ideato storicamente per ballerina, premier danseur, sei premières danseuses, otto secondi solisti riflettendo così la gerarchia ufficiale della Compagnia) e di altri pezzi aggiuntivi provenienti dalla versione russa e non da quella francese fa venire meno l’autenticità filologica della versione 1846. Tuttavia, il lavoro di Lacotte permette di apprezzare una vasta gamma di passi tutti riuniti secondo regole tecniche ed estetica con rimandi allo stile del balletto di inizio e fine Ottocento (con richiami a Giselle, La Pèri e dalla Sylphide). Ai tempi della ricostruzione, il coreografo si avvalse di nomi del calibro di Ghislaine Thesmar, Laurent Hilaire, Lionel Delanoë e Véronique Doisneau come collaboratori al repertorio e Patrice Bart nel ruolo di maître (oggi nel 2023 figura, tra gli altri, come répétiteur Gil Isoart, già interprete dell’edizione 2003 di Paquita). In totale quello di Lacotte risulta essere un certosino lavoro di patchwork che combina le tracce di Joseph Mazilier a quelle di Marius Petipa, oltre al proprio modo di articolare il vocabolario coreutico plasmato sulla rigorosa metodologia francese ancora in auge. Al tempo del debutto, a metà Ottocento, il romanticismo andava di pari passo con l'esotismo e la curiosità verso altre culture. La scelta per Paquita cadde sulla Spagna al tempo delle invasioni napoleoniche. Zingari, generali e gente del popolo sfilano in scena. Il libretto è semplice: Paquita viene rapita da bambina dagli zingari, i suoi genitori vengono uccisi. In gioventù, si innamora di Lucien, figlio di un generale. La sua condizione sociale non le permette di sposarlo. Iñigo è il capo degli zingari e vuole Paquita per sé stesso, quindi si unisce a Mendoza per uccidere Lucien. La protagonista scopre l’inganno e salva l’amato. Una foto di suo padre, che ha conservato fin dall’infanzia, dimostra che Paquita è di nobile origine. Tutti finiscono felici e le danze sfrenate si sviluppano per ben quaranta minuti, in una ghiotta opportunità per l’intero corpo di ballo di mettersi in mostra.

La musica originale di Edouard Deldevez e Ludwig Minkus venne rivista e completata dal direttore David Coleman su indicazione di Lacotte. Seguendo lo stile dei balletti romantici, si rispettò il proposito di trasportare l’azione alla Spagna del XIX secol. Costumi impeccabili e paesaggi lineari fanno scorrere la storia, mentre le telecamere di POP (Paris Opera’s streaming Platform) catturano l’azione con inquadrature e angolature evocative. Nella diretta del 23 dicembre ciò che ha catturato l’attenzione è stata la precisione e la pulizia della coreografia come sontuosa vetrina a beneficio sia dei solisti sia del corpo di ballo francese diretto da José Martínez.Le pantomime sono precise e chiare. I disegni per costumi e scenografie di Luisa Spinatelli fanno da decoro al balletto in maniera impeccabile in tandem con l’illuminotecnica firmata da Nicolas Fischtel. Per il corpo di ballo femminile ammiriamo affascinanti tutù, corpetti e abiti al polpaccio in tonalità mélange tra rosa, grigio e marrone. Inès Macintosh possiede una tecnica squisita, il virtuosismo è accentuato e fluttuante, la sua Paquita è ricca di emozione ed espressività. Francesco Mura restituisce un Lucien bello e conquistatore e i salti mozzafiato danno la cifra della sua preparazione. Antoine Kirscher interpreta Iñigo con temperamento, trasmettendo l’anima del personaggio. Da segnalare inoltre per compostezza e rigore Nine Seropian, Luciana Sagioro, Nicola Di Vico, Alice Catonnet, Arthus Raveau, Alexandra Labrot e Fanny Gorse. La coreografia di Pierre Lacotte non è semplice, lavora dal fondo della gamba cesellato fino al massimo della destrezza, con velocità costante pur conservando una naturalezza di base. Per Lacotte non era primaria la drammaturgia (e qui infatti è abbastanza debole), bensì la danza, come si può pienamente constatare.

Numerosi ruoli in Paquita sono fondati sulla teatralità, poiché i ballerini vengono chiamati con medesima competenza al ruolo tersicoreo e a quello attoriale in cui la mimica non si limita a raccontare la storia ma la stimola. E questo si nota anche in una semplice camminata, in una entrata o in un’uscita. Una lode è indirizzata agli allievi della Scuola di Danza diretti da Elisabeth Platel (che ai tempi del restauro di Lacotte ebbe un ruolo fondamentale come assistente alle coreografie).

L’Orchestra dell’Opera Nazionale di Parigi è diretta da Mikhail Agrest. Paquita ha dimostrato quanto il fascino di un’epoca passata possa ancora oggi essere la bussola per conservare l’eredità e la sensibilità di un tempo glorioso, anche con la sua palese innocenza romantica. Come se fossimo ancora nel 1887 i movimenti “terre à terre” non appaiono mai antiquati. Altre versioni sono nate negli anni ma questa produzione è ciò di più vicino a quelle di Mazilier e Petipa: è una “festa della danza” dall’inizio alla fine che ben soddisfa i “ballettomani conservatori” ma forse non tutti i gusti del pubblico ai giorni nostri.

 

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