L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Vox triumphans

di Roberta Pedrotti

Per l'inaugurazione di Vicenza in lirica 2020, la meraviglia del Teatro Olimpico ospita un quintetto vocale in cui spiccano - e tengono fede alle aspettative - i nomi di Sara Mingardo e Vivica Genaux, affiancati dalle nuove generazioni rappresentate dall'ottima Alessandra Visentin e dalle giovanissime e promettenti Caterina Meldolesi e Cecilia Gaetani. Il valore del cast compensa l'organico ridotto all'osso rispetto alle rigogliose esigenze di Vivaldi per la sua Juditha triumphans.

VICENZA, 29 agosto 2020 - “Foresto, rammenti | di Giuditta che salva Israele? […] Rinnovar di Giuditta l'istoria | Odabella giurava al Signor!”. Ancora nel 1846, nell'opera patriottica che alla Fenice rappresentava il mito fondante della Serenissima, Verdi mette in musica, dopo aver coinvolto il veneziano Piave nella radicale revisione del libretto di Solera, un esplicito riferimento alla vicenda biblica. Vicenda evidentemente assai cara alla città lagunare, la quale si rispecchiava nell'eroina che seduce e decapita il condottiero nemico, libera la patria e si mantiene fedele ai propri ideali.

Giuditta era già un simbolo per Venezia quando, nel 1716, gli Ottomani, preso il Peloponneso, contendono Corfù alla Serenissima e la resistenza veneta guidata dal prussiano conte von der Schulenburg si volge in vittoria grazie all'intervento degli asburgici di Eugenio di Savoia. Nello stesso anno, l'esatta cronologia relativa alla Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie di Vivaldi in rapporto alle vicende orientali è ancora oggetto di studi e anche la presenza dello Schulenburg alla prima assoluta sembra più leggenda che storia, ma l'associazione fra la liberazione di Betulia e di Corfù è esplicita, dichiarata nel Carmen Allegoricum che segue il libretto di Giacomo Cassetti:

Præsens est bellum, sævi minantur et hostes:

ADRIA JUDITHA est, et socia ABRA FIDES.

Bethulia ECCLESIA, OZIAS summusque sacerdos,

christiadum cœtus, virgineumque decus

Rex turcarum Holofernes, dux eunuchus, et omnis

hinc victrix VENETUM quam bene classis erit.

La guerra è alle porte e un fiero nemico incombe:

GIUDITTA è ADRIA e la sua compagna ABRA è la FEDE.

Betulia è la CHIESA e OZIA il sommo pontefice,

e la decorosa assemblea delle vergini è la cristianità.

Oloferne è il sovrano turco, l’eunuco il suo generale, e così

l’intera flotta VENEZIANA godrà di una grande vittoria.

 

La forma dell'oratorio esalta la drammatizzazione dell'allegoria, perché vi trovano spazio naturale le enunciazioni simboliche, ma si liberano anche scene che mai la bienséance teatrale avrebbe ammesso senza riserve, come la decapitazione in diretta del tiranno: “Denudo ferrum, ictus tendo, infelicem | ab Holofernis busto | Deus in nomine tuo scindo cervicem” (“Ecco snudo la spada, sferro un colpo, e dal corpo di Oloferne, nel tuo nome, o Dio, tronco la testa”). Parimenti, la corrispondenza con i personaggi biblici comprende sia figure storiche in carne ed ossa sia incarnazioni di istituzioni, collettività, ideali. Si determina così una geometria tanto limpida quanto sfaccettata, per cui i due attori principali, l'eroina e l'antagonista, sono entrambi affiancati da un confidente/sodale che ne amplifica lo spessore drammatico e simbolico, mentre spettatore esterno ma fondamentale chiosatore dell'evolversi delle vicende è il pontefice Ozias. Se, dunque, il terribile Holofernes nella tracotante mollezza della sensualità orientale svela anche tratti malinconici e sinceramente amorosi, il generale eunuco (quasi un ossimoro che sintetizza aggressività e vizio) Vagaus nel suo virtuosismo spettacolare incarna la mondanità, le passioni accese e incontrollate del nemico contrapposta alla spiritualità dei personaggi ebrei. In primo luogo Juditha, modello di vocazione che preconizza l'immagine cristiana di Maria “ancilla domini”, totalmente devota alla sua missione, per nulla seduttrice e femme fatale, anzi, ferma nell'alzare un inno alla vanità degli umani piaceri e per questo ancor più impressionante nel momento dell'omicicio di Holofernes. Al suo fianco Abra/Fede è sublime sostegno e ispirazione dal canto – caso simile e opposto a quello di Vagaus – portato a esaltare e amplificare in massimo grado ciò che l'umanità storica di Juditha e Holofernes pudicamente media o sfuma. Ancor più, l'espressione ieratica di Ozias suggella solenne il quadro denso a cui un uomo che ama una donna e a una donna che uccide un uomo per liberare il suo popolo si sovrappongono, in una narrazione essenziale e senza azione o apparati, significati, riferimenti, ideali, simboli.

Anzi, in un libretto così concentrato su due soli poli per cinque personaggi, con un'unica coppia realmente attiva, Vivaldi ha ottimo gioco nel caratterizzare l'espressione vocale e soprattutto nel dispiegare la sua maestria strumentale in una scrittura rigogliosa, curatissima nei rapporti timbrici a delineare il fondamentale contesto bellico (oratorio militare sacro è la definizione esatta della partitura), così come lo sfarzo del banchetto, il languore sensuale, la sublimazione spirituale. Fosse o meno presente lo Schulenburg alla prima, la celebrazione della fierezza veneta contro gli ottomani non poteva che esigere il massimo dispiego di mezzi musicali.

Per questo, in tempo di inevitabili e sacrosante limitazioni sanitarie, spiace che la scelta di portare alla ribalta il formidabile oratorio vivaldiano ne imponga una realizzazione davvero minimalista. Sul palco abbiamo in sostanza, a sostenere e sviluppare non solo il continuo ma tutti discorsi musicali, un robusto – in relazione agli spazi – gruppo di tastiere (organo, regale, cembalo), tiorba, viola da gamba e arciliuto. A questi si uniscono come solisti ora un violino, ora un flauto, un oboe, un salmoé (chaloumeau) o le percussioni. Indubbiamente i musicisti dell'Ensemble barocco di Vicenza in Lirica diretto da Francesco Erle, così come il coro (giustamente misto) Schola San Rocco, dimostrano tutto il loro valore e si prodigano per esprimere quanto più possibile il gioco timbrico che è nerbo stesso della partitura. Non si potrà, però, negare che del tessuto strumentale vivaldiano manchi qualcosa, in questa sintesi estrema, sia per l'assenza, per esempio, delle trombe, sia per il peso e l'impasto generale.

Per fortuna, oltre al valore degli strumentisti, abbiamo un cast vocale che, fra giovani e stelle di prima grandezza, conquista facilmente la ribalta e costituisce un indiscutibile punto di forza della serata.

Il fronte babilonese vanta condottieri come Sara Mingardo e Vivica Genaux a reggerne le sorti come, rispettivamente, Holofernes e Vagaus. La prima offre l'ennesima prova della sua classe, del fraseggio dignitoso, del porgere nobile, del sottile ripiegamento espressivo, del perfetto dominio di una vocalità contraltile d'aristocratica purezza. La seconda dipana con nonchalance il virtuosismo più fitto, sia quello furioso di “Armatae faces et anguibus”, sia quello languido e prezioso “O servi volate” o “Umbrae carae”, domina con smalto brillante l'intera tessitura e connota il generale eunuco di una fierezza e incisività che rendono ancor più efficace il connubio fra militare e mondano.

Il fronte ebreo (alleggerito nell'impegno da qualche taglio) non può competere, è facile immaginarlo, sul piano del carisma e dell'esperienza, tuttavia le giovanissime Caterina Meldolesi e Cecilia Gaetani non sono messe in ombra, bensì sostenute e ispirate dalla collaborazione con colleghe più celebri. Alle prese con una parte forse un po' grave per la sua vocalità, Meldolesi sfrutta il colore chiaro con emissione leggera per enfatizzare il candore e la vocazione spirituale di Juditha, ufficialmente giovane vedova, ma quasi angelicata come saggia vergine. Le si contrappone felicemente Gaetani come Abra dal timbro brillante, dalla musicalità vivida, accentatata con mordente sempre nel rispetto dello stile.

Giovane, ma già più affermata, è pure Alessandra Visentin, eccellente Ozias capace di confrontarsi con Mingardo per l'accento ieratico e la suggestiva brunitura di una voce che si distingue felicemente nell'equilibrio complessivo di caratteri e colori ben assortiti.

Così, per l'inaugurazione di questa edizione di Vicenza in Lirica differita d'emergenza dall'inizio alla fine dell'estate, sono le voci a meritare il trionfo, voci già consacrate nel firmamento barocco e voci ben instradate nella carriera o promettenti nei primi passi.

Trionfano le voci e trionfa uno dei teatri più belli del mondo, quell'Olimpico di Vicenza che mozza il fiato all'ingresso e garantisce di per sé uno spettacolo nello spettacolo, sicché la natura dell'oratorio si esalta, inserisce i suoi equilibri e le sue prospettive perfette in quelle non meno perfette del Palladio, racconta e non mostra, ma prende vita della scena ideale modellata sui classici. Allora, mentre fuori infuria la tempesta, mentre le mascherine ci proteggono da minacce invisibili che impongono i loro lacci anche alle scene, un canto che si riverbera fra la cavea, le colonne, la facciata fittizia con le sue fughe fantastiche sul palco è l'espressione massima di libertà e vita.


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