L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il segno dei tempi

di Roberta Pedrotti

Preceduto da un fuori programma dedicato alla guerra in Ucraina, il concerto di Valentin Uryupin, direttore, e Sergey Khachatryan, violino solista, procede nel segno di Schumann nella luce tormentata e introspettiva dei nostri tempi.

BOLOGNA, 26 marzo 2022 - Valentin Uryupin debuttò al Comunale di Bologna in concerto con il pianista Antonii Barishenskiy. Russo il primo, ucraino il secondo. Valentin Uryupin torna in terra felsinea e prima di levare la bacchetta parla. Parla di pace, di odio per ogni guerra, annuncia che il programma schumanniano previsto in origine sarà aperto da una pagina di Valentyn Syl'vestrov, nato a Kiev nel 1937. Difficile non provare un brivido, non commuoversi un po'.

Poi si torna nei binari del cartellone impostato mesi fa, a Schumann, ma non può essere uno Schumann ignaro e innocente di ciò che lo circonda. Arriva Sergey Khachatyan per il concerto per violino e orchestra in Re minore e subito si impone la classe del musicista là dove nulla di appariscente o di facile è concesso dalla partitura al solista. Il violinista armeno, però, non è semplicemente un virtuoso, anzi, la sua valentia tecnica emerge, raffinatissima, in filigrana là dove si voglia tendere l'orecchio al dominio del vibrato, al senso dell'arcata, all'articolazione del suono e della frase. Lo avevamo ben inteso nel concerto bolognese tenuto con la sorella Lusine qualche mese fa, lo ritroviamo oggi nella frastagliata introspezione imposta da Schumann. La splendida lettura del primo movimento della sonata n.1 di Ysaÿe non fa che confermare come l'intensità del colore corrisponda all'intelligenza e alla classe di un autentico artista, applauditissimo anche dopo la suggestiva, sentita esecuzione di un brano tradizionale armeno.

Uryupin non è, dal canto suo, un semplice accompagnatore, ma imprime sin da subito la sua visione in perfetta sintonia con il solista. Dal Concerto alla Sinfonia Renana il passo è breve e svela tutta la dolorosa anti retorica dell'ultima fase della vita di Schumann. Il compiacimento dell'esibizione del solista con l'orchestra, l'amabile ispirazione paesaggistica si frantumano in un percorso interiore, sono dialoghi e viaggi problematici, ricerche inesauste. Non per questo, però, il maestro russo forza il discorso in involuzioni psicanalitiche e destrutturazioni: si mantiene rigoroso, teso, talora cupo, mai monotono senza perdere varietà e continuità, insomma, senza che la sua lettura si trasformi in una sovrainterpretazione, ma renda semmai anche lo spirito dei tempi. L'orchestra lo segue bene nella ricerca del colore e si condonano volentieri alcune sbavature nei fiati nell'ambito di un'esecuzione coerente, sentita, solenne ma non sussiegosa, premiata da un franco consenso di pubblico.

Valentin Uryupin debuttò al Comunale di Bologna in concerto con il pianista Antonii Barishenskiy. Russo il primo, ucraino il secondo. Valentin Uryupin torna in terra felsinea e prima di levare la bacchetta parla. Parla di pace, di odio per ogni guerra, annuncia che il programma schumanniano previsto in origine sarà aperto da una pagina di Valerntyn Syl'vestrov, nato a Kiev nel 1937. Difficile non provare un brivido, non commuoversi un po'.

Poi si torna nei binari del cartellone impostato mesi fa, a Schumann, ma non può essere uno Schumann ignaro e innocente di ciò che lo circonda. Arriva Sergey Khachatyan per il concerto per violino e orchestra in Re minore e subito si impone la classe del musicista là dove nulla di appariscente o di facile è concesso dalla partitura al solista. Il violinista armeno, però, non è semplicemente un virtuoso, anzi, la sua valentia tecnica emerge, raffinatissima, in filigrana là dove si voglia tendere l'orecchio al dominio del vibrato, al senso dell'arcata, all'articolazione del suono e della frase. Lo avevamo ben inteso nel concerto bolognese tenuto con la sorella Lusine qualche mese fa, lo ritroviamo oggi nella frastagliata introspezione imposta da Schumann. La splendida lettura del primo movimento della sonata n.1 di Ysaÿe non fa che confermare come l'intensità del colore corrisponda all'intelligenza e alla classe di un autentico artista, applauditissimo anche dopo la suggestiva, sentita esecuzione di un brano tradizionale armeno.

Uryupin non è, dal canto suo, un semplice accompagnatore, ma imprime sin da subito la sua visione in perfetta sintonia con il solista. Dal Concerto alla Sinfonia Renana il passo è breve e svela tutta la dolorosa anti retorica dell'ultima fase della vita di Schumann. Il compiacimento dell'esibizione del solista con l'orchestra, l'amabile ispirazione paesaggistica si frantumano in un percorso interiore, sono dialoghi e viaggi problematici, ricerche inesauste. Non per questo, però, il maestro russo forza il discorso in involuzioni psicanalitiche e destrutturazioni: si mantiene rigoroso, teso, talora cupo, mai monotono senza perdere varietà e continuità, insomma, senza che la sua lettura si trasformi in una sovrainterpretazione, ma renda semmai anche lo spirito dei tempi. L'orchestra lo segue bene nella ricerca del colore e si condonano volentieri alcune sbavature nei fiati nell'ambito di un'esecuzione coerente, sentita, solenne ma non sussiegosa, premiata da un franco consenso di pubblico.

 


 

 

 
 
 

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