L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un'elegante routine

di Lorenzo Cannistrà

Il pianista inglese Paul Lewis propone un interessante recital per la stagione concertistica del Quartetto, con un programma in cui due celebri sonate beethoveniane, Patetica e Appassionata, incorniciano le Bagatelle op. 97 di Sibelius, Children’s corner di Debussy e la Polacca-Fantasia op. 61 di Chopin. L’interprete, pur nella sua generale correttezza ed efficienza, non ha però brillato per originalità

MILANO, 8 marzo 2022 - Molti anni fa lessi su un’autorevole magazine musicale un’intervista a Uto Ughi, in cui il celebre violinista si raccontava a tutto tondo, anche grazie alle abili domande del giornalista. Tra le sue innumerevoli esperienze professionali dirette e indirette, Ughi ricordava di non aver dormito una volta per due notti dopo aver sentito la Wanderer-Fantasie di Schubert suonata da Radu Lupu, e non ci sembra un’iperbole, considerata la profondità che il pianista rumeno riusciva ad infondere nelle partiture affrontate, almeno nei momenti migliori della sua carriera.

Confesso, e chiedo scusa se inserisco notazioni personali, di non aver mai perso il sonno a causa di memorabili performances artistiche; per converso, mi è capitato spesso di rimuginare sognante durante il giorno su qualche esecuzione particolarmente significativa. L’ultima volta mi è successo ascoltando per radio proprio l’ultimo movimento della Wanderer suonato dal pianista inglese Paul Lewis, che onestamente conoscevo solo di nome. A colpirmi non fu tanto la profondità di pensiero quanto, più banalmente, l’efficienza fisica. Rimasi davvero stupefatto dalla freschezza, quadratura e, diciamo pure, dalla muscolarità che il pianista sfoggiava specialmente nelle terribili ultime battute, per quanto si trattasse di una registrazione in studio. Chi ha la pratica digitaledi questo pezzo sa quanto sia massacrante la scrittura schubertiana, e quanto siano in agguato fatica e irrigidimento, che non consentono di continuare a chi non abbia una tecnica men che perfetta. Nel caso di Paul Lewis la qualità e l’intensità del suono di quegli ultimi arpeggi ed accordi di do maggiore mi avevano dato l’idea che il pianista britannico fosse fatto praticamente d’acciaio.

Cercando qualche notizia in più, ho trovato che Lewis, allievo fra gli altri di Alfred Brendel, è piuttosto incensato dalla critica per le sue esecuzioni del repertorio classico, in special modo Beethoven e Schubert (anche se si è dedicato con non minore impegno ad Haydn e Brahms) e la sua pluripremiata discografia gli ha permesso di assurgere ad un ruolo di primo piano nel panorama concertistico internazionale.

Mi sono quindi accinto con una certa curiosità ad ascoltare questo recital per la stagione del Quartetto nella Sala Verdi del Conservatorio, ritrovandomi tuttavia non del tutto convinto al termine del concerto.

Due parole intanto sul programma. Nell’attività di un interprete la scelta dei pezzi con i quali comporre un recital rappresenta in qualche modo un forma d’arte, “minore” forse, ma pur sempre un’attività schiettamente artistica. L’impaginato proposto da Lewis esprime un’idea ben precisa e facilmente percepibile, una forma circolare che vede agli estremi due importanti sonate di Beethoven – Patetica e Appassionata – e in mezzouna raccolta di Bagatelle di Sibelius (nientemeno), Children’s Corner di Debussy e la Polacca-Fantasia op. 61 di Chopin. Quanto a Sibelius, il termine Bagatelle rimanda subito alle insuperabili raccolte beethoveniane, e quindi l’esecuzione dopo la Patetica ha un senso. Ma Children’s Corner? L’unico legame con Sibelius sembra essere il numero dei pezzi della raccolta (sei) e il fatto di essere dei brevi quadretti pittorici, mentre musicalmente siamo lontanissimi perchè l’ispirazione di Sibelius sembra rimandare più al mondo romantico di Schumann che alla raffinata ricerca sonora di Debussy – a tacere del fatto che sarebbe stato forse più “soddisfacente”, anche per l’umore del pubblico, terminare con un pezzo come Pour le Piano, che avrebbe proseguito nel solco tracciato dall’interprete, ma con un robusto aggancio alla forma-sonata. La Polacca-Fantasia viene invece proposta nella seconda parte accanto all’Appassionata, con accostamento apparentemente un po’ bizzarro. Riflettendoci su, la scelta non è invece così peregrina, in quanto il viaggio proposto da Lewis imbocca un cammino a ritroso che da Debussy prosegue con uno dei pezzi chopiniani in cui maggiormente la ricerca timbrica anticipa gli esiti del compositore francese. Il cerchio si chiude con l’Appassionata, ma qual è il legame con la Polacca-Fantasia? L’op. 57 non rientra, almeno nominalmente, tra le “sonate quasi una fantasia”, come la sonata Al chiaro di luna, per intenderci, e tuttavia l’ “isola” rappresentata dal secondo movimento, incastonato tra due abissi, ricorda proprio l’op. 27 n. 2. Inoltre il primo movimento dell’Appassionata ha un carattere misterioso, incerto, quasi esitante, in cui i temi non sono rigorosamente e classicamente contrapposti, ma sembrano trascolorare l’uno nell’altro, o irrompono senza essere preceduti da cesure: qualcosa del genere succede anche nel pezzo chopiniano. Quindi un impaginato forse non perfetto, ma ragionato e stimolante.

Venendo all’interpretazione, dovrò essere un po’ tranchant nel dire subito che Lewis questa sera non è stato un pianista d’acciaio, nè sono riuscito ad ascrivergli quella cifra poetica per la quale è osannato da parte della critica. Mi ha dato invece l’idea di un interprete dotato, ma non dotatissimo, un professionista di ottimo livello che ha offerto un buon prodotto, ma che appartiene più ad una certa routine concertistica, lontana da deludenti mediocrità ma anche senza particolari acuti.

Questo non significa che il pianista di Liverpool non abbia belle qualità. L’aggettivo che meglio rappresenta il suo modo di suonare probabilmente è plastico: quello che passa sotto le sue mani assume una notevole nettezza di suono e di contorni nel fraseggio. Niente viene buttato lì con noncuranza o sprezzante disinvoltura, tutto è ben illuminato in maniera rassicurante, anche se prevedibilmente, e questo spiega anche il suo buon successo di pubblico. L’esecuzione della Patetica è stata per la verità inficiata da qualche errore di troppo (ma il pianista a metà del primo tempo è stato disturbato da un rumore tecnico proveniente dalla sala). Le Bagatelle di Sibelius si sono rivelate delle miniature davvero interessanti e piacevoli, mentre l’interpretazione di Children’s è apparsa po’ sbiadita (a parte Golliwogg's cake-walk). Il pianista britannico ha dato il meglio di sè nella seconda parte. La sua Polacca-Fantasia ha ricordato, sia pure qualche livello più in basso, la celebre incisione del giovane Pollini, e quindi è stata disegnata perfettamente, senza ansie e misteri, ma con un ottimo slancio e un finale virile in cui vengono ben sottolineati tutti i corposi bassi. La sua Appassionata non ha tradito le aspettative, l’esecuzione in alcuni momenti è stata davvero infuocata (particolarmente ben riusciti la sezione centrale e il finale del primo movimento), anche se priva di spunti interpretativi davvero interessanti. Finanche nei bis (Mendelssohn, Lieder ohne Worthe op. 19b n. 1 e op. 53 n. 3) il pianista non si è scomposto più di tanto, mantenendo un aplomb, lasciatemelo dire, veramente inglese.

In definitiva, un bel concerto e buona musica, senza dubbio. Il pubblico se n’è tornato a casa soddisfatto, Uto Ughi ha dormito tranquillamente, e io il giorno dopo ho potuto attendere alle mie faccende senza eccessive distrazioni.


 

 

 
 
 

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