L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Anime in pena in cornice bianco blu

di Irina Sorokina

Un cast eccellente, con un tenore che non teme confronti oggi nell'impervia parte di Hermann, riporta in scena La dama di picche di Čajkovskij in un riuscito allestimento ambientato alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.

Mosca, 7 aprile 2021 - “Troyka… Semёrka… Tuz” (“Tre… Sette… Un asso…”): ascoltando queste parole i cuori degli amanti della Dama di picche di Čajkovskij battono forte. Il capolavoro del compositore russo che riuscì a conquistare i melomani occidentali non fa spesso il capolino nei teatri dell’opera. Il motivo? La mancanza di un tenore adatto ad interpretare il ruolo del vulcanico e folle Hermann.

Al Teatro Musicale K.S. Stanislavsky e V.I. Nemirovič-Dančenko di Mosca il tenore felicemente si trova. Si chiama Nažmiddin Mavlyanov ed è di nazionalità uzbeka: dobbiamo ammettere che i miracoli accadono, possiamo considerarlo il migliore Hermann sul mercato, in possesso della voce giusta, di una spiccata musicalità e soprattutto della capacità di trasmettere l’estasi e la follia senza le quali il personaggio di Hermann non esiste. A parte Mavlaynov, La dama di picche sul secondo palcoscenico moscovita vanta un proprio stile inconfondibile e rappresenta non poche curiosità.

Sappiamo che l’originale di Puškin è ambientato nell’epoca contemporanea al sommo poeta, gli anni ’30 dell’Ottocento. I fratelli Čajkovskij, librettista Modest e compositore Pёtr, mezzo secolo dopo la morte di Puškin, preferirono di anticipare la faccenda spostandola all’epoca di Caterina la Grande. Al Teatro Stanislavsky e Nemirovič-Dančenko l’azione, invece, viene spostata in avanti, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.

La magnifica e magica città di San Pietroburgo diventa protagonista delle scenografie del celebre Sergey Barkhin. Chi conosce e ama il Teatro Stanislavsky e Nemirovič-Dančenko percepisce subito il collegamento tra i suoi interni e la veste della nuova Dama di picche: i colori usati sono il bianco brillante e il blu elettrico. Lo spettatore arriva in questo teatro storico in bianco e blu e sul palcoscenico la storia d’amore e gioco è ambientata tra colonne bianche con un fondo blu elettrico. Ma sembra che dietro i colori e il fatto stesso di mettere in scena la nuova versione della Dama di picche si nasconda un significato ben più profondo: la penultima opera di Čajkovsky è da sempre uno dei simboli della seconda compagnia moscovita. L’amava Konstantin Sergeevič Stanislavsky, il grande riformatore del teatro del Novecento, e l’amava Lev Dmitrievič Mikhajlov, per decenni a capo della compagnia dell’opera dell’attuale teatro; le loro produzioni della Dama di picche risalgono rispettivamente al 1930 e 1976. La produzione attuale è del 2016; si percepisce un certo ritmo con cui La dama di picche appare sul secondo palcoscenico moscovita: quarantasei anni passano tra le produzioni di Stanislavsky e Mikhajlov, quaranta esatti tra quelle di MIkhajlov e l’attuale, di Aleksandr Titel’, per molti anni direttore artistico dello storico teatro moscovita e oggi direttore dell’opera.

Semplici, anzi, semplicissime sono le scene di Barkhin: una colonnata classicheggiante che abbbraccia il palcoscenico intero (richiamo a quella della cattedrale della Madonna di Kazan’ a pochi passi dell’Ermitage? O allo stile neoclassico, tipico della Venezia del Nord?) che si rispecchia nel pavimento nero lucido con qualche pozzanghera (che cosa strana! – direbbe qualcuno). Vediamo anche tre colonne, la dorica è blu, la ionica bianca e la corinzia nera. Le costruzioni di Barkhin prevedono l’uso del cerchio del palcoscenico girevole: l’immagine della magnifica città imperiale rimane la stessa e la leggerezza delle scenografie illuminate dal maestro Damir Ismagilov permette allo spettacolo di svolgersi senza soluzione di continuità. Hermann e Lisa, la Contessa e il conte Eleckij, Tomsky e compagnia bella vivono in questa città imperiale, di stampo evidentemente europeo, ma sorta sulle paludi per volere dello zar Pietro il Grande, un riformatore e “europeizzatore” violento della Russia assonnata di boiardi e servi della gleba. La città che entrò in un periodo tragico che porterà sconvolgimento di valori, perdite e morte: siamo catapultati negli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale. Da qui le atmosfere irrequiete, sospese, i sentimenti dolorosi, gli amori tormentati. Il coro dei ragazzini innocenti al Giardino Estivo si trasforma in una marcia quasi seria che imita quella dei soldati che partono per la guerra (fanno un effetto buffo e spaventoso i loro stivali fuori misura), la città è piena di fanciulle in abiti sobri con i tipici grembiuli: sono infermiere pronte a partire per il fronte. E al ballo la folla aspetta l’apparizione dell’imperatore (nell’originale dei fratelli Čajkovskij appare Caterina la Grande, nella versione attuale del regista Aleksandr Titel’ dovrebbe apparire l’ultimo imperatore della Russia Nicola Secondo, che non accade). I sobri costumi di Maria Danilova giocano sulle tonalità di nero, grigio e blu.

La pastorale Sincerità della pastorella cambia la veste anche lei: al posto dell’innocente scenetta bucolica dell’originale assistiamo ad un balletto che si riferisce, senza nasconderlo, ai temi e lo stile de Les Ballets Russes di Sergey Diaghilev, ma i conoscitori della grande letteratura russa ricorderanno sicuramente anche il grande poeta dell’epoca Aleksandr Blok e il suo drammetto Balagančik (Teatrino foraneo). La soluzione di fare recitare a Lisa la parte di Colombina, a Polina quella di Pierrot e a Tomsky qualle dell’Arlecchino è spiritosa e efficace, in perfetta armonia alla scelte di Barkhin-Titel’, mentre nelle versioni tradizionali spesso si assiste a un quadro puramente decorativo; merito anche delle coreografie di Indra Reinholde.

La veste cambiata di questa Dama di picche moscovita non sembra cambiare radicalmente il senso dell’originale; si tratta di atmosfere decisamente più irrequiete nel mondo in cui vivono i personaggi, l’incertezza generale, il presentimento della fine del mondo. Hermann stesso appare travolto non tanto dalla passione di gioco e dalla follia la segue, quanto dal crollo graduale del mondo che sta entrando in guerra.

Il caso ha voluto che si sia ascoltato il migliore cast oggi possibile, senza nessuna esagerazione. Nažmiddin Mavlyanov è, senza dubbio, il miglior Hermann e il miglior Sadko d’oggi. Non ha uno strumento eccezionale, ma voce piuttosto riconoscibile e soprattutto capace di flettersi in conformità al ruolo. Canta con sicurezza e impeto, ma colora la parte con sfumature trasparenti e dolenti. Gestisce perfettamente il percorso psicologico del personaggio: il suo Hermann non è dotato d’anima diabolica, anzi, è semplice e puro; viene travolto e indotto al suicidio dalle atmosfere tragiche fin de siecle, dalla sensazione dell’insicurezza generale. Tutti i celebri assoli sono cantati in modo convincente, da “Ja imeni eje ne znayu” (“Non conosco il suo nome”) a “Prosti, nebesnoe sozdan’e” (“Perdona, creatura celeste”) per arrivare ad una grintosa aria finale “Čto naša žizn’? Igra!” (“Che cos’è la nostra vita? Un gioco!”)

Elena Guseva è assolutamente magnifica nel ruolo di Lisa, una delle migliori Lise d’oggi. Una figura nobile e un viso espressivo in armonia con movenze dignitose, e poi, la voce. "Oh, questa voce!", avrebbe esclamato qualche melomane in estasi e non avrebbe esagerato. La Guseva possiede una voce di soprano lucente, vellutata e piena, una tecnica impeccabile e la capacità di dare un senso drammatico ad ogni nota. L’ultima aria "U Kanavki" ("Nei pressi del canale") è cantata in modo magistrale, e già dal recitativo iniziale riesce a scuotere le anime grazie all’espressione profonda di dedizione e rassegnazione.

Una bellissima sorpresa per chi aspettava la Contessa in vecchio stile, senza offendere le storiche interpreti del ruolo all’epoca d’oro del Bol’šoj. Oksana Kornievskaya non è una vecchia brontolona scontenta di ogni cosa, non è cattiva né insopportabile, disegna una donna in gamba dotata di un carattere fermo, di una rara eleganza e di una spiccata ironia. Non muore certo perché spaventata dal folle Hermann, ma perché è stanca di vivere nell’atmosfera di insicurezza e l’imminente distruzione. La sua voce pure è perfetta per questa Contessa relativamente giovane e dal carattere indomabile: un mezzosoprano potente, ricco di colori e vibrazioni che emozionano facilmente.

Il Teatro Stanislavsky e Nemirovič-Dančenko può essere fiero dei suoi baritoni, Aleksey Šišlyaev e Evgheny Kačurovsky, rispettivamente Tomsky e il principe Eleckij, entrambi in possesso di voci belle e timbrate; qualche mancanza di morbidezza non rovina la buona impressione.

Natal’ya Zimina nel ruolo di Polina possiede una voce eccezionale di mezzosoprano, morbida e dal bel colore scuro, perfetta per la profonda malinconia della celebre romanza “Podrugi milye” (“Amiche care”).

Una “coppietta” perfetta dei giocatori formano Kirill Matveev (Čekalinsky) e Roman Ulybin (Surin). Ottimi tutti i comprimari, Čaplicky – Čingiz Ayušeev, Narumov – Maksim Osokin, un cerimoniere - Kirill Zoločevsky, una governante – Veronika Vyatkina, Maša – Maria Makeeva. Molto efficace il coro del Teatro Stanislavsky e Nemirovič-Dančenko preparato da Andrey Reinhold e Stanislav Lykov anche se a volte la dizione non è nitida.

La prima è stata diretta da Aleksandr Lazarev, nel passato il direttore principale del Bol’šoj che aveva assunto tempi piuttosto accelerati se confrontati a quelli a cui siamo abituati ascoltando i vecchi dischi e le rappresentazioni della Dama di Picche, in Europa piuttosto rare. Felix Korobov sul podio tiene d’occhio l’interpretazione di Lazarev e rimane fedele a sé stesso: la sua personalità burrascosa lo porta ad adottare un tono energico e le sonorità a volte grossolane dell’esecuzione.

Quante messe in scena della Dama di picche vede un melomane o un giornalista nel corso della propria vita? Scommettiamo, non tante. Questa Dama di picche è decisamente tra le migliori di tutti i tempi, la più dinamica, profonda, fantasiosa, in una veste elegantissima e con i cantanti migliori del momento. Coinvolge e sconvolge. Lunga vita alla penultima opera di Čajkovskij, al teatro bianco e blu sulla storica via moscovita che parte da piazza Puškin, nelle vicinanze del Bol’šoj.


 

 

 
 
 

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