La sua cultura curiosa e cosmopolita gli permetteva di mettere al servizio del teatro i più diversi registri espressivi, sublimi o grotteschi, pastorali o marziali, e le fonti più diverse, come il corale luterano inserito in Les huguenots.
Il teatro, dunque, la drammaturgia, a dispetto di chi li voleva ridotti a effetti senza causa tornano come elemento centrale, certo particolarissimo, della sua produzione. Già a Venezia, mentre si faceva le ossa all'antica lavorando anche su vecchi libretti metastasiani e con gli ultimi castrati, sapeva il fatto suo, se Gaetano Rossi, nello stendere il libretto per la Semiramide di Rossini parla di una “introduzione alla Meyerbeer” per indicare un quadro decisamente grandioso con ingresso in grande stile anche della primadonna.
Chi pensa all'opera ottocentesca costruita intorno al classico triangolo amoroso, con Meyerbeer rischia di rimanere un po' disorientato: già nel giovanile Crociato in Egitto, noto soprattutto per l'improba difficoltà delle sue prime parti, al matrimonio segreto fra il cristiano Armando e Palmide si intrecciano non solo le vicende dei rispettivi padri - gran maestro dei cavalieri di Rodi l'uno, sultano di Damietta l'altro – ma anche un tentato infanticidio, un'ex fidanzata tradita ma di buon cuore e un perfido pretendente respinto e cospiratore, una finale riappacificazione interreligiosa.
E quando mette in musica, come opéra comique, la follia della pastorella Dinorah, che si crede abbandonata dal fidanziato e impazzisce fino al prevedibile lieto fine, non solo regala ai soprani leggeri una deliziosa paginetta di coloratura, sovracuti, ombre leggere e caprette smarrite, ma non perde l'occasione per inserire una spaventosa scena notturna che pare la traduzione della Gola del lupo del Freischutz di Weber.