L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un sorriso nostalgico

di Irina Sorokina

Al Filarmonico di Verona la ripresa dell'Aida "in miniatura" pensata per Busseto celebra il centenario della nascita di Franco Zeffirelli. La centralità dell'estetica si riflette anche sul cast.

VERONA, 12 febbraio 2023 - Buon compleanno Franco Zeffirelli, il grande, grandissimo regista toscano che fece epoca nel cinema e nella lirica. Generazioni intere ricordano ancora le risate che venivano spontaneamente quando si guardava La bisbetica domata, i sospiri quando ci si teneva mano nella mano e si scambiava un bacio furtivo nel cinema dove proiettavano Romeo e Giulietta. Dei melomani non ne parliamo, gli amanti della lirica si presentano regolarmente ai suoi grandiosi allestimenti all'Arena di Verona, e anche il Festival del centenario ha inserito nel cartellone le sue versioni sceniche di Aida, forse la più kitsch di tutta la storia dell’anfiteatro, Carmen con il suo sforzo disumano di imitare la realtà e La traviata, postuma ed esageratamente lussuosa e sovraccarica di elementi scenici e comparse.

Chi vi scrive dovrebbe ammettere di appartenere a tempi “archeologici” ormai, nel suo archivio si trovano molte recensioni delle opere allestite da Zeffirelli da circa trent’anni a questa parte e fu presente all’Aida “in miniatura” creata in occasione del centenario della morte di Giuseppe Verdi al grazioso teatrino di Busseto di soli duecento posti, nascosto dentro la Rocca Pallavicino (la recensione in lingua russa, www.operanews.ru/busseto.html). Di quella serata si ricordano anche le stradine provinciali che affiancano Busseto, Le Roncole, Zibello, Soragna: se non le conosci rischi a finire chi sa dove, ma sicuramente lontano dall’autostrada A21 che velocemente ti avrebbe portato a casa.

Se all’epoca si aspettava Aida “da camera” visto che era stata progettata per il piccolo teatro di Busseto, le cose non sono andate così. Il regista toscano batté la strada a lui più cara e consona, il palcoscenico riempito di elementi dell’arte egizia familiari a tutti. Grazie al cielo, i cavalli non si potevano essere portati sul minuscolo palcoscenico del teatrino di Busseto, in compenso si erano visti le immagini di templi, piramidi, geroglifici e due statue dalle teste di sciacallo e pantera che fungevano da cornice. La poesia non fu invitata a questa mostra dell’arte dell’antico Egitto dal carattere oleografico che poteva destare un sorriso bonario, e non mancarono i fumi d’incenso non a tutti graditi. La messa in scena multicore e un po’ naïve rievocava le cartoline ottocentesche e le celebri figurine Liebig.

Verosimilmente, Zeffirelli pensò di proporre al pubblico non tanto l’Aida di Verdi, quanto un’immagine dell’Aida come sarebbe potuta esserci in un teatro di provincia nella seconda metà dell’Ottocento. All’epoca la figura di regista non esisteva ancora, ma c’era una persona responsabile della messa in scena chiamata “direttore di scena”. Accettata quest’ipotesi, l’Aida in miniatura di Busseto, ora a Verona, è un fenomeno di teatro piuttosto curioso e addirittura piacevole.

Ora, esattamente ventidue anni dopo, questa produzione approda al Teatro Filarmonico di Verona e la première viene preceduta da un piccolo filmato dedicato a Franco Zeffirelli, che viene definito come “creatore dei sogni”. Siamo d’accordo: si può criticare aspramente o prendere in giro lo stile megalomane del regista toscano, ma non si può negare che riuscì a fare sognare milioni adepti dell’opera in tutto il mondo e attirò una marea di turisti a Verona. “De gustibus non disputandum est”.

Del giovane cast si sarebbe tanto da dire, rispecchia fedelmente le tendenze che si percepivano già vent’anni fa e oggi sono pienamente confermate. Le donne non sempre in possesso di grandi qualità vocali, ma dotate di un bel fisico, preferibilmente magre, anzi magrissime. Spesso brave attrici, capaci di creare un personaggio incisivo e interagire con i partner. Gli uomini non sempre dotati di una bella voce, ma comunque capaci di stare in scena.

Nei panni di Aida e Amneris, principessa etiope e figlia del faraone, due giovani cantanti di nazionalità diversa, la prima cubana americana, la seconda georgiana, tuttavia molto simili tra loro, poiché rispecchiano i requisiti scenici dei nostri giorni: magre, magrissime, ogni abito dona loro, sanno muoversi bene e disegnano protagoniste credibili, capaci di suscitare l’interesse del pubblico. Chi sa se scappa anche qualche batticuore; a nostro parere, l’estetica visiva prevale decisamente sulle emozioni che le due giovani donne potrebbero suscitare. Un’altra cosa strana e sospetta, che le due voci che dovrebbero differenziarsi in modo marcato una dell’altra, sono simili, entrambe poco timbrate, biancastre e soprattutto aspre. Monica Conesa (già annunciata come interprete del ruolo del titolo nel festival del centenario) soddisfa pienamente le aspettative di spettatori riguardo al ritratto di Aida "forma divina". È femminile, affascina per le linee graziose del corpo, cammina scalza sul palcoscenico senza fatica, trasmette un mix di dolcezza, fierezza, umiltà e voglia di riscatto. La parte è studiata attentamente in tutte le sue infinite sfumature, mentre l’orecchio di chi ascolta desidera che il timbro sia più rotondo, nonché più personale.

Nella parte di Amneris, Ketevan Kemoklidze fa decisamente una bella figura e arriva a penetrare nei cuori di chi la osserva e l’ascolta: è un’autentica principessa dal gran carattere e piena di dignità, che non evita gesti indegni, ma alla fine li vince sempre grazie alla nobiltà d’animo. Sfoggia una voce di mezzosoprano dal bel colore che risulta leggermente forzata nel registro grave, è attenta al declamato e lavora molto sulle sfumature. Il suo strumento forte ma, probabilmente, anche delicato, dimostra segni di stanchezza strada facendo: nella scena di giudizio la cantante georgiana è credibile e coinvolgente, ma verso la fine la voce si inasprisce e inizia a destare qualche preoccupazione.

Stefano la Colla sostituisce l’annunciato Ivan Magrì quale Radames: la voce non è male, ben timbrata, squillante, dalla gradevole sfumatura eroica. Disegna un Radames credibile, un valoroso guerriero, ma piuttosto debole sul piano amoroso, un po’ esitante, capace però, alla fine, di assumere i propri doveri. Appare, naturalmente, meno notevole di due donne - anche per “colpa” di Verdi che diede il suo meglio nel disegnare i personaggi femminili - un pochino legnoso, ma il personaggio risulta funzionante. Sul piano vocale, se la cava in “Celeste Aida” e nel resto è sulle orme delle due donne innamorate: la parte è micidiale e ingrata e più si va avanti, più la voce risulta affaticata finché nel terzo atto scappa qualche nota forzata. ln “Oh terra addio, addio vale dei pianti” si aspetterebbe un canto più raffinato.

Dei personaggi principali, sono il basso Antonio Di Matteo e il baritono Yongjun Park che se la cavano meglio. Il primo disegna con voce ben impostata un personaggio autorevole e implacabile. Il secondo è un Amonasro oleografico, in piena armonia con lo stile dell’allestimento, ma nella misura giusta, che non desta troppa ironia. La voce bella, ampia e morbida, è capace di cavata carezzevole come di declamato focoso, mai sopra le righe.

Efficaci i comprimari che affiancano il quintetto dei protagonisti, tutti ascoltati già in Arena: Romano Del Zovo – il Re, Riccardo Rados – il Messaggero, Francesca Maionchi – la Sacerdotessa.

Conferma la propria eccellenza il coro areniano sotto la guida di Ulisse Trabacchin,  che in alcuni brani come l’inizio del secondo quadro produce un effetto magico e raffinatissimo.

È bello ed emozionante vedere sul podio il direttore Massimiliano Stefanelli, fu sempre lui a battezzare questa Aida bussetana più di vent’anni fa e non delude nel giorno oggi. Lavora attentamente con tutti i gruppi di strumenti, gli riesce bene lo struggente lirismo delle arie, in “O cieli azzurri” il suono risulta particolarmente vibrante, in “O terra addio” si riduce ad un delicato mormorio, mentre le scene d’insieme con la partecipazione del coro vantano una mano ferrea e un suono compatto e brillante.

Le coreografie di Luc Bouy sono piuttosto modeste (i ballabili della scena del trionfo sono tagliati), la prima ballerina Eleana Andreoudi figura in modo dignitoso.

Cosa rimane di questa Aida in miniatura messa in scena da Franco Zeffirelli più di due decenni fa, ora arrivata da Busseto a Verona e rappresentata nell’esatto giorno del centesimo compleanno del regista fiorentino? Probabilmente, dei bei ricordi, una moderata voglia di criticare che si sta spegnendo ormai, dei sorrisi ironici e compiacenti. Un’epoca intera se n’è andata, anche se vedremo ancora i grandiosi allestimenti di Franco Zeffirelli nella nostra amatissima Arena.


 

 

 
 
 

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