L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Poesia e ricordi in sestetto

  di Luigi Raso

Al Teatro Sannazaro il Sestetto Stradivari è ospite della stagione dell’Associazione Alessandro Scarlatti, che nel 2019 festeggia i suoi cent'anni di attività.

NAPOLI, 17 gennaio 2019 - Sono trascorsi quasi cento anni da quando l’Associazione Alessandro Scarlatti iniziò la sua attività concertistica a Napoli: nella Basilica di San Paolo, nel cuore del centro antico, il 29 aprile del 1919 fu riproposto, in prima esecuzione moderna, l’oratorio di Emilio de’ Cavalieri La Rappresentazione di Anima et di Corpo

Quello di far conoscere la musica antica italiana fu, sin da quel lontano 1919, uno degli intenti dei fondatori, i musicisti Emilia Gubitosi, Franco Michele Napolitano e Vincenzo Vitale, ai quali si affiancò anche il poeta Salvatore Di Giacomo. Da allora l’attività musicale e di divulgazione musicologica è proseguita intensamente; nelle stagioni della Scarlatti si annoverano artisti come, tra i tanti, Arturo Toscanini, il quale, tra il 1920 e il ’21 diresse tre concerti, al teatro Politeama e al San Carlo.

La stagione del 1941 è quella che vede a Napoli due mostri sacri del pianoforte: Wilhelm Backhaus impegnato nell’esecuzione integrale delle trentadue Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven ed Edwin Fischer per la celebrazione del 150° anniversario della morte di Wolfgang Amadeus Mozart.

Nel 1949 all’interno dell’Associazione sorge l’Orchestra Alessandro Scarlatti, poi orchestra della RAI di Napoli, sciolta dalla RAI nel 1993, mesto preludio delle successive chiusure di quelle di Roma e Milano.

Gli annali della Scarlatti narrano di molte stelle musicali: Rubistein, Richter, il Quartetto Italiano, Accardo. Tutti i più grandi artisti del ‘900 hanno lasciato in questi anni un ricordo indelebile delle loro esibizioni in città: elencarli in parte sarebbe noioso, ma, soprattutto, riduttivo.

Compositori come Stockhausen, Ligeti, Petrassi, Berio, invitati dall’Associazione, hanno proposto le loro musiche a Napoli.

Recupero e divulgazione del repertorio cameristico, curiosità verso la musica contemporanea, coinvolgimento del pubblico anche alla fase creativa dell’esecuzione musicale, rivalutazione dei tesori artistici di Napoli sono stati tra i principi ispiratori di fortunate rassegne quali le Settimane di musica d’insieme animate da Salvatore Accardo negli anni ‘70 nella cornice neoclassica di Villa Pignatelli, Musica e Luoghi d’Arte che ha coniugato lo splendore dei monumenti partenopei a una coerente fruizione musicale, in serate musicali dall’elevato pregio artistico, alle quali hanno preso parte anche grandi orchestre come la Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti, nel 2004, nella Basilica di San Lorenzo in una toccante esecuzione dello Stabat Mater di Pergolesi.

Non resta che augurare buon compleanno a questa Associazione musicale che ogni anno, grazie alla dedizione di tutti coloro che la animano, firma stagioni concertistiche dalle scelte interessanti, stimolanti, affidate ad artisti di fama internazionale, contribuendo a tenere vivo il culto della musica a Napoli.

Il concerto di stasera è affidato al Sestetto Stradivari, una tra le più interessanti e raffinate formazioni cameristiche del panorama italiano, e non solo.

Composto da David Romano e Marlène Prodigo ai violini, Raffaele Mallozzi e David Bursack alle viole, Diego Romano e Sara Gentile ai violoncelli, il Sestetto è sorto in seno all’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia nel 2001 (i suoi componenti sono raffinate prime parti dell’orchestra romana) e ha raggiunto fama e visibilità nazionale e internazionale grazie a numerose tournée in America Latina e in Cina.

Il programma si apre con Verklärte Nacht, op. 4 di Arnold Schönberg, nell’originaria versione per sestetto d’archi del 1899, successivamente orchestrata nel 1917 e nel 1943 dallo stesso compositore. “Un poema sinfonico da camera” come lo ha definito David Romano, primo violino del Sestetto, in occasione della chiacchierata con l’artista Gian Maria Tosatti introduttiva al concerto. Tra suggestioni cromatiche wagneriane e sonorità pre-dodecafoniche, infatti, si dipana l’esile storia del poemetto simbolista di Richard Dehmel: una coppia passeggia in una notte di luna in un boschetto spoglio e freddo; la donna confessa all’amato di portare in grembo un bambino concepito con un altro uomo. Il compagno accetta il figlio della compagna, perché comunque frutto di amore, bacia la donna in una notte dal cielo limpido e pieno di stelle. Poesia, appunto...

La precisione e la coesione del Sestetto è immediatamente percepibile sin dalle prime note introdotte in punta di piedi dalla viola: si è subito immersi nella temperatura gelida della composizione.

Il dialogo tra gli strumenti è preciso, pulito, nitido nell’evidenziare le linee melodiche e le architetture armoniche e contrappuntistiche; nello snodarsi dei cinque “momenti” che compongono questo poema cameristico il Sestetto sa trovare gli accenti e i colori giusti per evocare il freddo della notte, la paura, la solitudine, il perdono dell’uomo tradito e l’amore verso la compagna e la creatura che verrà alla luce, fino alla trasfigurazione sonora finale: la melodia, sostenuta dagli arpeggi del violino, si propaga stemperandosi in una sala attenta e rapita.

È tutt’altra l’atmosfera del secondo brano in programma, il Sestetto per archi in re maggiore Souvenir de Florence, op. 70 di Čajkovskij: un ricordo sereno, oscillante tra l’amore per l’Italia e la nostalgia della patria russa, di uno dei più originali creatori di melodie della storia. Un souvenir che aspira a ricreare la sensazione dei giorni felici - o, trattandosi di Čajkovskij, “meno infelici” - della vita del “compositore più russo di tutti i musicisti del mio paese” (icastica definizione di Igor Stravinskij) trascorsi a Firenze nel 1890, quando era intento a comporre La dama di picche. Se i due movimenti iniziali, - e, in particolare, il secondo, l’Adagio cantabile e con moto - hanno una connotazione melodica spiccatamente italiana, i successivi Allegro moderato e Allegro vivace denotano, nell’andamento danzante delle melodie, una malcelata nostalgia verso la Santa Madre Russia.

Il Souvenir de Florence consente al Sestetto Stradivari di mettere in evidenza tutte le sue qualità: suono tondo, duttile, tipicamente “italiano”, pizzicato corposo e sonoro, da esperti professori d’orchestra, generalmente sempre maggiormente timbrato e spesso rispetto a quello di pur blasonati solisti. La conversazione strumentale è perfetta .Struggente l’introduzione del meraviglioso tema iniziale dell’Adagio cantabile sussurrata dal violino e dal violoncello e sostenuta dal vibrante pizzicato degli altri archi: un’evocazione di un’italianissima serenata malinconica al chiaro di luna in una notte in riva all’Arno. Passionali come reclama il lacerato universo poetico di Čajkovskij il terzo e quarto movimento laddove riaffiora perentoria la nostalgia per l’intimo spirito russo.

Quella del Sestetto Stradivari è un’esecuzione trascinante, ondeggiante tra la ricerca e un’evidenziazione di colori e melodie sognati e sfumate (nei primi due movimenti) e sonorità incisive, a tratti quasi barbariche, negli ultimi due. Una lettura estremamente intrigante e suggestiva: il suono e il temperamento italiano, figli di una delle migliori orchestre italiane (e non solo), ricreano uno tra i più singolari e coinvolgenti capolavori del repertorio per sestetto d’archi.

Gli applausi finali sono fragorosi e convinti.

Si chiude con un bis: l’Allegro ma non troppo dal secondo sestetto in sol maggiore op. 36 di Brahms dall’esecuzione particolarmente travolgente.


 

 

 
 
 

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