L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Classico contemporaneo

di Roberta Pedrotti

Per la stagione della Filarmonica Marchigiana, un programma ben costruito intorno all'idea di classico, da Galante a Stravinskij passando per Castelnuovo Tedesco e Casella, con la direzione di Diego Ceretta segna il debutto di Eugenio Della Chiara in un concerto con orchestra.

OSIMO, 30 marzo 2023 - Siamo ancora qui. L'ultimo biennio è stato per la Form artisticamente assai felice, seppure negli ultimi tempi anche costellato di problemi amministrativi sfociati in una crisi che pareva – e per certi versi è stata – all'insegna del “muoia Sansone con tutti i Filistei”, ma il calendario della Filarmonica marchigiana, con la reggenza di Vincenzo De Vivo, in questa prima metà del 2023 è fitto e non mancano delle perle.

Per esempio, c'è un bel programma tutto giocato sul rapporto del XX e XXI secolo con i classici. Stravinskij e Casella si confrontano con Pergolesi (e presunto tale) e Scarlatti, Castelnuovo Tedesco con le forme del concerto solistico, in apertura Carlo Galante si rifà al mito di Orfeo e le sirene per la sua prima assoluta commissionata dall'Orchestra. Se si eccettua la suite dal Pulcinella di Stravinskij, si tratta, infatti, anche di un concerto di rarità e primizie, soprattutto per quanto riguarda il repertorio per chitarra e orchestra, non proprio frequente nelle stagioni sinfoniche, semmai legate alle personalità di singoli artisti: Castelnuovo Tedesco dedicò il suo primo concerto per chitarra e orchestra ad Andrés Segovia, che ne fece suo cavallo di battaglia; oggi il destinatario dell'ouverture concertante di Galante è Eugenio Della Chiara, da sempre attento alla ricerca storica come al rapporto con gli autori contemporanei. Primizia nelle primizie – a conferma della rarità del programma – è la prima volta che Della Chiara si esibisce non solo o in formazione cameristica, bensì con l'orchestra. E lo fa – lui pesarese classe 1990 – nella sua regione con un direttore considerato fra i più interessanti della nuova generazione, Diego Ceretta (classe 1996, neodirettore dell'Orchestra regionale toscana). D'altra parte, la Form detiene il record della nomina del più giovane direttore principale in Italia (Alessandro Bonato, venticinquenne nel 2020) senza che questo sia solo statistica e giovanilismo d'effetto: conta sempre quel che si dimostra e non bisogna temere di dar fiducia a chi la merita presto, così come bisogna evitare di farsi esaltare dal mero dato anagrafico.

Assistendo alla prova aperta che – a tutti gli effetti un'anteprima rispetto alle date ufficiali a Jesi, Pesaro e Fabriano – si dà a Osimo, si ha la misura della chiarezza del gesto, della serietà dell'approccio, della preparazione e dell'attenzione a un equilibrio non semplicissimo qual è quello dell'organico sinfonico con uno strumento intimo come la chitarra classica (si parla proprio di qualità del suono, ché per i decibel in questi casi un piccolo aiuto ben realizzato può esser contemplato, ma non risolve da solo l'impegno richiesto agli interpreti). Della Chiara, peraltro, trasporta con ponderata efficacia il suo gioco cameristico dei colori nella più ampia retorica del concerto e in Galante si fa opportuno contraltare dei marosi e delle sirene evocati dall'assieme nell'incarnare l'idea della cetra (chiara l'assonanza etimologica con κιθάρα, kithára) del musico semidio. In Castelnuovo Tedesco si apprezza l'elegante disinvoltura di un'articolazione ben nitida anche nella frase legata, nel respiro cantabile, nell'interpretazione intelligente delle indicazioni “alla romanza” e “cavalleresco”. Piace la dialettica non solo di pesi, ma soprattutto di fraseggio, densità e colori, rispetto all'orchestra, che se in Galante citava Verdi e si esprimeva con più cupa compattezza, qui trova un gioco variegato e luminoso fra le corde diversamente sollecitate degli archi e della chitarra e le altre sezioni.

La seconda parte del programma, solo orchestrale, mette a confronto due diverse accezioni del neoclassicismo. Quella di Casella da Scarlatti (Toccata, Bourrée e Gigue) sembra quasi un esercizio di stile, una trasposizione dalla tastiera all'orchestra che interessa soprattutto come esempio della sensibilità dell'epoca – e della nostra, che sia all'originale cembalistico sia alla rivisitazione novecentesca guarda con occhio ancora differente rispetto ai tempi dei compositori. Stravinskij parte da presupposti simili di riconnessione al passato, ma lo fa con tutt'altro genio, maestro del falso anche quando inconsapevole (che tutte le melodie “antiche” non siano di Pergolesi importa davvero poco) e della sottile manipolazione formale, ritmica, metrica, timbrica e armonica: insomma, del plasmare il materiale musicale in tutti i suoi aspetti in un gioco di astrazione attraverso il tempo. Anche qui, naturalmente, il filtro nostro contemporaneo nel guardare un autore che guarda a un suo predecessore ha il suo peso. Leggiamo oggi il neoclassicismo di Stravinskij pensando più all'oggi, alla poetica del primo dopoguerra (e all'interpretazione che oggi ne diamo) o alla poetica di duecento anni prima (e all'interpretazione che oggi ne diamo)? È tutto un gioco di specchi che Ceretta gestisce con saggia ricerca di equilibrio senza rinunciare a un tratto più dolce o grottesco, dove necessario, contando sulla bella coesione della Form e sulla qualità di molte prime parti che permettono di godere sempre con chiarezza del tessuto cameristico della partitura.

La prova aperta ospita un attento gruppetto di spettatori, molto soddisfatti dell'opportunità di seguire non solo un programma che non farà poi tappa ufficiale a Osimo, ma anche la breve presentazione del maestro Ceretta e una parte del processo che vede nascere un concerto. 


 

 

 
 
 

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