E anche Les vêpres siciliennes sono un palese esperimento di opera nello stile di Meyerbeer. Ma senza quell'ampiezza della narrazione sarebbe stato difficile immaginare anche un Don Carlos, né certi grandi quadri wagneriani, certe sue strutture narrative e musicali (il colossale Rienzi fu giudicato toutcourt un'opera di Meyerbeer). Senza le orchestre di Meyerbeer saremmo giunti al lussureggiante sperimentare di Berlioz? Senza la sua sintesi vocale quale modello di canto avrebbe avuto Wagner? E lo stesso Francesco Tamagno, il primo Otello verdiano, fu un apprezzatissimo interprete di Grand opéra, quasi uno specialista. Meyerbeer fonda una vocalità europea moderna ben radicata nella tecnica del belcanto italiano, e la sua uscita dal repertorio ha contribuito al rischio della perdita dello stile, di derive veriste o banalmente muscolari. Così, quando Les huguenots tornano, in italiano, alla Scala, Franco Corelli è giudicato fuori stile: eppure canta benissimo, eppure il suo repertorio d'elezione sarebbe quello più vicino alla vocalità nobile e autorevole del Grand opéra. Solo che la sua generazione è figlia del verismo, non di Meyerbeer e del suo spirito cosmopolita che tutto ambiva a comprendere, ma integrando senza fondere, unendo nella diversità.
Meyerbeer, musicista europeo - pag. 5
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