L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Anime allo specchio

di Alberto Ponti

Con il ceco Tomáš Netopil la comunicativa dei conterranei Fibich e Dvořák dialoga con il pessimismo malinconico di Ernest Bloch

Torino, 3 dicembre 2021 - Nell'ambito del ciclo dei Concerti d'autunno dell'Orchestra Sinfonica Nazionale l'appuntamento di giovedì 2 e venerdì 3 dicembre si è contraddistinto per il programma più originale, comprendendo nella prima parte due numeri di raro ascolto quali il preludio al terzo atto dell'opera Bouře (La Tempesta) di Zdeněk Fibich (1850-1900) e la rapsodia ebraica Schelomo di Ernest Bloch (1880-1959).

Il brano di Fibich, uno dei tanti ispirati al dramma di Shakespeare, è terreno di elezione per la bacchetta di Tomáš Netopil, tra i principali direttori della Filarmonica Ceca e frequente ospite nelle stagioni torinesi. La musica di Fibich, che rielaborò in seguito i temi tratti dall'opera andata in scena a Praga nel 1895 in un autonomo poema sinfonico differente dal preludio, testimonia l'altissimo magistero tecnico raggiunto dagli autori boemi a cavallo tra Ottocento e Novecento. Gradevolissima inventiva melodica, armonie intriganti e orchestrazione lussureggiante, con qualche reminiscenza dello Chasseur maudit di César Franck, caratterizzano una pagina di intensa drammaticità, stemperata qua e là da idilliache campiture ispirate al folclore nazionale, capace di trasmettere tutto il senso narrativo della vicenda fino alla grandiosa chiusura col ritorno dell'idea principale. I complessi della Rai, su un terreno loro abbastanza sconosciuto, riescono a dare il meglio di sé spronati da un Netopil in gran forma, che ottiene tempi stringenti, fraseggio serrato ma non affannoso, ottima varietà dinamica e affascinanti chiaroscuri timbrici nel dialogo tra gli strumenti.

Bloch appartiene invece alla categoria di quegli autori dalla voce più meditata e meno estroversa, la cui lunga produzione maturata dapprima nella nativa svizzera e poi nutrita dalle esperienze e dalle influenze acquisite negli Stati Uniti si distingue sempre per la raffinatezza dello stile e la presenza di indubbi valori musicali. Di fatto, l'unico suo pezzo ad aver conseguito una stabile diffusione è proprio Schelomo (1916), meditazione cupa e dolorosa condotta dal violoncello solista accanto a un grande complesso sinfonico. Nicolas Altstaedt, di origini franco-tedesche, impersona nel modo migliore questo ruolo non facile, che richiede estrema perizia nell'assecondare le molteplici sfumature timbriche della partitura oltre che un suono possente e penetrante per non venire sommerso, soprattutto nella muscolosa parte centrale, dalla potenza di fuoco di un'orchestra sfruttata al limite delle sue possibilità espressive. Nonostante la divisione in tre episodi, la rapsodia si presenta come un unico blocco monolitico, ricchissimo di spunti originali e assai avanzati per l'epoca (quasi coeva ai primi lavori di Stravinskij), di cui farà tesoro tutta una generazione successiva di compositori e che pongono Bloch tra le figure meritevoli di maggior indagine in sala da concerto. Nel tema dell'Allegro moderato esposto da oboe e clarinetto, per esempio, pare di intravedere in nuce l'apertura della Sinfonia n. 1 di William Walton.

Altstaedt in apertura e chiusura del poema affonda lo strumento nelle profondità del registro grave per esplorare con metafisico stupore (al pari dell’encore della Sarabanda della prima suite di Bach) il pessimismo di accenti ricalcati sulle cadenze del canto ebraico tradizionale e che paiono presaghi delle future tragedie vissute dal popolo di Israele.

Netopil gioca infine sul velluto nella splendida Sinfonia n. 8 in sol maggiore op. 88 (1889) di Antonín Dvořák. Difficile trovare opera meglio scritta in tutte le sue parti: un autentico tripudio di ritmi e melodie di ineguagliabile freschezza, sorprendenti ad ogni nuovo ascolto. Pare che la naturalezza dell’ispirazione di Dvořák fosse in realtà il risultato di un incessante labor limae. Il fatto non sorprende se si pensa all’elaborazione del semplice motivo alla base dell’Adagio, condotto su sentieri inimmaginabili dopo la prima esposizione, oppure al complesso gioco di variazioni e rimandi tematici dell’Allegro ma non troppo di chiusura. La lettura di Netopil bilancia in maniera perfetta le due anime della sinfonia: l’elegante matrice slava delle idee portanti e la capacità costruttiva della scuola mitteleuropea, con il modello dell’amato Brahms presente nullo sfondo. Pregio di questo direttore, dal gesto avvolgente e deciso, mai sopra le righe nell’esito dell’esecuzione, è far toccare con mano la bellezza spontanea di una musica che non cede all’esibizionismo ma in cui gli episodi, uno dopo l’altro, nascono per germinazione da quelli che li precedono.

Platea non troppo affollata ma applausi scroscianti, rinforzati dalle ardenti acclamazioni della galleria, per i protagonisti della serata


 

 

 
 
 

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