L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Accoppiate vincenti

di Alberto Ponti

Il connubio Dante/Liszt si afferma, in un lavoro temerario e innovativo a un tempo, con vivida resa pittorica per merito dell’attenta direzione del giovane uzbeko affiancato dall’ottima prova del coro Maghini

Torino, 13 maggio 2021 - Nell’ampio tributo musicale reso negli ultimi duecento anni alla Commedia, la Dante-Symphonie di Franz Liszt (1811-1886) occupa un posto di primissimo piano, unica opera ad ambire a una rappresentazione congiunta delle cantiche di Inferno e Purgatorio, cui sono rispettivamente dedicati i due estesi movimenti che la compongono. Il compito avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque ma non al compositore ungherese, già ispiratosi a testi del grande poeta in una manciata di brani pianistici (su tutti la Fantasia quasi Sonata – Après une lecture de Dante compresa negli Années de pèlerinage), che si dedicò alla partitura, partendo da schizzi precedenti, soprattutto nel 1855-56 per dirigerne di persona la prima esecuzione l’anno successivo.

Il sesto Concerto di primavera dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, il secondo con un ridotto pubblico nuovamente ammesso in sala dopo un’assenza della platea degli spettatori che, causa pandemia, durava dallo scorso autunno, ha offerto la possibilità abbastanza rara di ascoltare dal vivo un lavoro tanto citato quanto in realtà poco eseguito, all’interno del quale l’istinto per soluzioni timbriche di un’originalità geniale e inedita per l’epoca convive con la ricerca dell’effetto a forti tinte debitore nella prima parte della sinfonia a un gusto capace di sfiorare talvolta il pompier.

Il trentatreenne Aziz Shokhakimov, nome ormai affermato tra la più recente generazione di bacchette, replica nella direzione di questa generosa pagina romantica il talento analitico che abbiamo in lui riconosciuto e apprezzato nelle passate stagioni, in primo luogo in un repertorio novecentesco e contemporaneo che gli è particolarmente congeniale. Consapevole dei rischi insiti in un pezzo che, nonostante la bontà di numerosi spunti melodici, cade a volte in eccessi didascalici come negli incisi iniziali degli ottoni che riportano sotto le note, immaginaria linea vocale, il celebre incipit del canto terzo dell’Inferno (‘Per me si va nella città dolente,/per me si va nell’etterno dolore…), il giovane maestro evita con sapienza le forzature di eccessiva drammaticità in favore di una lettura misurata e cristallina, senza per questo motivo rinunciare ai contrasti d’espressione. Ogni tassello viene così a trovare una propria giustificazione nell’economia complessiva della poderosa costruzione, evidenziando la logicità di un discorso sinfonico che trae un suo equilibrio dalla contrapposizione di episodi di incalzante turbolenza ad altri di estasi sognante. Nell’Allegro frenetico, in cui Liszt sfodera tutte le sue risorse di orchestratore nel rappresentare il ribollire incessante della bolgia infernale, Shokhakimov tende a limare le asperità scoperte, i violenti contrasti per portare meglio alla luce la costante ricerca timbrica di una partitura crocevia di tutte le tendenze musicali dell’epoca. Ecco allora il formidabile recitativo, quasi berlioziano, del clarinetto basso ad introdurre la sezione centrale del primo movimento (Andante amoroso), ispirato all’episodio di Paolo e Francesca da Rimini, dove l’atmosfera, sulle quartine di semicrome dei violini, si fa di colpo rarefatta con un effetto di sospensione temporale che non mancherà di esercitare un’influenza sul finale del Monte Calvo di Musorgskij. Il giovane uzbeko si fa apprezzare dal podio per il cesello della linea del canto del corno inglese, dei violoncelli e poi dei due violini solisti prima della ripresa del tempo iniziale quando, nella transizione aperta dalle veloci note puntate dei clarinetti, par di leggere in filigrana ancora Berlioz e lo Scherzo della Regina Mab.

Gli esiti artistici più elevati vengono però raggiunti nella seconda parte (Purgatorio), suggellata da un corale Magnificat inserito in seguito alle critiche di Richard Wagner che convinse Liszt dell’impossibilità di dare adeguata rappresentazione in suoni del Paradiso dantesco. Qui, tra il paesaggio lunare dei fiati puntellato dai rintocchi dell’arpa, prende forma poco a poco un’estatica melodia infinita, sorella di una pianistica Consolation, che scivola di strumento in strumento ispessendosi in un fugato di complessità crescente fino al grandioso epilogo sulle parole del Vangelo di Luca. Shokhakimov conduce con mano ferma una pagina di nitore cameristico, anche esaltato dal distanziamento tra gli orchestrali sul palco, ma creando, nei passaggi di maggior enfasi, uno spessore sonoro di drammatica eloquenza. Il coro femminile ‘Ruggero Maghini, posizionato all’occasione nella prima balconata con una suggestiva sensazione di canto proveniente da alte sfere, si distingue nel breve intervento per la compattezza priva di sfilacciature adatta a creare il giusto climax dell’opera.

Applausi convinti dei 200 presenti per tutti gli interpreti e per il maestro del coro Claudio Chiavazza chiamato sul palco per una meritata ovazione accanto ad Aziz Shokhakimov.


 

 

 
 
 

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