L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il fato e la diva

di Luigi Raso

Elīna Garanča domina nella produzione in forma di concerto del capolavoro di Bizet presentata dal Teatro di San carlo in Piazza del Plebiscito.

Napoli, 25 giugno 2021 -È la scintilla dell’ouverture della Carmen di Georges Bizet ad aprire la Stagione estiva 2021 del Teatro San Carlo. Dopo un anno si ritorna in piazza, quella del Plebiscito, una delle più grandi e belle della città.

Quello fatto schioccare dalla trascinante bacchetta di Dan Ettinger è un incipit che punta a diradare con un sol colpo le nebbie della Stagione lirica 2020 - 2021, le cui produzioni sono state in gran parte cancellate; la programmazione ha dovuto subire i diktat della pandemia; qualche titolo è stato proposto in streaming; infine, la stagione si è di fatto conclusa con un timido tentativo di ritorno all’opera, all’interno del San Carlo e con pubblico in presenza, seppur in forma semiscenica (La traviata dello scorso maggio).

Ci si ritrova dunque all’aperto, e per una produzione in forma di concerto: un ossimoro, quello dell’opera in forma di concerto, che il San Carlo stenta a rinnegare. Il piacere di ritrovarsi en plein air in una sera d’inizio estate, sotto un cielo non terso come quello andaluso che osserva Carmen, Don José e Escamillo, ma traboccante di afa, ci induce a coltivare pazientemente la speranza di godere di un’opera lirica come accadeva nella vita “ante Covid-19”, con regia, scenografie e costumi.

Grazie a Bizet, a supplire alla mancanza degli elementi teatrali, ci sono i colori del suo capolavoro, quelli della Spagna reinventata da un francese. Un falso storico, sì; ma efficace e dal fascino intramontabile. Carmen, infatti, al di là dell’ambientazione nella iper-iberica Sevilla, è opera squisitamente francese, per raffinatezza della cura della strumentazione e dei colori orchestrali come nella rivisitazione di danze spagnoleggianti.

La direzione di Dan Ettinger, tuttavia, si allontana da subito dal mondo musicale francese ed opta per una lettura improntata a rapidità, trascinante, ma nella quale convivono eccessi sonori veristici; una conduzione serrata, ma spesso truculenta, con troppi cedimenti a sonorità grandguignolesche. C’è da dire, però, che è in ciò penalizzato da un’amplificazione eccessiva, più consona a un concerto rock (anzi, hard rock) piuttosto che ad uno spettacolo lirico. Se la narrazione è travolgente, i tempi sempre giusti, la Chanson bohème ben calibrata per come è strutturata su un orgiastico stringendo, l’amplificazione tende ad appiattire colori e suoni, impostando la navigazione delle dinamiche su un obbligato forte/fortissimo. Di talune grevità sonore - ad esempio, l’accompagnamento dell’aria di Escamillo "Votre toast, je peux vous le rendre... Toreador, en garde" - faremmo volentieri a meno: si corre il rischio, concreto, di snaturare la plastica leggiadria dell’accompagnamento di Bizet e, soprattutto, di proiettare Carmen in turgidi universi sonori geneticamente estranei al suo capolavoro. Ma siamo all’aperto, e in una vasta piazza, e la tendenza a calcare la mano è difficile da controllare.

La direzione si giova comunque di un’orchestra scintillante, precisa, incline ad assecondare la gestualità debordante di Dan Ettinger, trascinatore indomito e artefice di una lettura che ha l’indubbio merito di inchiodare gli ascoltatori all’evolversi della storia, sebbene priva del corredo scenografico e del disegno registico. Sulla stessa linea della compagine orchestrale è l’ottimo coro affidato alle cure di José Luis Basso: quasi spaventa per possanza e unitarietà di suono in "A deux cuartos" e, soprattutto, nel successivo "Les voici, voici le quadrille", nel quale si inserisce l’ottimo Coro di Voci Bianche del San Carlo, guidato da Stefania Rinaldi, sempre preciso e idiomatico sin dal Coro dei monelli dell’atto I. Sfumato e aereo è, invece, il meraviglioso "La cloche a sonné..." e "Dans l'air, nous suivons des yeux la fumée", benché l’impianto di amplificazione tenda ad evidenziare talune asperità sonore bisognevoli di maggiore smorzatura.

Quanto al cast vocale, a dominarlo è senza dubbio la Carmen della diva lettone Elīna Garanča. Eppure, quella della Garanča, è una sigaraia gitana affascinante proprio perché rinuncia a quell’eccesso di sessualità belluina di cui la vulgata dell’eroina bizetiana è stata vittima. Il mezzosoprano lettone crea una Carmen che, grazie alla naturale ed elegante avvenenza della figura, orchestra sin dal suo apparire in scena la rete del sottile e sofisticato gioco di seduzione nel quale - è destino - chiunque deve essere irretito. Superfluo dire che tecnica vocale, voce omogenea, padronanza del legato, linea di canto aliena da sbavature e forzature hanno gioco facile nel contribuire a delineare un Carmen “diversa”, apparentemente poco posseduta dalla passione, (si potrà legittimamente obiettare che la Garanča difetti di spiccata passionalità, sia poco divorata da primigenio istinto sessuale), ma ataratticamente disposta a dir di sì a quell’Amor fati che tanto impressionò Friedrich Nietzsche. Se Carmen non è donna da tremare davanti a Don Josè, Elīna Garanča lo è ancor meno: affronta il martirio con aristocratica convinzione. "Les tringles des sistres tintaient" è, ancor più della melliflua Habanera, il momento musicale in cui la Garanča sfodera tutte le sue armi di seduzione: alleggerimento dell’emissione, canto legato, sinuosa e penetrante incisività dell’interpretazione. Siamo davanti a un progressivo ammaliamento musicale che sfocia in un liberatorio accennare di passi di flamenco. Ah, quanto ci manca l’elemento teatrale!

Brian Jagde è un Don Josè troppo incline a calare la sola carta della potenza vocale, che innegabilmente c’è: i mezzi vocali sono ragguardevoli. Sfoggia acuti possenti, ma la linea di canto è impostata su una declamazione stentorea che alla lunga tende a stancare. Il personaggio Don Josè, quindi, risulta soltanto abbozzato. Talora smorza, si fa più lirico, ma l’animo inquieto del sergente emerge poco rispetto a quello energico e violento. Il tragico duetto finale con Carmen è il momento che consente a Brian Jagde di esacerbare quella veemenza vocale ben poco dominata nel corso dell’opera: un duetto che appare quale un Tercio de muleta vocale arroventato, durante il quale Don Josè prova a domare, prima di ucciderlo, il toro/Carmen. In effetti, Bizet ci regala un colpo di genio teatrale: il duello tra torero/Don Josè e toro/Carmen è l’emblema, nella sua specularità, di quello, tra Escamillo e il toro, che si svolge in contemporanea all’interno della Plaza de Toros de la Real Maestranza de Sevilla. Escamillo e Don Josè usciranno entrambi dal Tercio: il primo da trionfatore, il secondo da vile assassino.

Il torero Escamillo è impersonato da Mattia Olivieri, voce estesa, ma probabilmente ancora troppo chiara per la parte. Quella del giovane baritono italiano è una prestazione in crescendo; appare poco incisivo e con poca fantasia interpretativa nell’esordio di "Votre toast, je peux vous le rendre... Toreador, en garde", dove sfodera acuti luminosi, quasi tenorili. Il suo personaggio prende progressivamente forza e quota, fino a riuscire a contrastare efficacemente la forza vocale del Don Josè di Brian Jagde nel duetto dell’Atto III, così da delineare un Escamillo credibile, altero e cantato molto bene, con padronanza tecnica e autorevolezza, vocale e scenica.

È una Micaëla dal magnifico timbro e dalla voce corposa, ben cantata, sfumata e palpitante quella di Selene Zanetti, giovanissimo soprano il quale, ci auguriamo tutti, avrà l’onore - dopo la cancellazione dello scorso anno a causa Covid-19 - di inaugurare la Stagione lirica 2021 - 2022 come Mimì nella Bohème. Non vediamo l’ora di ascoltarla, perché ha tutte le carte in regola, vocali e interpretative, per essere una fioraia di riferimento.

Bravissime e molto ben affiatate Mercédès e Frasquita, rispettivamente Aurora Faggioli e Mariam Battistelli che, pur nell’esiguità delle parti, riescono a non farsi fagocitare dalla debordante personalità artistica della Garanča.

Altrettanto affiatati e funzionali alla buona riuscita dello spettacolo le parti minori: Moralès di Daniele Terenzi, Zuniga di Gabriele Sagona, Dancairo di Michele Patti, Remendado di Filippo Adami e, direttamente dal Coro della Fondazione, Une merchande d'orange di Antonietta Bellone e Un Bohémien di Alessandro Lerro.

Al termine, galvanizzato da questa trascinante lettura di Carmen, dalla bellezza del colonnato della Basilica di San Francesco di Paola illuminato e dalla (quasi) libertà riconquistata, il pubblico tributa agli artisti applausi convinti, calorosi e prolungati. Ad Elīna Garanča, come era prevedibile, è riservato un meritatissimo successo personale.

La musica sotto le stelle di Piazza del Plebiscito continuerà con un cartellone che vedrà una vera e propria sflilata di star della lirica. Chi non ci sarà, sbaglierà; come sempre. E non dite che non vi abbiamo avvertiti!


 

 

 
 
 

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