L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Incauti debutti, traduzioni e tradimenti

di Sergio Albertini

Il lirico di Cagliari riesuma la dimenticabile traduzione italiana della Favorite di Donizetti in una produzione per di più infarcita di tagli e gravata da una concertazione affatto lontana dalla poetica belcantista. L'unico elemento convincente si riconosce nelle scene e nei costumi di Francesco Zito.

CAGLIARI, 8 giugno 2025 - In una lettera del 1844, all'editore Lucca, Gaetano Donizetti non se la sentiva di chiamare 'traduzione' il lavoro che era stato fatto sulla sua Favorite: “La traduzione non già, ma, il sì poco adatto poema che faceste fare sulla mia Favorita”.

Il Lirico di Cagliari rimette in scena, per l'appunto, non già La Favorite di Royer, Vaëz  e Scribe, ma la versione ritmica italiana di Franco Jannetti, che ne stravolge la trama ai limiti del ridicolo e oltre. Dichiara la maestra Venezi in una intervista pubblicata sul programma di sala: “È un titolo che in passato ha conosciuto maggior gloria, si sa. Personalmente mi auguro che recuperi gradimento e che torni, cioè, ad essere allestita con una certa frequenza”. Non è così: La Favorite è andata in scena a Roma (1998). a Bologna (2002), alla Fenice (2016), al Maggio fiorentino (febbraio 2018), al Massimo di Palermo (febbraio 2019), a Bergamo (2022), infine in italiano a Parma (febbraio 2022). E, a costo di apparire pedanti, ma non esaustivi, mi piace ricordare alla 'distratta' direttrice (che pure ama le interviste), che La Favorite (e meno La Favorita) è presente davvero dovunque; le basteranno le piazze (e non sono tutte) che qui elenco: Londra (2008, 2016), Santiago del Cile (2008), Siviglia (2009), Dresda (2009), Parigi (2013), Monte Carlo (2013), Salzburg (2014), Graz (2014). Berlino (2015), Cottbus (2015, 2017), Washington (2016), Madrid (2016, 2017), Marsiglia (2017), Liège (2017), Barcelona (2018), San Pietroburgo (2018), New York (2018) e via seguendo, oltre a due produzioni, a Toulouse (2014, ripresa nel 2025) e a Monaco (2017), disponibili su dvd (e a Toulouse è stata ripresa nel 2025).

Insomma, non proprio un'opera uscita fuori dal repertorio. Diciamo che per una Consigliera per la Musica del Ministero della Cultura della Repubblica Italiana come è Venezi ci si aspetterebbe maggiore cura e attenzione nelle affermazioni.

Ma soprattutto, Venezi, debuttante sul podio dell'opera donizettiana, ha ritenuto evidentemente aggiungere ai tagli di tradizione (oltre all'ovvia assenza dei ballabili), analogamente a quanto infaustamente già fatto sempre a Cagliari per La Traviata, di amputare senza ritegno le riprese delle arie o delle cabalette; così, apparivano monche 'Una vergin, un angel di Dio', 'Vien Leonora', 'Spirto gentil', salvandosi per il rotto della cuffia solo l'aria di Leonora. Poco altro da aggiungere; Venezi, col suo solito gesto da pala eolica, mancando ogni approfondimento sullo stile belcantista, tira fuori dall'orchestra volumi esagerati ed esagitati sin dalla sinfonia iniziale (mai così slabbrati, gli ottoni!), o mollezza di tempi (il duetto 'Ah, mio ben' tra Leonora e Fernando), oltre a un non ben focalizzato rapporto tra buca e coro. Spero che le prossime programmazioni artistiche cagliaritane, col cambio della Sovrintendenza, sappiano valutare meglio il valore di certi 'debutti'.

Debuttante anche tutto il cast vocale – e si notava – a partire dalla protagonista, una onesta e corretta Nozomi Kato. Tenta una lettura da Falcon, ma di fatto rimane un soprano corto, dai gravi deboli, dal fraseggio monocolore. Una Suzuki che non ce l'ha fatta.

Debuttante nel ruolo Antonino Siragusa (che un parrucchino nero e un baffetto da sparviero che, a distanza, fanno somigliare un po' ad Alfredo Kraus). Il primo limite è che Fernando è un novizio, ergo un giovane, intriso di spirito religioso, ma anche di slancio da 'primo amore' dopo la visione di Leonora. Necessiterebbe di una voce che ne caratterizzi queste peculiarità, ma Siragusa ha, a mio avviso, un timbro infelice, sebbene ceselli con scrupolo 'Spirto gentil' (il momento migliore della serata), ammorbidisca con ricercate nuances; purtroppo, poi, il suo (ancora potente) registro di testa rende i pur sicuri Do naturali privi della necessaria, aristocratica eleganza che la parte richiede.

Damiano Salerno è Alfonso XI: possiede un bel timbro baritonale, cerca di legare le frasi che si dipartono da 'Giardini d'Alcazar, suona però poco incisivo in 'Dei nemici tuoi lo sdegno!', e in 'Vien Leonora' non c'è traccia della fondamentale di patina languorosa, screziata di sensualità. Migliorerà.

Una scipita 'Dolce zeffiro' è stata intonata dalla Ines di Michela Varvaro, pallida voce da quasi soubrette accolta da un gelido silenzio dal pubblico della recita domenicale di cui qui si discute.

Notevole registro grave, quello del georgiano Ramaz Chikviladze nel ruolo di Baldassarre; un Don Gasparo di disinvolta presenza scenica e baldanzosa vocalità quello del palermitano Andrea Schifaudo (che spero di ascoltare in ruoli maggiori). Impeccabili come sempre gli interventi del coro preparati da Giovanni Andreoli.

Una nota di merito alle magnifiche scene dipinte di antica tradizione da Francesco Zito; maestose e incombenti le architetture sacre, luminoso il chiostro moresco dove par riconoscere, nella fontana ottagonale al centro, quella dell'affresco del Trionfo della Morte al Museo di Palazzo Abatellis di Palermo (e non è un caso che l'allestimento di questo spettacolo sia stato creato, in origine, per il Teatro Massimo del capoluogo siciliano). Un gioco di metateatro si ritrova, con tocco elegante (qualità che caratterizza gran parte dell'opera di Zito), nella cortina di broccato rosso con in basso ricami dorati. Splendidi i costumi (anch'essi firmati Zito) del coro, rifiniti con particolare cura in ogni loro elemento, ben illuminati (scene e costumi) da Luis Perdiguero.

Tristissima la regia di Allex Aguilera; i personaggi si muovono con interazioni e gestualità d'antan. Peggio capita, ahimè, al coro: sia nell'atteggiamento rilassato e gaudente del secondo quadro del I atto, nella scena quinta dell'atto II, nella scena settima dell'atto III le donne agitano per tutto il tempo del loro restare in scena (o del loro cantare) dei ventagli. Nient'altro. Come se in Siviglia, ai tempi, si soffrisse di un anticipo precoce di menopausa.

Recita fredda (probabilmente per scarsa conoscenza dell'opera da parte del pubblico), con generosa accoglienza finale.

Una manciata di maleducati continua imperterrita a fotografare, riprendere, chattare con i loro cellulari. Forse un maggiore controllo da parte del personale di sala non avrebbe guastato.

leggi anche

Cagliari, La traviata, 26/05/2023

Bergamo, La favorite, 18/11/2022

Parma, La favorita, 25/02/2022

Palermo, La favorite, 24/02 e 02/03/2019

Firenze, La favorite, 03/03/2018


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