L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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I primi abbozzi della quarta Sinfonia risalgono al 1804, poco dopo il completamento dell’ Eroica; pressato da commissioni più urgenti, fra cui quella della Leonore, Beethoven accantonò la partitura fino al 1806.

Di certo l’Eroica e la quinta che le giganteggiano accanto hanno un poco adombrato la popolarità della quarta Sinfonia; cionondimeno, si tratta di un’opera squisita, pienamente matura e complessa, seppure dal carattere più solare e ironico delle circostanti; la prima esecuzione, avvenuta nel palazzo viennese del principe Lobkowitz nel marzo del 1807, riscosse pieno successo, e così le successive.

L’ispirazione classica si rivela sin dall’introduzione (adagio), che richiama quelle delle ultime sinfonie di Haydn: si apre nel modo minore della tonalità d’impianto, si bemolle, con un lungo pedale sostenuto dai fiati che fa da sfondo a un’ombrosa melodia intonata dagli archi in tessitura grave. Dopo aver indugiato in circospette figurazioni tutte frammiste di pause, si giunge d’improvviso a una serie di affermativi accordi a piena orchestra, che con fulminea rincorsa precipitano il movimento nella sua sezione principale (allegro vivace); essa è animata dal gioco di due temi principali spiccati e saltellanti, il primo proposto dai violini, ai quali risponde un più sinuoso disegno dei fiati, il secondo presentato dal fagotto. Il movimento successivo (adagio) è organizzato come una forma-sonata priva dello sviluppo centrale: due temi cantabili, affidati rispettivamente ai violini e al clarinetto, si dipanano su un caratteristico accompagnamento puntato degli archi; ritornano, sottoposti a ingegnose variazioni, nella ripresa, che si chiude pacatamente con un’ampia coda. L’allegro vivace che segue cela, sotto le movenze di un minuetto con trio, uno scherzo pieno di spirito, caratterizzato da un’inattesa struttura simmetrica in conseguenza della ripetizione del trio e dello scherzo dopo la canonica ripresa di quest’ultimo (A-B-A-B-A). Il moto perpetuo di semicrome che percorre per intero il finale (Allegro ma non troppo) imprime al movimento un carattere di scanzonata frenesia che occhieggia di nuovo il tardo sinfonismo di Haydn.


 

 

 
 
 

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