L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Le opere in scena nel 2021.

Un testo del direttore scientifico Paolo Fabbri

La carriera teatrale di Donizetti, iniziata di slancio nel 1818-19, ebbe una battuta d’arresto nel biennio 1820-21, da lui trascorso di nuovo a Bergamo scrivendo musica liturgica e da camera. Al progetto #Donizetti200 provvede così per quest’anno la ripresa di uno dei capisaldi della carriera di GiovanniSimone Mayr, il suo maestro, e cioè Medea in Corinto . Scritta per il S. Carlo di Napoli (1813) su libretto di Felice Romani, l’opera fu data al Sociale di Bergamo appunto nella stagione di carnevale 1821. I teatri cittadini avevano ripreso in precedenza altri titoli fondamentali della produzione di Mayr ( Ginevra di Scozia in tre edizioni diverse, ad esempio), ma non Medea . Il compositore era reduce dal debutto alla Scala di uno dei suoi ultimi lavori, Fedra , presentata il 26 dicembre 1820. Il 12 febbraio andò in scena Medea , in una versione per qualche aspetto diversa da quella di Napoli. Mayr fu sicuramente coinvolto nell’allestimento, ma è difficile immaginare non lo sia stato di riflesso anche Donizetti, in quel periodo a Bergamo. Da studente non si perdeva una stagione d’opera nella sua città: perché avrebbe dovuto farlo adesso, specie nell’occasione in cui poteva veder realizzata una delle opere maggiori del suo maestro? Tra l’altro, vi erano impegnati anche un altro suo insegnante, Antonio Gonzales (maestro al cembalo), e un compagno di scuola, Giuseppe Pontiroli (era Tideo). Quest’ultimo nell’altra opera in cartellone ‒ Otello di Rossini ‒ ricopriva il ruolo di Iago, decisamente più impegnativo. Era un’opera che richiedeva 2 tenori di pari calibro (Otello e Rodrigo), più appunto una seconda parte (quella di Iago). Non sempre i teatri li avevano a disposizione, e poteva capitare che Rodrigo toccasse a un contralto in abiti maschili. È ciò che successe anche a Bergamo: ma chi adattò la parte a Marietta Landini, Rodrigo al Sociale nel 1821? Donizetti avrà dato una mano? E in ogni caso, nel volgere di poche settimane il pubblico bergamasco vide, uno dopo l’altro, prima un campione del teatro shakespeariano così amato da quei romantici che pochi anni prima nella vicina Milano avevano scatenato polemiche a non finire, e poi uno degli emblemi della mitologia classica che quelle teste calde volevano seppellire una volta per tutte. Il cartellone del Sociale 1821 è istruttivo: eredità classica e novità romantiche convivevano, nella cultura e nell’immaginario del tempo, e solo i faziosi pretendevano si escludessero a vicenda. Oltre che istruttivo, forse era anche saggio.

Dopo Mayr, Donizetti francese. La fille du régiment fu la prima opera nuova in lingua francese ad essere rappresentata a Parigi (1840) quando il compositore decise di trasferirsi in Francia. «Opéra-comique» cantata e parlata, commedia brillante d’ambientazione militare non priva di fiammate patriottiche, si mantiene però sempre nei modi di uno stile leggero e frizzante. Non solo Donizetti si cimentava col repertorio francese, ma si dimostrava perfettamente a suo agio in quei panni, naturalizzato parigino in un batter d’occhio, disinvoltamente boulevardier quasi fosse cresciuto a baguettes e calvados . Di lì a poco erano previste due sue opere al Théâtre de la Renaissance ( L’ange de Nisida , Elisabeth : progetti abortiti causa fallimento dell’impresa), e un’altra all’Opéra ( Les martyrs ). Insomma, c’era di che fare infuriare i colleghi francesi, che vedevano un italiano andareben al di là dei recinti tradizionali degli spettacoli che si tenevano sul palcoscenico del Théâtre Italien, in lingua italiana. Pur in un contesto di forme e modi tipicamente parigini, La fille du régiment racchiude anche pagine ispirate a una vena patetica propria della miglior tradizione semiseria italiana, e che non possono non ricordare i languori di Nemorino.

Il quale è protagonista di quell’ Elisir d’amore che Romani ‒ quello di Medea… ‒ trasse da Le philtre di Scribe, applicando però al tenore il nome del protagonista di Estelle et Némorin , romanzo pastorale di Florian (1788). I francesismi non si fermano al libretto. Donizetti ne cosparse la partitura, costellata di situazioni e soluzioni che l’opera italiana non usava abitualmente o, se le usava, le derivava appunto da quella francese: scene dialogate col coro, uso di refrains , ruolo-chiave di una romance («Una furtiva lagrima»). Nel 1832 non aveva ancora messo piede in Francia, ma già studiava il francese.


 

 

 
 
 

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