L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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SEMPREVERDI

Presentazione di Valentina Bonelli

Per il suo omaggio al Festival Verdi la Scuola di ballo dell’Accademia Teatro alla Scala presenta con SempreVerdi un programma che pone l’accento sulle scelte musicali dei coreografi autori dei tre titoli.

Tratte dall’opera Les Vêpres siciliennes, le danze delle Quattro stagioni che danno il titolo alla nuova creazione di Frédéric Olivieri hanno il pregio di recuperare l’originale destinazione ballettistica del divertissement verdiano, tradizionale nel grand-opéra francese, purtroppo espunta negli odierni allestimenti. A coreografare il balletto delle Vêpres siciliennes che debuttarono all’Opéra di Parigi nel 1855 fosse il maître de ballet Lucien Petipa, leggendario danseur noble romantico, fratello del coreografo Marius: che il gioco di rimandi sia voluto o casuale, Olivieri spiega di aver scelto i quattro movimenti per l’accesa bellezza e la felice musicalità espresse da Verdi, ideali per presentare l’entusiasmante giovinezza degli allievi della scuola. Una trentina all’incirca, iscritti agli ultimi quattro corsi, dunque di un’età compresa tra i 14 e i 18 anni, orgogliosi di esibire perizia tecnica e carattere artistico su pagine musicali perfette per inanellare ensembles, pas de trois o variazioni.

Serenade di George Balanchine è un’altra prova di maturità per gli allievi, e soprattutto per le allieve, degli ultimi due corsi. In realtà Balanchine aveva composto questo balletto – oggi tra i suoi titoli più celebri, riservato alle migliori

compagnie – per gli studenti che nel 1934 iniziò a formare negli Stati Uniti alla sua School of American Ballet. La dimensione coreografica sviluppatasi da una classe di danza si coglie ancora nelle file regolari o diagonali in cui si dispongono le ballerine. Lo stesso coreografo, nel suo libro “101 Stories of the Great Ballets”, raccontò che alcuni imprevisti quotidiani come l’irrompere di una ballerina in ritardo alla lezione o la caduta e il pianto sconsolato di un’altra gli erano serviti da spunti creativi. Per il resto – confidò in una famosa intervista – si era lasciato guidare dal compositore prediletto, Čajkovskij, evocativo di nostalgie imperiali: la sua Serenata per archi bastava a riempire di senso il proprio balletto, di cui disse: “La sola storia è la storia della musica: una serenata, una danza se preferite, alla luce della luna.”

Al calligrafismo simbolico delle Gymnopédies di Erik Satie, Roland Petit oppose con l’eccentricità che gli era propria un pas de deux dal fascino sontuoso. L’aveva pensato nel 1987 per la musa di un’epoca, la ballerina francese Dominique Khalfouni, nello splendore della maturità artistica quando impersonò la divina della danza nel balletto à pièces Ma Pavlova. Sembrerebbe dunque difficile immaginare una fanciulla in fiore nel ruolo della protagonista, emblema della femminilità sbocciata all’apparire in tutù lungo bianco e guanti da sera neri, misteriosa e inquietante com’era forse solo la Morte in giallo del Jeune homme esistenzialista. Ma interpretata da un’allieva della Scuola di ballo, audace e sicura tra le braccia di un giovanissimo partner, la figura femminile di Gymnopédie acquista inaspettatamente una malìa che lo sguardo ardente della giovinezza riesce a rendere profonda. Il coreografo francese, pigmalione di tante giovani, incantevoli ballerine, ne sarebbe orgoglioso.


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