L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Beethoven, tragedia e danza

di Antonino Trotta

Avvalendosi del prezioso contributo pianistico di Andrea Lucchesini, Antonello Manacorda guida gli eccellenti complessi del Teatro Regio di Torino in un programma tutto dedicato a Beethoven.

Streaming da Torino, 25 marzo 2021 – Breve ma intesa, come le cose migliori della vita, l’Ouverture in do minore op.62 è un autentico concentrato di pathos e carica drammatica: Beethoven vi condensa, nel serrato confronto fra i due assi portanti, la violenta frizione tra l’irrefrenabile, benché titubante, desiderio di vendetta e il richiamo affettuoso, nonché salvifico, di moglie e madre. Nonostante sia affidato a un inciso radioso e cantabile, in netta contrapposizione all’irrequieta e tumultuosa apertura, tale richiamo, coraggioso invito alla ragione, sembra tutt’altro che un’accorata supplica. Nel rifiutare concessioni all’abbandono lirico, nel tappare ogni spiffero romantico, di fatto, Antonello Manacorda, ospite del Teatro Regio di Torino per il quarto appuntamento della rassegna Il Regio online, conferisce al secondo tema dell’ouverture un carattere ardimentoso, una risolutezza di volontà e di spirito che nel gesto di Veturia e Volumnia, frappostesi fra l’uomo trasfigurato dal furore e la patria, individua un momento assoluto eroismo. Tra le pagine della Coriolano la bacchetta di Manacorda avanza inesorabile come il destino già scritto del dannato protagonista: i tempi serrati e dinamiche impetuose, assecondati con prontezza dall’Orchestra del Regio, restituiscono l’ouverture in tutta la sua dimensione collerica, tragica e appassionata.

La fantasia corale in do minore per pianoforte, soli, coro e orchestra op.80, che segue la Coriolano, porta il pubblico virtuale da tutt’altra parte. Prototipo su piccola scala della Nona, in essa Beethoven sembra riassumere le esperienze di una vita: vi si intravede la presenza delle grandi sonate, c’è traccia del supremo sinfonismo ma anche del cameratismo più garbato, c’è il genio capace di sorprendere e spiazzare anche in un’opera che, almeno in apparenza, declina gli inviti della grandiosità e della magniloquenza. Andrea Lucchesini ne è esecutore eccellente. Pur conservando ovunque un tocco limpido e sobrio, affronta il dettato pianistico, quasi rapsodico – specialmente nell’Adagio iniziale –, con pronunciata varietà di registri e di colori, sempre in accordo col passo scandito da Manacorda. Se il virtuoso non si lascia affatto intimorire dai passaggi più ardui della scrittura, l’interprete sensibile dà prova di musicalità sopraffina nell’Adagio del Finale, dove il fraseggio curato e armonioso ritrae paesaggi di disarmante bellezza. Ben figurano le prime parti dell’Orchestra, prima il flauto, quindi i legni e poi gli archi e, in un moto di irrefrenabile gioia, infine s’impone il magnifico Coro del Teatro Regio, a cui ora si attinge anche per le voci soliste – Ashley Milanese e Laura Lanfranchi, soprani; Roberta Garelli, contralto; Bogdan Volkov e Alejandro Escobar, tenori; Davide Motta Fré, basso –.

È noto come nella Settima si legga l’apoteosi della danza: il suo cuore pulsante è l’invenzione ritmica, frenetica e iridescente, espressa in scalpitati gesti danzanti, tanto nei movimenti briosi quanto nel mesto Allegretto in seconda posizione. Proprio come nelle pagine precedenti, Antonello Manacorda mostra un’idea abbastanza austera della dimensione temporale, la sua concertazione è come geometrica, quadrata, inflessibile, ed è un bene perché nella rigida scansione del tempo l’inventiva ritmica, che altro non è che l’insofferenza a quella componente algebrica della musica, appare come condotta al massimo delle sue possibilità. Manacorda sottolinea ogni spostamento d’accento con dinamiche opportune – nell’Allegretto, bellissimo ad esempio è il pianissimo sul secondo impulso lungo del verso spondaico –, quindi crea sussulti e fremiti che percorrono la sinfonia come un brivido lungo la schiena e nell’Allegro con brio conclusivo, una galoppata frenetica e galvanizzante – geniale l’enfasi su violoncelli e contrabbassi quando la fanfare ritorna per l’ultima volta –, scaraventano il pubblico – persino virtuale – in uno stato di elettrica eccitazione. Grazie.


 

 

 
 
 

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