Non c'è due senza tre
Nella ripresa dell'Aida firmata da Stefano Poda si apprezzano soprattutto la concertazione di Daniel Oren e l'Amonasro di Amartuvshin Enkhbat, al vertice di una parte musicale nel complesso soddisfacente.
VERONA, 20 giugno 2025 - Sì, è proprio così. Il tempo vola, e dopo una lunga esperienza delle diverse versioni sceniche dell’Aida all'Arena di Verona, piano piano ci si sente abituati. Abituati a che cosa? All’imminente stagione lirica, all’eterna bellezza dell’anfiteatro romano, all’atmosfera festosa prima della recita, agli incontri, a volte inaspettati, con degli amici. Si è abituati al cartellone che spesso non presenta novità e ai sospiri che nascondono il desiderio di qualcosa di nuovo, fresco, un titolo, un concetto di regia, un nome che sorprende. Ma in questo momento preciso non accade, e, quindi, prigionieri del rito sacro, si va ad assistere a Nabucco, Aida, La Traviata, Carmen, Rigoletto e alcuni concerti, anche questi già sentiti o che, comunque, seguono una formula conosciuta. Dopo il dscutibile e discusso Nabucco firmato da Stefano Poda – alcuni l’osannano, gli altri non l’accettano – eccoci a tornare a vedere l'Aida che porta la stessa firma e che per lа terza volta fa la sua apparizione in Arena.
Al suo debutto nell’anfiteatro veronese, in presenza di melomani fedeli frequentatori del festival lirico veronese e di turisti provenienti da tutto il mondo, la messa in scena del regista – e non solo - trentino aveva potuto sia ottenere successo sia suscitare indignazione. Come se non bastasse, la prima avvenne in una serata minacciata della pioggia, e, umoristicamente parlando, a qualcuno scappò non una sola lacrima, vedendo l’Aida del regista/scenografo/costumista/light designer etc. pubblicizzata come nuova, ma in realtà un altro kolossal che si differenziava dai precedenti grazie all’uso di tecnologie avanzate e immagini tipiche dei lavori di Poda, senza evitare una serie di riferimenti ai simboli della civiltà egizia noti agli studenti delle scuole. Ma le messe in scena di De Bosio, Zeffirelli, Pizzi etc. erano tutte a loro modo eleganti, mentre l’invenzione di Poda si è distinta per lo spirito kitsch, ad iniziare dalla mano gigantesca che saliva e scendeva, cambiando il colore simboleggiando il potere senza confini e senza pietà, per proseguire con la palla luccicante a abbagliante con un probabile riferimento al sole e con tante altre invenzioni che destavano un sorriso ironico.
Oggi, pare che gli occhi si siano abituati al luccichio stancante come alla presenza di centinaia di persone fra coristi e figuranti, sicché le polemiche non sono più all’ordine del giorno: il grandioso blockbuster che non guarda in faccia a nessuno e tratta i personaggi come burattini ha come attrattiva una spettacolarità multipla, non senza spunti interessanti.
In quest’edizione di Aida firmata Poda "numero tre" è impegnato un cast molto dignitoso e anche di più, capitanato non dal soprano o dal tenore, ma dal baritono. E c’era da aspettarselo, quando sulla locandina figura il nome di Amartuvshin Enkhbat. Nella première della cosiddetta Aida di cristallo (la definizione della messa in scena firmata Stefano Poda messa in circolazione dall’ufficio stampa dell’Arena di Verona) il baritono mongolo conferma per l’ennesima volta le sue qualità artistiche: voce d’altissima qualità, musicalità raffinata e dizione chiarissima.
Nel ruolo del titolo il soprano uruguayano di origini italiane Maria Josè Siri: sembra non ci abbia mai lasciati, pochi passi indietro e eccola ritrovata al Teatro Filarmonico e all'Arena di Verona in tante difficili parti di protagonista. Per nulla diversa nell’Aida “di cristallo”: strumento importante per volume ed estensione, qualità interpretative sufficienti, tenuta necessaria, tutti i registri a posto. Ci vorrebbe una personalità artistica più forte, tuttavia alla Siri si riconoscono tecnica solida e resistenza vocale apprezzabile, bel legato e filati ammalianti. In “O cieli azzurri” incanta e commuove grazie a sfumati raffinati e al bel do acuto finale: nei panni della principessa etiope Maria José è una garanzia.
La rivale della protagonista, la “figlia dei faraoni” Amneris trova un’interprete di fascino non indifferente e qualità vocali importanti in persona del mezzo soprano polacco Agnieszka Rehlis. Timbro bello, morbidezza naturale e registri ben equilibrati sono felicemente affiancati da una vasta gamma dei colori e dalla parola espressiva. Il personaggio appare vivo, ricco di sfumature psicologiche e fuori da ogni esagerazione.
Nell’anello delle voci impiegate nell’Aida “di cristallo” il tenore appare il più debole; il problema che si rappresenta sempre e ovunque. I panni del guerriero bello, giovane e follemente innamorato sono vestiti (in sostituzione dell'indisposto Luciano Ganci) dal tenore americano Gregory Kunde, una volta ammirato per le sue interpretazioni dei ruoli rossiniani al festival che porta il nome del Pesarese. Oggi, nel repertorio verdiano, in età non più verde e in spazi così ampi, alcune note dolenti non si possono evitare, pur portando sempre rispetto al grande cantante. La voce risulta indebolita (naturalmente), a tratti addirittura, troppo debole, la si sente con fatica. La bellezza del timbro, la linea di canto, l'acuto finale dell'ingrata romanza del primo atto mostrano il passare del tempo, qualche ruvidità e imprecisione.
Il coreano Simon Lim (Il re) e il russo Alexander Vinogradov (Ramfis), due bassi ben conosciuti dal pubblico areniano, figurano in modo perfetto nei ruoli a loro affidati,
Molto collaudati gli interpreti dei “piccoli”, ma importanti ruoli di un messaggero, Carlo Bosi, un tenore di bello squillo e parola ben scolpita, e la gran sacerdotessa, Francesca Maionchi, che sfoggia il legato dal carattere particolare, realmente aereo.
Il coro areniano preparato da Roberto Gabbiani distingue per bellezza e compattezza del suono.
Il ritorno di Daniel Oren, il più “areniano” dei direttori mai saliti sul podio nell’anfiteatro veronese, viene letteralmente festeggiato dal pubblico (tanti anni fa girava il simpatico gioco di parole, se l’Aida veronese fosse “areniana” od “oreniana”). Gli anni che passano, sembra non esercitino potere sul direttore e alla prima dell’Aida lo troviamo, come sempre, concentrato, energico, imperioso. Se all’Arena non si può togliere Aida, all’Aida non si può togliere il maestro israeliano, il cui debutto in quest’opera risale al 1984! Nella comunicazione con i musicisti Oren usa, insieme al gesto energico, il linguaggio del corpo, che nel passato poteva sembrare esagerato e oggi è ancora più espressivo e ben misurato. Oren e l’energia, Oren e la precisione, Oren e la chiarezza, Oren e la ricchezza di sfumature sono sinonimi e l’Aida “di cristallo” che ha debuttato ieri sera, non può che essere che un successo. Numerose chiamate ed espressioni d’ammirazione simpatia alla fine dello spettacolo.
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