L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Etica ed estetica

di Roberta Pedrotti

Čajkovskij e Šostakovič sollecitano riflessioni su estetica ed etica in un programma che vede acclamati protagonisti il neovincitore del Premio Abbiati Ettore Pagano al neonominato direttore principale dell'Orchestra Haydn Alessandro Bonato

BOLZANO, 8 aprile 2025 - È davvero uno splendido programma quello che unisce il neovincitore del Premio Abbiati Ettore Pagano al neonominato direttore principale dell'Orchestra Haydn Alessandro Bonato. Premio, peraltro, meritatissimo e nomina felicissima, come ribadisce questa serata.

Il cuore del concerto è russo e si sviluppa su due fronti, etico ed estetico. Le pagine di Čajkovskij (Notturno, Variazioni su un tema Rococò) appaiono filtrate da trascrizioni e arrangiamenti di Wilhelm Fitzenhagen, docente di violoncello al Conservatorio di Mosca. Anche la Sinfonia da camera 110a di Šostakovič è frutto di un intervento esterno, quello del violista e direttore Rudolf Baršaj, sul Quartetto n.8 op. 110: un'orchestrazione per archi che piacque assai allo stesso Šostakovič e fu accolta nel suo catalogo.

Un fil rouge di interazioni fra esecutori e interpreti ci racconta la materia musicale come esperienza viva, mobile, in cui il testo può essere oggetto di un processo dialettico e non una tavola della legge consegnata dal demiurgo al devoto esecutore. D'altra parte, senza la collaborazione con Anton Stadler, Isabella Colbran, Clara Wieck, Joseph Joachim, Peter Pears possiamo davvero credere che sarebbero come noi le conosciamo molte creazioni di Mozart, Rossini, Schumann, Brahms e Britten? E quante volte, viceversa, pensieri compositivi d'alta ispirazione si scontrano con la non idiomaticità di uno sviluppo avulso dal rapporto con gli interpreti? Fitzenhagen che trascrive il Notturno pianistico come pezzo da concerto per violoncello e mette le mani sulla stesura originaria delle Variazioni fa parte della storia di queste pagine. Poi, è la volta degli interpreti che danno vita all'opera e partecipano alla creazione con possibili diversi esiti fra rischi di arbitrii e spazi di libertà, come quelli fra cui ci siamo mossi questa sera.

Di Ettore Pagano non cessa di ammaliare la trama perfetta di un velluto sonoro caldo e avvolgente da cui si irradiano, pure, riflessi luminosi di cangianti sfumature. Tutte le difficoltà tecniche evaporano con una souplesse poetica dall'aria naturalissima, sia nell'impalpabile densità del Notturno, sia poi nella gamma espressiva che le Variazioni esigono in un continuo gioco di mascheramenti fra passato e presente, leggerezza e pathos. L'orchestra, poi, non è – come spesso capita, pure in esecuzioni eccellenti – una mera, fida compagna di viaggio, ma un'interlocutrice partecipe del gioco complice instaurato fra Pagano e Bonato, che esalta fra riverberi e contrasti non solo il colore strumentale del solista, ma intreccia uno scambio serrato con i vari interventi solistici in bella evidenza, per un intarsio di rara coerenza e compattezza nella sua policroma varietà.

Non per nulla, Pagano non si congeda solo con i due ampi e graditissimi bis contemporanei (che ne confermano peraltro gli ampi orizzonti artistici e, con le esigenze di canto e percussione oltre che di estremi dinamici in tutta la tessitura, la completa versatilità tecnica) Pianissimo di Pēteris Vasks e Black Run di Svante Henryson, ma torna anche con Bonato e l'orchestra per la Valse sentimentale di Čajkovskij. Un altro pezzo nato per pianoforte e condotto a vivere altre vite chiude il cerchio ribadendo come, nelle mani di Pagano e Bonato con la Haydn, il sentimento non abbia nulla a che vedere con il sentimentalismo.

Chiuso un cerchio, se ne compie un altro più ampio, non solo perché, come si diceva, anche la Sinfonia da camera di Šostakovič nasce come quartetto e trova questa forma per intervento di altri, ma perché con la questione estetica sulla creazione artistica completa anche il discorso sulla sua portata etica. La partitura è dedicata da subito "alle vittime del fascismo e della guerra", per una contingenza – la visita a Dresda dopo i bombardamenti – che si fa universale, abbraccia tutte le guerre e tutti i totalitarismi, palesi o camuffati, coinvolge l'intimo dell'esperienza personale di Šostakovič stesso. E, in tutt'altra temperie, non erano forse anche per Čajkovskij parte integrante dell'ispirazione i più profondi tormenti, il senso di inadeguatezza rispetto alle convenzioni sociali, l'incombere del fato? Qui il destino è concreto e sferzante nell'evocazione delle bombe come in quella delle incursioni notturne delle polizie segrete, ma il dolore, la speranza, l'intimo dramma umano è sempre quello.

Bonato aveva diretto per la prima volta questa Sinfonia nel 2022, nei giorni in cui l'esercito russo entrava in Ucraina. Vi è, poi, tornato più volte, senza che purtroppo la dedica di Šostakovič cessasse di essere attuale (lo è tuttora). Ora, la sua visione maturata nel tempo si realizza in una partecipazione davvero eccellente dell'Orchestra Haydn, che risponde a ogni sollecitazione senza timori, anche quando il suono deve farsi aspro, tagliente o quasi ovattarsi in una sorta di opaca foschia, effetto che la fila delle viole rende tangibile. Né si possono scordare i soli delle prime parti (citiamo per tutti la spalla Stefano Ferrario e il violoncello Luca Pasqual, ma l'elenco, ricordando anche i fiati ascoltati nella prima parte, sarebbe lungo). Con tecnica sopraffina, il direttore sa gestire indipendentemente i piani ritmici, metrici, dinamici, agogici e timbrici senza che uno influenzi meccanicamente l'altro, ma affinché tutti si intreccino nella continua evoluzione di un percorso interiore sferzato anche da colpi violenti, oggettivi, che tuttavia non mancano di presentarsi in echi differenti, come sedimentati nella mente. Con sensibilità artistica di non minore finezza, conferisce al discorso l'unità di un'unica arcata, coerenza e compattezza innervati di tensione dalla prima all'ultima nota, in un pianissimo irreale che nulla concede alla retorica dell'effetto e costringe per qualche istante immobili in silenzio, gravati da tutto il dolore che l'umanità sa infliggere a sé stessa.

Poi, sono ancora applausi interminabili, chiamate su chiamate al proscenio. E ci si sente arricchiti, uscendo dallo splendido auditorium di Bolzano.

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