L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Danze babilonesi

di Roberta Pedrotti

Un inedito verdiano impreziosisce il programma del Festival 2021: Roberto Abbado presenta i ballabili ritrovati per la ripresa di Nabucco a Bruxelles nel 1848 in un concerto che ripercorre sinfonie e cori dall'Oberto a Giovanna d'Arco e al Nabuchodonosor belga.

PARMA, 26 settembre 2021 - Il tesoro nascosto in un forziere popola dall'infanzia le nostre fantasie, anche se sappiamo che la verità è ben diversa e le grandi scoperte in archeologia e filologia si realizzano consumando ore minuziose riga dopo riga, centimetro dopo centimetro, fra polveri di archivi e di siti. Poi, però, capita che a villa Verdi a Sant'Agata si apra un baule dimenticato e questo dischiuda una caverna delle meraviglie. Così, il musicologo Knud Arne Jürgensen ha reperito un inedito rimasto sepolto da oltre centocinquant'anni: i ballabili composti nel 1848 da Verdi per la ripresa di Nabucco in lingua francese alla Monnaie di Bruxelles.

Il Festival Verdi di Parma è la sede naturale per il primo ascolto moderno di queste pagine, dedicate, per la loro destinazione alla danza, alla memoria di Carla Fracci. Ecco, allora un concerto che nell'evocazione del Nabuchodonosor francese ha il suo imprescindibile pezzo forte e punto d'arrivo, con i ballabili preceduti dal coro “Comme le dieu Bel, notre grande reine” (“È l'Assiria una regina”) e seguiti da “Molles brises dans l'air bercées” (“Va' pensiero”). Se le traduzioni provocano al più un effetto lievemente straniante – ma bisognerebbe soffermarsi sull'intero libretto francese per poter avanzare delle considerazioni più articolate – il divertissement dimostra da un lato una certa insofferenza di Verdi verso l'obbligo di uniformarsi alle norme del grand-opéra, tanto più senza una committenza di primo piano come poteva essere quella parigina. Insomma, non è un Verdi troppo ispirato, né ancora, nonostante l'esperienza precedente di Jérusalem, padrone del genere come sarà poi con le danze dei Vêpres, di Macbeth, di Otello, che difatti hanno trovato anche la loro cittadinanza stabile nei programmi concertistici. Si tratta, però, sempre di Verdi, e lo si sente nella qualità della scrittura, nella classe sicura con cui delinea l'assolo del violoncello (molto bene Francesco Maria Parazzoli), nell'articolazione scaltra che ricorda già le Quattro stagioni dei Vêpres. La direzione agile di Roberto Abbado, nervosa dove serve e non nevrotica, morbida se occorre ma “cum judicio”, valorizza appieno la riscoperta insieme con la bella prova, pronta chiara e precisa, dell'Orchestra del Comunale di Bologna.

Si giunge alla meta attesa dell'inedito attraverso una progressione cronologica, più che tematica, che non soffoca il valore del divertissement ritrovato. Oberto, Il finto Stanislao (questo il vero titolo: Un giorno di regno fu soluzione di comodo per distinguersi da precedenti trattamenti dello stesso libretto), I lombardi alla prima crociata, Giovanna d'Arco ci conducono a Nabuchodonosor in un crescendo di tensione. Le prime due opere possono vantare ouverture d'indubbia qualità e colpisce il piglio quasi drammatico, ma non fuori luogo, con cui Abbado slancia quella pimpante dell'opera buffa; tuttavia con il preludio al terzetto dei Lombardi e l'assolo della spalla bolognese Paolo Mancini, con la splendida sinfonia pensata per la Pulzella di Orléans la temperatura del concerto di alza sensibilmente. Parimenti, il coro del Regio di Parma sempre guidato da Martino Faggiani inizia disimpegnandosi in pagine di breve respiro, quasi decorative, dall'Oberto e dal Finto Stanislao (dove, però, il brio donizettiano dei servitori ha già una marcia in più), per poi ritagliarsi il giusto momento di gloria con i cavalli di battaglia dei Lombardi (“O Signore, dal tetto natio”) e Nabucco, in qualunque lingua si canti.

Va da sé, anche la risposta del pubblico va in crescendo e la serata si chiude con numerose richieste di bis. Non vengono esaudite ma, ci si chiede, avrebbe avuto senso risentire “Va' pensiero”, ripetuto come ormai inesorabilmente in ogni recita di Nabucco, e non lasciare intatta la sequenza conclusiva tutta per l'inedito Nabuchodonosor belga e danzante?


 

 

 
 
 

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