L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

 Acqua, fuoco e terra con un po’ di Giove

di Mario Tedeschi Turco

Verona ricorda la visita di Mozart alla città fra la fine del 1769 e l'inizio del 1770. Fra gli appuntamenti di quest'anno, Marc Minkowski e Les musiciens du Louvre alle prese con le ultime tre sinfonie del Salisburghese.

VERONA, 13 gennaio 2025 - Continua la recente, bella tradizione veronese (principiata nel 2020) di dedicare il mese di gennaio a celebrare l’antica visita di Mozart alla città, tra il dicembre 1769 e il primo mese del 1770: le principali istituzioni musicali cittadine (Accademia Filarmonica e Fondazione Arena) sostenute dal Comune e da Fondazione Cariverona, organizzano concerti e conferenze incentrati sul sommo compositore, in un’articolazione forse sin troppo ricca, che arriva a una quarantina tra serate e pomeriggi di studio. Quest’anno il piatto forte era costituito dall’esecuzione delle tre ultime sinfonie, al Filarmonico, con gli strumenti originali e la prassi storicamente informata dei Musiciens du Louvre diretti da Marc Minkowski: programma classico e impegnativo, un vero tourbillon di capolavori epocali, che il direttore francese ha brevemente introdotto definendone l’essenza come quella di «un’opera senza parole», nella giustapposizione di «acqua» (Sinfonia 39), «fuoco» (40) e «terra – e anche un po’ di Giove» (41). Le parole didascaliche di Minkowski sono risultate suggestive, nonché porte con grande eleganza e simpatia prima di ogni esecuzione, per quanto di fatto alla romanticizzazione verbale non abbia corrisposto in nulla lo stile esecutivo dell’ensemble. Oggettivamente magnifica la qualità tecnica, dei Musiciens: equilibrio perfetto delle voci strumentali, varietà dinamica in fraseggio, coesione ritmica addirittura stupefacente, intonazione precisa dei legni, e infine ottoni dominati al meglio possibile: il che significa che qualche minima sbavatura si è pure traudita, in quella sezione nella Jupiter,ma considerando l’insondabile difficoltà nel domare quei diabolici strumenti, bene, non si è trattato certo di peccati inemendabili. Il suono d’epoca ne è risultato tornito, la varietà timbrica (e quindi drammatica) del dialogo tra archi e legni ne è sortita immacolata, l’effetto spaziale ottenuto dai due contrabbassi posizionati agli estremi opposti del palco, del pari, ha plasmato un sonic stage di equilibrio e nitore esemplari. Eppure, l’interpretazione di Minkowski nella Sinfonia 39 è parsa mancare di lirismo, i temi dell’Adagio sfumando senza canto, il Minuetto successivo correndo privo di grazia, la campitura totale apparendo forse troppo squadrata, “muscolare” talora. E analogo rilievo ci sentiamo di proporre ancor più per la Sinfonia in Sol minore, diretta a metronomo altissimo, in una torsione espressiva febbrile, spasmodica, che se nel primo movimento è stata forse convincente, fatalmente ha travolto il movimento lento e la danza successiva in un vortice cinetico ottimamente gestito dalla maestria esecutiva dei professori, ma privo di respiro, di elegia, di incanto. Del resto, secondo Minkowski il K. 550 rappresenta, come detto, «il fuoco», e pertanto la sua lettura non può che definirsi coerente (era pressoché la medesima, come ductus complessivo, nella celebre registrazione Archiv del 2006): il che non toglie che la scrittura mozartiana sia stata forzata oltre misura nei movimenti estremi, e che il fraseggio lirico dei movimenti centrali sia stato irrimediabilmente sacrificato. La particolare struttura della Jupiter, per contro, ci è parsa meglio rispondere al concetto di pura energia che di Mozart ha il direttore: in questo caso il piglio guerriero del primo movimento e il ciclone polifonico con la complessità del contrappunto relativo sono giunti con un grado di cesello, di chiarezza, di possanza espressiva e irruenza ritmica davvero rimarchevoli, coerenti con il disegno mozartiano e anzi, di esso in grado di esaltare i dettagli multiformi, lo humour sottile, la varietà degli accenti, delle frasi spezzate e dei semi-motivi di che il brano è inesauribilmente contesto. Anche in questo caso l’ispirazione puramente lirica dell’Andante cantabile ci è sembrata sacrificata, ma in misura minore rispetto alle altre due Sinfonie, e in ogni caso secondo un disegno organico più convincente, globalmente più efficace.

«Acqua, fuoco e terra con un po’ di Giove», ha detto Minkowski: verrebbe da dire che qua e là è mancata l’aria, in queste interpretazioni, l’aspirazione umanissima al canto libero, al melos puro, che di Mozart è cifra non trascurabile; senza eseguirlo come fosse Čajkovskij, ovviamente, ma nemmeno come se si trattasse di Rameau… Non sarà dunque un caso che l’unico bis concesso sia stata propria l’entrata di Polimnia dalle Boréades del grande francese, definito da Minkowski stesso prima dell’esecuzione «il nostro Mozart». Sul che si potrebbe anche consentire, quanto a indiscussa grandezza; ma per quel che riguarda gesto, stile, temperamento, passione, contesto e messaggio no, decisamente l’estenuazione mozartiana radicalmente espressiva del pathos al crepuscolo degli stili empfindsamer e galante (e i relativi aurorali bagliori romantici ante litteram)non è assimilabile in nulla all’austerità del pieno ‘700, e non sono quindi da eseguire con la stessa tensione poetica. Interpretazione comunque di fortissima impronta personale, quella di Minkovski, e di competenza magistrale da parte della sua orchestra: questo è di assoluta certezza, e su questo tutto il pubblico si è trovato d’accordo, con calorosi applausi al termine del concerto.

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