L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Mozart guardando avanti

di Mario Tedeschi Turco

La Mahler Chamber Orchestra e Leif Ove Andsnes presentano per il Settembre dell'Accademia filarmonica di Verona un programma mozartiano di grande interesse per l'approccio che da una consapevolezza storicamente informata guarda alla sensibilità romantica e non rinnega la modernità.

VERONA 22 settembre 2022 - È con un programma interamente dedicato a Mozart che la Mahler Chamber Orchestra e Leif Ove Andsnes arrivano al «Settembre dell’Accademia», lo stesso Mozart che abbiamo potuto udire nella coppia di album editi da Sony dal titolo Mozart Momentum – 1785 e 1786, nei quali, sotto la regia del pianista norvegese, l’occasione discografica è diventata strumento per sondare in profondità l’arte mozartiana in prospettiva evolutiva. La qualità eccelsa di quei due dischi è tornata pari pari nell’esperienza dal vivo, con la proposta del Concerto per pianoforte e orchestra n. 22 K. 482, della Sinfonia n. 38 e del Concerto per pianoforte n. 24 K. 491, toccando dunque gli anni 85, 86 e 87 in una sequenza di capolavori differenti per gesto poetico ma analoghi per concetto formale.

L’approccio globale: la Mahler e Andsnes concepiscono un Mozart decisamente robusto nei volumi, che guarda oltre il suo ‘700 verso la nuova sensibilità romantica che del resto, nelle civiltà europee, si era già abbondantemente palesata in vari lineamenti artistici e di pensiero. Quindi suono pieno con arcate ampie, le corde metalliche degli archi a fronteggiare legni di fattura moderna, con unica concessione d’epoca l’assenza o quasi di vibrato e l’agogica molto stretta nel Presto della Praga. Da questo punto di vista, potremmo osservare meglio che il taglio interpretativo della serata è stato in realtà sensibilmente differente: la Sinfonia è stata eseguita dall’orchestra guidata dal suo Concertmaster Matthew Truscott, e l’orizzonte complessivo è risultato più austero, dai contorni classici e rigorosi, maggiormente debitore, in senso lato, della prassi storicamente informata. Nei due Concerti per pianoforte, è stato invece Andsnes a rivestire il doppio ruolo di solista e direttore, spostando decisamente lo sguardo in avanti. Ma è lo stile stesso delle diverse composizioni a permettere tale differenza esecutiva: fatto sta che abbiamo udito una Praga tersa e brillante nei movimenti d’apertura e chiusura, cordiale e delicata nel movimento lento, in una bella visione apollinea ottimamente eseguita, con profili scolpiti e volumi rotondi, che tuttavia, forse, non ha esattamente lasciato un segno indelebile. Nei due Concerti inveceabbiamo avuto assai di più: il risultato nel K. 482 è stato straordinario, clarinetti, flauti, fagotti a divenire solisti con brio e precisione, al contempo creando un mélange coloristico iridescente, di straordinaria incisività. Il virtuosismo di Andsnes non conosce macchia, né arresti né incertezze: una mano destra di velocità impressionante, implacabile nel tactus, non gli ha impedito di calcolare e rendere al meglio alcune fluttuazioni dinamiche che divengono portatrici di senso, la varietà tematica messa in testo da Mozart a diventare quindi una rappresentazione dell’integrale umano nell’aura del sentimento, dei movimenti più profondi della vita psichica. Il jeu perlé del pianista, di rapinosa bellezza assoluta, ha illuminato tratti diversi della scrittura mozartiana, così che il diagramma espressivo del primo movimento del Concerto n. 22, che giustappone un enigmatico tema in si bemolle maggiore alle scattanti variazioni sul tema di esordio, si è animato di sfumature timbriche a figurare un autentico caleidoscopio. Ancora: nel Larghetto del K. 491, Andsnes e la Mahler hanno bilanciato il ritornello tripartito d’esordio, tra solista, archi e fiati, in modo che le entrate successive acquisissero in progressione non solo una tinta ricca di gradazioni diverse, ma altresì una qualità che diresti ‘dialogica’, amabile e umanissima seppur turbata da un’oscurità al limite del perturbante, la quale se certamente ha a che fare con un quid ineffabile come l’ispirazione o il sentimento, risulta altresì un tratto stilistico oggettivo del segno mozartiano, che immagina le voci diverse degli strumenti in modo da creare una drammaturgia senza parole. Del resto, l’insolito cromatismo e la conseguente precarietà tonale di questo Concerto sono stati concepiti e resi globalmente da Andsnes senza dubbio con il pensiero agli esiti futuri beethoveniani: il tocco meno tenuto o staccato rispetto al K. 482, un affondo più deciso nelle dinamiche, hanno reso per esempio l’ultima variazione in 6/8 dell’Allegretto particolarmente emozionante, ideale per aprire ai taglienti accordi conclusivi.

Offerto come bis al termine della serata, l’Andante del Concerto K. 467 non ha fatto che ribadire la qualità lunare dell’elegia mozartiana secondo il solista norvegese, le modulazioni ripetute a cifrare un canto disteso eppure turbato da eloquenti per quanto contenute intermittenze: decorso temporale mantenuto omogeneo senza rubati incongrui, senza scarti, e invece peso sonoro graduato dal tocco e dal pedale secondo un calcolo di densità espressiva, che deve essere differente a seconda dell’impianto testuale pur del medesimo autore: questo il Mozart di Leif Ove Andsnes e della Mahler Chamber Orchestra, forse il migliore dei nostri tempi.


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