Ombre scozzesi
di Roberta Pedrotti
L'anteprima della nuova produzione del capolavoro donizettiano allo Sferisterio è purtroppo penalizzata dall'indisposizione della protagonista. Si apprezza comunque l'eccellente Enrico di Davide Luciano. Jean Louis Grinda racconta con chiarezza in un contesto scenico tutto giocato su vuoti, ombre e proiezioni.
MACERATA, 10 agosto 2023 - Terzo titolo operistico nel cartellone del Macerata Opera Festival, Lucia di Lammermoor è la seconda nuova produzione dopo la Carmen inaugurale. Produzione in un certo senso complementare: là dove per Bizet abbiamo assistito a uno spettacolo ricchissimo di dettagli, popoloso, denso, molto articolato sul piano drammaturgico, per Donizetti Jean-Louis Grinda (regista, con Rudy Sabounghi per le scene, Jorge Jara per i costumi, Étienne Guiol e Malo Lacroix per i video, Laurent Castaigt per le luci) sceglie un'iconografia è minimalista, punta tutto sugli spazi vuoti dello Sferisterio e imbastisce un disegno registico ligio alla tradizione, con pochissime licenze (Edgardo che si immerge nel terreno dove è sepolta Lucia, forse per ricollegarsi alle sabbie mobili in cui sprofonda nel romanzo di Scott, e ne esce per andarsene tranquillo con il “terrestre velo” dell’amata fra le mani). Non ci si stupisce, né si ha troppo da pensare, ma, al netto di qualche eccesso didascalico, si apprezza per la qualità delle proiezioni anche tridimensionali che vestono il muro e il palco, le luci ben gestite, l'effetto della sparizione delle immagini sostitute dalle pure ombre proiettate dai personaggi in scena nei momenti chiave del dramma, in cui le feste si trasformano in tragedia. Lo spettacolo è coprodotto con le Chorégies di Orange, dove pure si immagina possa fare buona figura.
Purtroppo, però, all’anteprima giovani gli sbalzi del meteo negli scorsi giorni hanno messo i bastoni fra le ruote e proprio la protagonista Ruth Iniesta, non in perfetta forma, ha sostenuto la recita (che in buona sostanza è equiparabile a una generale aperta) con estrema cautela, accennando per gran parte della serata. Cose che capitano, perché, per fortuna, il teatro è fatto di esseri umani. Certo, spiace perché di Iniesta ricordavamo una bella Lucia veronese tre anni fa [Verona, Lucia di Lammermoor, 26/01/2020]; la ricchezza di armonici e la proiezione della voce senz’altro promettono di espandersi senza problemi allo Sferisterio e anche solo la cura musicale che si percepisce nei passi accennati lascia trasparire una lettura di bel potenziale belcantistico ed espressivo. Ci auguriamo che l’artista si rimetta pienamente e che il pubblico delle recite ufficiali possa godere di liete serate. Purtroppo il calendario tiranno, che dallo scorso anno isola una produzione dello Sferisterio e la sovrappone ad altri eventi, rendeva quasi obbligata l’opzione dell’anteprima: perché non tornare ai cari vecchi fine settimana in cui, in un’unica trasferta, era possibile assistere alle tre produzioni operistiche?
Per il resto, peraltro, giungono diverse note più felici, soprattutto dall’Enrico Ashton di Davide Luciano, che si impone come l’elemento di spicco della serata: voce salta, bieco ma non protervo, altero anche nelle variazioni ben congegnate, è un villain donizettiano di tutto rispetto, che non teme gli spazi aperti maceratesi.
Dmitry Korchak è parimenti ottimo sotto il profilo puramente vocale, sia per proiezione, sia per omogeneità e sicurezza in tutta la tessitura. Purtroppo come interprete tende un po’ a strafare, con sviste testuali, corone e licenze musicali e di gusto che non convincono del tutto. Va, però, a suo merito l’aver cantato quel famigerato “ma di dio la mano irata” che troppi tenori ancora omettono nella maledizione del finale centrale.
Forse colpito dagli stessi problemi che hanno imposto prudenza a Iniesta, Mirco Palazzi delude proprio nella parte di Raimondo, nella quale tante volte l’avevamo ascoltato con piacere. Speriamo che questa serata non proprio felice sia stata solo un episodio dovuto a qualche indisposizione. Convince, invece, il vigoroso Arturo di Paolo Antognetti. Alisa è ben resa da Natalia Gavrilan, mentre Gianluca Sorrentino è un Normanno un po’ affaticato.
Bene il coro Bellini preparato da Martino Faggiani e bene, al solito, la Filarmonica marchigiana coadiuvata dalla banda Salvadei e da Sascha Reckert alla glassharmonica (a proposito, un appello ai soprani: approfittate della suggestione dell'organico originale e osate cadenze diverse dalla solita, posteriore ed entrata in repertorio con il flauto!). Jordi Bernacer sul podio attua scelte invero bizzarre e non proprio coerenti quando apre - giustamente - molti tagli di tradizione ma, viceversa, amputa della ripresa la cabaletta di Enrico. La resa è parimenti non troppo omogenea, con bei momenti staccati con cura e altri meno convincenti in cui la tensione si allenta come la compattezza dell’insieme; difetti, tuttavia, che potrebbero essere dettati anche dai problemi contingenti di questa sera e limarsi, quindi, nel corso delle recite.