L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

don pasquale, teatro verdi di salerno

Sorriso amalfitano

 di Luigi Raso

Don Pasquale al Teatro Verdi di Salerno conquista il pubblico per il brio danzante di uno spettacolo ambientato sulla Costiera amalfitana e per la qualità di tutti gli interpreti.

SALERNO, 19 maggio 2017 - "Ben è scemo di cervello / chi s’ammoglia in vecchia età./ Va a cercar col campanello / noie e doglie in quantità": è questa la morale esposta da Norina nel finale del Don Pasquale di Gaetano Donizetti, andato in scena, con grande successo di pubblico, al Teatro Municipale Giuseppe Verdi di Salerno.

In quest'occasione l’opera è trasposta dalla Roma papalina della prima metà dell’Ottocento alla Costiera amalfitana degli anni Venti: nelle bellissime scene rotanti di Alfredo Troisi si riconoscono elementi immediatamente riconducibili alla Costiera amalfitana, come la celebre balaustra della terrazza con busti di Villa Cimbrone, i pini marittimi di Villa Rufolo, entrambi a Ravello, i limoni e i panorami collinari della Costiera, elementi architettonici del Chiostro del Paradiso del Duomo di Amalfi, una bottiglia di limoncello, pareti ricoperte dall’edera, le arabeggianti ceramiche di Vietri. In questo scenario dal suggestivo e gradevole impatto visivo si muovono con disinvoltura,  accennando a passi di danze popolari, i personaggi dell’opera, vestiti con ricercatezza ed eleganza secondo i dettami della moda dell'epoca.

Questo clima danzante è ricercato dalla regìa di Riccardo Canessa in aderenza all'incedere musicale, creando un microcosmo nel quale si rincorrono, sotto lo sguardo indagatore dello spettatore, illusione, umorismo, stupore, amore, rancore e, infine, sospiro liberatorio e felicità. Queste intenzioni sono, peraltro, assecondate perfettamente dai cantanti, che curano con grande verosimiglianza, in particolare Scandiuzzi e Feola, anche le espressioni della mimica facciale e i minimi gesti.

Il momento forse più significativo per lo sviluppo drammaturgico dell’opera è la scena dello schiaffo, durante la quale una spiritosa e pungente Norina fa volare dal capo di Don Pasquale il ridicolo parrucchino: l’anziano protagonista prende consapevolezza della propria età e dell’errore di aver deciso di “prender moglie”, attaccando uno sconsolato "Ah! è finita, Don Pasquale, hai bel romperti la testa!". E la commedia muta (momentaneamente) in tragedia.

La direzione di Gennaro Cappabianca, in perfetta sintonia con regìa, cantanti e coro, imprime al capolavoro donizettiano una narrazione serrata, senza cedimenti sin dalla graziosissima ouverture, senza mai rinunciare all’esaltazione delle oasi liriche, dal tratto notturno e misterioso, dell’atto III. L’orchestra del Teatro Verdi di Salerno, in buona forma e affidabile in tutte le sezioni, con sonorità brillanti evidenzia il tempo di walzer che permea la partitura; davvero superlativo, poi, l’assolo della tromba nell’introduzione dell’aria di Ernesto all’inizio del secondo atto.

Don Pasquale richiede cantanti che siano anche attori consumati: in questa produzione le due caratteristiche coesistono senza eccezioni.

Per presentare un interprete, quale è Roberto Scandiuzzi, dalla storia artistica lunga e costellata di successi, le parole possono risultare ridondanti e scontate; quello che stupisce del grande basso in questa produzione è la capacità di creare un Don Pasquale da Corneto attempato, dalla personalità magnetica, a proprio perfetto agio nel'assolo e nei pezzi d'assieme, così come nei recitativi, laddove imprime a ogni parola, da fine dicitore, il proprio colore e autentica teatralità. A ciò si aggiungano una mimica facciale misurata, aliena da gigionerie, sempre aderente ai caleidoscopici stati d’animo del protagonista, la disinvoltura tersicorea e il risultato finale è davvero notevole: una di quelle interpretazioni che si imprimono nella memoria dell’ascoltatore.

All’esperienza di Scandiuzzi si contrappone la freschezza vocale di Rosa Feola, una Norina arguta e civettuola: voce corposa in tutti i registri, squillante, ben proiettata, dall’emissione fluida e dal timbro accattivante, si dimostra interprete sicura di sé nel disegnare una protagonista vulcanica, spiritosa, perfettamente amalgamata, scenicamente e vocalmente, con gli altri personaggi.

Del tutto a proprio agio in uno tra i ruoli più “signorili” e raffinati dell’intero repertorio (basti ricordare le interpretazioni di riferimento di Tito Schipa e Alfredo Kraus) è Juan Francisco Gatell, tenore argentino, il quale, per fortuna, calca frequentemente i palcoscenici italiani: voce squillante e dal notevole volume, screziata, dalla linea di canto elegante, crea momenti di intenso lirismo misti a giovanile baldanza nella celeberrima Serenata di Ernesto dell’atto III.

Buona la prova del Dottor Malatesta di Sergio Vitale per musicalità e timbro, ma anche per le doti d’attore; molto raffinata la sortita iniziale "Bella siccome un angelo", così come sempre appropriati i suoi interventi in tutti i numeri d'assieme.

Completa il cast vocale il Notaro di Luigi Cirillo.

Preciso e brillante il coro diretto da Tiziana Carlini nella magnifica scena dei camerieri, anticipatore (forse modello?) di quello analogo in Capriccio di Richard Strauss.

Al termine della rappresentazione il folto pubblico salernitano particolarmente divertito dalla brillantezza dell’esecuzione e dal sorriso aleggiante sullo spettacolo, ha tributato calorosissimi applausi a tutti gli artefici della produzione, con punte di ovazioni per Roberto Scandiuzzi e per la bravissima Rosa Feola.

 


 

 

 
 
 

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