L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Invito alla danza

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ospita un concerto diretto da Kazuki Yamada su musiche di Paul Hindemith (Metamorfosi sinfoniche su temi di Carl Maria von Weber), Sergej Rachmaninov (Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra op. 43) e Igor Straviskij (Petruška). Solista al pianoforte è il talentuoso Alexandre Kantorow.

ROMA, 21 febbraio 2025 – Come nota L. Ciammarughi nel programma di sala, il concerto diretto da Kazuki Yamada presenta tre opere, tre lavori «legati alla danza». L’elemento coreutico, in effetti, emerge già dal primo, le Metamorfosi sinfoniche di Paul Hindemith, che, fin dal I tempo, crea un tessuto musicale basato su sonorità settecentesche a ritmo di marcia, dall’allure straniante. Il suono orchestrale appare subito compatto, pieno, duttile. Kazuki Yamada, alla testa dell’orchestra, bada ad una chiara visione d’assieme, alla tenuta generale del tutto, in particolare su un piano agogico. Bada, sicuramente, anche all’aspetto dei colori e dei volumi orchestrali, ma non appare sempre particolarmente profondo nello spaginare tutti i passaggi; in ogni caso, una resa fluida e naturale permettono di apprezzare la sua mano, che è capace di ottimi effetti. Se il I tempo delle Metamorfosi, come dicevo, presenta un carattere di marcia, in un richiamo costante a soluzioni melodiche e armoniche di impronta settecentesca, il II ha l’aria di un carillon eccentrico, con i legni adagiati sul pizzicato degli archi; da queste nuances orientali (del resto si basa su un tema che Weber pensò per una resa musicale della favola di Gozzi, Turandot) la materia musicale cresce di intensità, in un brillante gioco di variazioni che arriva a comprendere echi sinistri. Il III tempo presenta lunghe arcate degli archi, una rutilante danza del flauto, la quale non toglie un carattere malinconico al brano. Il finale (Marsch) è assai ben letto da Yamada, che ne interpreta il carattere impetuoso e l’ethos cangiante, buona sintesi delle intenzioni musicali di Hindemith in questo brano. Gli applausi invadono il palco. Il tempo tecnico di portare il pianoforte ed il talentuoso pianista Alexandre Kantorow fa il suo ingresso per la Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov. L’interprete, dotato di un tocco fatato, esecuzioni morbidissime, musicalità, fraseggio aereo, riesce al contempo a donare solidità ai passaggi, ove necessario. Notevole è la resa qualitativa dei colori delle differenti variazioni, da quelle più speditamente virtuosistiche a quelle più meditative, intimistiche. Yamada conferma una direzione precisa: l’effetto è stupendo, con il suono orchestrale che si armonizza, nelle varie compagini, con l’esecutore – un’interpretazione tra le più felici cui mi sia stato dato di assistere. Nel prendersi i meritati applausi, Kantorow si congeda con un bis: la trascrizione per pianoforte, a firma di Cziffra, della Valse triste di Vecsey.

Il secondo tempo vede l’esecuzione della suite dal balletto Petruška di Igor Straviskij. La direzione di Yamada giova certamente ad alcuni aspetti della partitura. Il I quadro, imperniato sul tema trascinante della folla alla festa, presenta una buona resa, giacché il giapponese mostra un rigore agogico che fornisce uniformità strutturale e conferisce un ritmo incalzante. Però, benché l’effetto complessivo sia certamente gradevole, passaggi più sfumati, come l’incistarsi, qua e là, di motivi popolari, che introducono poliritmie solo apparentemente semplici, risultano poco cesellati. La tradizione esecutiva (esiste, peraltro, un famoso video in cui è lo stesso autore a dirigere) invita all’uso del rubato, di rallentamenti, di maggior libertà: Yamada, forse, è troppo ligio, rigido ad un’idea agogica, che comunque, in fin dei conti, fa un’ottima figura. Se qualche colore si fa vedere nella scrittura contemplativa del II quadro, increspato da soluzioni armonicamente singolari, nel III il giapponese si muove bene nel dare corpo al valzer del Moro. Il passaggio fra il III ed il IV quadro è fra i momenti più belli della serata, per la pura, tersa qualità del suono, il suo squisito nitore esecutivo. Le danze sono di piacevole freschezza e Yamada porta l’orchestra, tesa e lanciata, fino allo scontro fra Petruška e il Moro; infine, la partitura si stempera nei suoni acidi in cui si materializza, per così dire, lo spirito del burattino. Il pubblico applaude.

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