L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Sequenza d'immagini

di Roberta Pedrotti

La celebre sequenza di Jacopone da Todi musicata da Rossini trova a Pesaro un'illustrazione scenica a cura di Massimo Gasparon. Molto buono il quartetto vocale, che partecipa con sorvegliato lirismo sotto la guida di Jader Bignamini.

Pesaro 20 agosto 2021 - Che l'opera non sia un concerto addobbato ma teatro e musica, suono e gesto inscindibili fra loro dovrebbe essere un fatto assodato, benché in realtà pare non si debba mai smettere di ripetere l'ovvio: regia e scenografia/costumi non sono la stessa cosa, l'opera non è predominanza della musica (o addirittura del solo canto), ma è musica agita sulla scena.

D'altra parte, però, c'è musica che pur avendo voci e talora anche drammaturgia, per il teatro non è nata, ma capita che venga vestita, decorata, talora anche recitata. Il concerto può indossare un costume, talvolta anche diventare teatro.

Certo, ci si potrà interrogare sull'effettiva utilità di dare un allestimento scenico a partiture che non lo richiedono nella loro natura, si potrà convenire che un testo come lo Stabat Mater di Rossini non ha alcun bisogno di essere messo in scena e d'altra parte si potrà anche dibattere sulla categoria dell'utile: sì, regia scene e costumi per lo Stabat Mater sono inutili, ma cosa è utile nell'arte? E, come l'uguaglianza fra gli animali della fattoria orwelliana, possiamo dire con assoluta certezza che c'è un utile più utile di un altro?

Mentre ci arrovelliamo (utilmente, inutilmente?) sui massimi sistemi, non possiamo non constatare che lo Stabat Mater visualizzato da Massimo Gasparon funzioni molto più di quanto non avesse fatto il Moïse et Pharaon proposto da Pierluigi Pizzi in collaborazione con lo stesso Gasparon. E questo perché l'opera è stata congelata in un concerto illustrato, mentre la sequenza sacra è stata accompagnata da quadri visivi aggiungendo qualcosa di superfluo ma plausibile invece di togliere l'essenziale. I solisti indossano abiti di foggia e squillanti colori pizziani, così come il coro ammantato dei colori blu violacei. Una manciata di mimi compone i quadri di una sacra rappresentazione: crocifissione, deposizione, resurrezione. Sullo sfondo proiezioni di nubi, lampi, luci celesti.

In un'ottica estetizzante, i solisti sono indubbiamente belli – specie le due donne, con lunghi capelli biondi e rossi su drappeggi color rubino e cobalto – ma anche e soprattutto bravi. Giuliana Gianfaldoni ha timbro morbido e luminoso che ben si combina con quello ambrato di Vasilisa Berzhanskaya, che qui sfoggia non solo il suo registro contraltile, ma anche un cantabile fluido e ispirato, mai melodrammatico, bensì coerente con il carattere sacro del testo, con il suo essere meditazione e non azione. In effetti, contrariamente a quanto si potrebbe pensare in una trasposizione scenica, i solisti sembrano portati a esaltare il lirismo introspettivo rispetto al pathos magniloquente. Gianfaldoni, nel suo “Inflammatus”, esalta un'intima, dolce e dolorosa partecipazione senza venir meno alle scabrosità della scrittura, così come Berzhanskaya conferisce sentita solennità a “Fac ut portem”. Ruzil Gatin, si sa, non ha problemi a svettare in acuto, ma lo fa con tale garbo e gusto, con tale compostezza e concentrazione, da liberare la parte del tenore da ogni possibile intemperanza in favore di una giusta cifra stilistica ed espressiva. Lo stesso discorso si può ripetere per Riccardo Fassi, con la sua vocalità tornita ed educata, che non punta a esibire pose profetiche titaniche e sproporzionate – la scelta delle voci è molto equilibrata ma non certo alla ricerca di decibel ridondanti – bensì a tornire la frase con gusto e cura. Tutto sotto la guida di Jader Bignamini, che calibra la sua lettura con le voci e i complessi a sua disposizione, opta per dinamiche sobrie, per un lirismo morbido e compatto che scorre senza impensierire troppo la Filarmonica Rossini – l'orchestra meno impegnata quest'anno e anche la meno brillante – e lasciando spazio ai colori e alle composizioni visive. Nonostante qualche segno di stanchezza nelle voci acute e qualche carenza di spessore nell'Amen finale da parte del coro del Ventidio Basso, Bignamini garantisce così un buon risultato, coronato da calorosissimi e prolungati applausi.


 

 

 
 
 

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