Jakob viaggia molto, finché non si stabilisce in Italia, s'innamora di Rossini, trova i primi successi con una serie di opere date alla Fenice di Venezia, e diventa Giacomo. È curioso, onnivoro, aperto a ogni suggestione musicale, da sempre, e si trasferisce a Parigi: qui raccoglie il genere nascente del Grand opéra, si identifica con esso, ne codifica le strutture, lo consacra.
Verrebbe da pensare a una sorta di camaleonte della storia della musica, ma non è così. E il Grand opéra non è una macchina commerciale, uno spettacolone nato per abbagliare il pubblico con effetti speciali; almeno, non è solo questo: è il nuovo genere nazionale francese, assolutamente internazionale, è un'esperienza fondamentale e un punto di non ritorno per la musica occidentale.
La fama sciovinista dei francesi anche in musica è ben meritata: benché fra i massimi compositori d'opere nella lingua di Voltaire e Hugo si annoverino italiani come Lulli, Cherubini, Spontini, Rossini, Donizetti e Verdi, o tedeschi come Gluck o, appunto, Meyerbeer, lo stile e le forme non hanno accolto molti compromessi, i castrati sono stati sempre rigorosamente banditi, né ha trovato ricetto il dramma metastasiano. Si danza molto, si declama assai e perfino i registri vocali si classificano in modo differente, giacché il tenore si chiama haute-contre, è eroico, nobile, acutissimo, e storicamente costituisce un caso a sé.
Gli italiani avevano sì portato qualche ammorbidimento belcantista, ma è un dato di fatto che perfino Rossini, prima di comporre il Guillaume Tell, abbia dovuto far pratica delle esigenze dell'Opéra adattando Mosé in Egitto e Maometto II, scritte per una Napoli retta da Borbone parenti dei parigini e per gusto e storia assai più affine di Milano o Venezia alla Francia, in partiture infine affatto nuove come Moise et Pharaon e Le siège de Corinthe. C'è perfino chi annovera fra le cause del precoce silenzio teatrale rossiniano lo stress suscitato dalle aspettative e dalle leggi del sistema dell'Opéra. Con il suo successo crea però il terreno fertile perché il discepolo Giacomo possa seminare e far germogliare una vocalità che è a tutti gli effetti figlia delle due tradizioni, mettendo a frutto una vena melodica non proprio delle più ispirate, ma perfettamente funzionale al respiro frastagliato di una sintesi esplosiva fra cantabilità, declamazione e virtuosismo spettacolare. In orchestra sperimentò timbri, strumenti, accostamenti (nell'Étoile du Nord il soprano ha una scena di pazzia con due flauti concertanti).