L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Gatti romantico

 di Stefano Ceccarelli

All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia torna Daniele Gatti con un programma tutto sinfonico: nel primo tempo, la Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 “Italiana” di Felix Mendelssohn Bartholdy, a seguire la Sinfonia n. 1 in re maggiore “Il Titano” di Gustav Mahler. L’orchestra suona divinamente e il pubblico si scatena in applausi.

ROMA, 25 febbraio 2022 –Daniele Gatti è un direttore particolarmente versato e sensibile nel repertorio romantico; le due celebri sinfonie, una di Mendelssohn e una di Mahler, che formano il programma del concerto permettono a Gatti di esplorare le due anime del romanticismo: quella liricissima, fatata degli esordi, e quella che trascolora in un sensualismo fin de siècle che fu tra le anime maggiori delle avanguardie novecentesche. Si nota, peraltro, in maniera palpabile il differente approccio che il direttore ha riservato alle due partiture. Gatti è un direttore non certo convenzionale nell’approccio a molte partiture. Lo si nota fin dalle briose note che attaccano la Quarta di Mendelssohn, quell’impasto di legni e archi che evoca una solarità tale per cui la sinfonia giustamente merita l’appellativo di “Italiana” – giacché è stata ispirata proprio dal Bel Paese. Gatti intende rarefare il suono orchestrale, giocando con i volumi e rallentando l’agogica. L’effetto è quello di una piacevole rêverie più che di un gioioso e scanzonato abbandonarsi alla solarità mendelssohniana. Tale resa, certo poco convenzionale, nulla toglie però alla luminosità intrinseca del I movimento della Quarta. Gatti, anzi, cava dall’orchestra sonorità sempre più brillanti nel corso del dipanarsi del movimento, seguendo un’ideale climax che culmina nel finale I, dove la ripresa del tema d’apertura appare più decisa, più immediata. La direzione di Gatti incontra pienamente la tradizione nell’Andante con moto, dove si attiene a un ritmo largo, quasi angosciante nella mesta melodia che sembra trascinarsi nell’orchestra. Gatti legge con naturalezza, arieggiando, il III movimento (Con moto moderato), che si distacca nettamente dal tipico scherzo mendelssohniano, proponendo una melodia che si dipana con elegante morbidezza. Nel Saltarello finale (IV) si può vedere che Gatti sa anche togliere i freni all’orchestra, quando vuole. L’accompagnamento ostinato degli archi è penetrante e i legni gorgheggiano frammenti melodici; tutta l’orchestra, poi, dopo andirivieni e riprese, si innalza in un finale che viene fuori dalle fioriture dei legni. Il pubblico applaude calorosamente.

Nel secondo tempo Gatti legge la Prima di Mahler. Dopo aver atteso un silenzio quasi assoluto in sala, il direttore attacca il I movimento, che inizia su un pedale sonoro lievissimo dal quale emergono le screziature dei legni. Gatti è magistrale nel soppesare i vari ingressi strumentali, il volume orchestrale e l’attenta coesione del tutto, fino al florido primo tema, espressione ideale di quel Naturlaut evocato dal titolo del movimento. Nello sviluppo si nota l’abilità di Gatti di sgranare tutti gli interventi strumentali, badando finanche ai minimi particolari. Polso, ritmo, compattezza sono le abilità che Gatti mette in campo nel leggere il II movimento, una danza popolare nerboruta, dal sapore a tratti avvinazzato, che sa cogliere un’immediata spontaneità, filtrata solo dall’orchestrazione ricchissima del tessuto sinfonico mahleriano. Il vero nucleo della sinfonia, però, è il III movimento; qui Gatti mostra tutta la sua raffinatezza nel dosare l’ironia sinistra del tema principale (un motivo popolare da noi noto come «Fra Martino campanaro») e il carattere funebre impresso dal ritmo dell’intelaiatura orchestrale, la comica marcia funebre degli animali per il cacciatore (secondo quanto specificato dal compositore stesso nel programma). Gatti riesce a cavare quelle sonorità fanciullescamente ironiche, ammantate però di un velo malinconico, finanche sinistro, che poi è la cifra più originale di Mahler in questa sinfonia. Dopo un accordo assordante a piena orchestra, Gatti attacca l’ultimo movimento (IV), esempio di sublime gigantismo mahleriano, dove il direttore si confronta con una scrittura ardente e titanica, come pure con momenti di intenso lirismo. Dopo un finale spettacolare, dove gli ottoni e le percussioni si stagliano superbi sopra gli archi in gran parata, il pubblico applaude calorosamente e meritatamente direttore e orchestra, che si distingue ancora per la straordinaria bellezza del suo suono.


 

 

 
 
 

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