L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dentro Macbeth

di Roberta Pedrotti

Con la regia di Manuel Renga e la direzione di Francesco Lanzillotta Macbeth al Teatro Verdi di Busseto colpisce nel segno, dando senso a una produzione purtroppo destinata a pochi intimi, quasi immersi nell'azione.

BUSSETO, 4 ottobre 2025 - Diciamocelo sinceramente: dopo l'edizione del 2018 (versione 1847), quella del 2020 (in forma di concerto, versione 1865 con libretto francese) e del 2024 (in forma scenica, versione 1865 con libretto francese), non si sentiva l'impellente necessità di un altro Macbeth nel Festival Verdi, tanto più che l'opera è ormai ampiamente di repertorio e anche la prima stesura rispunta di quando in quando nei cartelloni ordinari – e tacciamo della moda balzana di incastrare il finale del '47 in quello del '65. Per di più, siamo a Busseto, in quel teatro minuscolo che lo stesso Verdi maldigerì, considerandolo del tutto superfluo: troppo piccolo per l'opera com'era troppo piccola la cittadina. Eppure siamo qui e ce la godiamo, perché in fondo è nella natura dell'opera vincere ogni previsione e ragionevole considerazione.

Per quanto riguarda la regia di Manuel Renga, logica vorrebbe che si stigmatizzasse quella pedana intorno alla buca che riduce la capienza già minima della platea e lascia a casa potenziale pubblico. Probabilmente se ne sarebbe potuto fare a meno e tuttavia lo spettacolo è tanto bello che ci dimentichiamo tutto entrando nello sguardo del sicario che attende l'arrivo di Banco o di Macbeth che si pone in disparte mentre si invoca il marchio di Caino. Renga è bravo, davvero bravo, un altro esponente di una giovane generazione di registi italiani con tutte le carte in regola, per tecnica cultura e sensibilità, per fare grandi cose (e spesso, guarda caso, con un cammini formativo che ha incrociato il grande maestro Graham Vick). Questo Macbeth abita lo spazio teatrale con corpi e simboli più che con fronzoli decorativi, è azione ed è dramma, ricco di riferimenti colti ma non criptici: come le foglie sono le sorti degli uomini da Mimnermo a Ungaretti, sulle foglie la Sibilla Cumana scriveva i suoi vaticini, le foglie ricorrono come moniti del destino. Elementi borghesi, abiti “da attore” che insinuano un disincanto metateatrale si intersecano con elementi ancestrali, spiriti della natura, demoni pagani, capri espiatori, o, per la parata dei re futuri, spoglie e memorie di soldati defunti. Questo firmato da Manuel Renga con le scene e i costumi di Aurelio Colombo, le luci di Emanuele Agliati (notevoli i giochi d'ombra che ci ricordano quanto Verdi stesso avesse studiato le fantasmagorie più innovative per gli effetti sovrannaturali) e le coreografie di Paola Lattanzi è uno spettacolo forte e intelligente, essenziale e pensato che esprime di per sé la propria necessità.

Tutto si sposa assai bene con la concertazione al solito analitica di Francesco Lanzillotta, che asseconda il passo drammaturgico di quella che non è una bozza o un “tavolino zoppo” (come invece il primo Simon Boccanegra), bensì una versione alternativa con pari dignità della successiva, solo concepita in altro momento, con altri strumenti e altra prospettiva. Difatti qui – avevamo promesso di tacerne, ma è impossibile – il monologo dello spirante, sconfitto Macbeth possiede quella sua cupa forza che viene del tutto svilita quando lo si conficca come corpo estraneo nella stesura parigina. E, del pari, l'asprezza, la violenza, la grana petrosa del suono viene ricercata da Lanzillotta, che sembra pure sfruttare l'esuberanza giovanile, l'emozione, perfino qualche piccola sbavatura per inesperienza dell'Orchestra Giovanile Italiana per un'idea condivisa di teatro totale, teso dal serpentino preludio al feroce finale.

Se da un lato un teatro così piccolo sembra coccolare le voci, in realtà cela più di una insidia, vuoi per l'umana tentazione di godersi queste sonorità rigogliose, vuoi soprattutto per un impegno senza requie, una vicinanza che non ammette errore o distrazione. In questo impegno totalizzante, esce vincitore senz'altro Vito Priante, mozartiano e belcantista sopraffino, oggi protagonista verdiano di grande intensità, chiarissima articolazione e plastica tornitura della parola scenica. Nondimeno, Adolfo Corrado – solo pochi mesi fa spassoso Mustafà all'Opera di Roma – è un Banco nobile e autorevole, così come Matteo Roma si mostra viepiù maturato nella sua pasta lirica rispetto al debutto come Macduff tre anni fa nelle Marche. Notevole è pure la presenza vocale del Malcom di Francesco Congiu, ex allievo dell'Accademia Verdiana come Melissa D'Ottavi (Dama), Emil Abdullaiev (un Medico) e Matteo Pietrapiana (Domestico, Sicario e Prima apparizione). Ricordata Caterina Premori quale seconda e terza apparizione, resta ovviamente la Lady, nodo cruciale di ogni produzione di Macbeth, benché in questa versione un po' meno esposta rispetto a quella del 1865. Maria Cristina Bellantuono, che si alterna con Marily Santoro, ha mezzi senz'altro doviziosi e promettenti, ma sconta il fatto di essere la meno esperta del cast e alle prese con una parte tanto complessa. Ne viene a capo dimostrando controllo e sangue freddo che non ci fanno pesare troppo una coloratura non esuberante (purtroppo “Trionfai, securi alfine” espone molto più di “La luce langue” in questo senso), quanto semmai ci fa consigliare di guardarsi dalla tentazione di un overacting vocale, caricando l'espressione anche oltre il necessario. Tutto comprensibile, tuttavia: il tempo saprà darle maggior sicurezza e suggerire gli opportuni colpi di lima, e oggi usciamo comunque dal teatro soddisfatti.

Gli applausi, infatti, premiano tutti, con punte di entusiasmo per Priante e Corrado, senza dimenticare il coro del Regio preparato da Martino Faggiani. Un'accoglienza mista fra applausi e bu si ha solo per l'ostensione finale della bandiera palestinese: fa riflettere che una situazione tanto complessa e sfaccettata che potrebbe semplificarsi nell'incondizionata solidarietà per chi soffre da ogni parte del mondo e l'incondizionata condanna di chi usa la violenza in ogni parte del mondo e in ogni modo, arrivi invece a posizioni manichee divise e divisive. Macbeth, fra potere e sofferenza, resta terribilmente attuale e universale.

Leggi:

Macerata, Macbeth, 01/08/2025

Parma, Macbeth, 26/09/2024

Fermo, Macbeth, 12/11/2022

Milano, Macbeth, 07/12/2021

Parma, Macbeth, 11/09/2020

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Il Macbeth di Verdi dal 1847 al 1865


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