L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Una Giselle a metà

di Michele Olivieri

L’emergenza sanitaria ancora in atto ci ha imposto un nuovo comportamento. Non si può andare a teatro ma questo non significa sospendere ogni attività e non coltivare più gli interessi, bisogna solo fruirne in maniera differente. Grazie al web e alla televisione importanti proposte arrivano direttamente a casa dando una mano alla cultura. Sul canale Rai Play è stata trasmessa dal Teatro alla Scala di Milano “Giselle” con la supervisione di Carla Fracci.

MILANO – Giselle è lo spettacolo sulle punte tra i più rappresentati e celebrati nel mondo insieme al Lago dei cigni. Da sempre è il simbolo del balletto classico, accademico e romantico, capace di incantare da oltre un secolo e mezzo gli spettatori in ogni dove. La versione di Yvette Chauviré - per l’occasione con la supervisione di Carla Fracci riapparsa con successo e autorevolezza alla Scala in un ruolo ufficiale dal lontano 2009 - è ritornata sul palcoscenico della Scala solo a beneficio del pubblico in streaming da casa e di alcuni addetti ai lavori in teatro durante le prove e le riprese della Rai. Portavoce “di punta” dell’arte coreutica, Giselle raccoglie con una narrazione avventurosa musiche scritte espressamente, tanto da venire ricordato come il primo caso nella storia. Ciò che maggiormente colpisce, e in qualche modo sottolinea alla perfezione il presente titolo è racchiuso nel sostantivo maschile “contrasto”. La diversità tra il primo e il secondo atto riporta lo spettatore dal mondo reale fatto di quotidianità ad una tangibilità immaginifica in cui i sentimenti e l’epilogo sono il risultato di un tragico evento, tra luce ed ombra, tra amore e inganno, tra vita e morte, tra la fragilità dell’uomo perduto e la potenza delle donne unite per insorgerec ontro il venire meno ad un dovere, dato dall’impegno morale preso in promessa. Una vicenda che Manuel Legris sceglie di proporre supportata da due cast differenti nel primo e nel secondo atto, una scelta confutabile perché seppur vero che in un momento di crisi tutti hanno il diritto di lavorare e “ballare” (e giustamente questa sarà stata la sua reale e generosa intenzione, memore dell’essere stato in passato un ballerino ancor prima di direttore, coreografo e maestro, diventato poi indimenticabile étoile a livello internazionale) è anche vero che si crea un precedente che in qualche modo dimezza gli interpreti principali, lascia confusi gli spettatori in quanto viene meno il senso di continuità figurativa ed estetica applicata all’artista che il pubblico identifica (e nel quale si identifica).

Nei ruoli principali troviamo, per il primo atto, la coppia Martina Arduino e Claudio Coviello e, per il secondo atto, Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. L’importanza di questa versione è tessuta nel rispetto dell’intenzione e dell’originalità del coreografo e dell’autore tanto da diventare, nel tempo, l’emblema del balletto esemplare. Una trasposizione spirituale tra le più incantevoli, quella della Chauviré, costituita da un mondo appassionato, languido e sognante, capace di suscitare appieno un’atmosfera suggestiva tra amore e dolore. La sciagura si consuma per due volte: nel primo atto prende le sembianze di Giselle, nel secondo atto quelle di Albrecht. Proprio per questo è fondamentale che l’artista sia lo stesso a ricoprire il ruolo dall’inizio alla fine. Martina Arduino (Giselle a metà solo nel primo atto, al fianco dell’empatico Claudio Coviello) si è allontanata da tutti i cliché e ha intrapreso un percorso autonomo nei riguardi dell’eroina: attinge come base all’egemonia dell’elemento romantico con incantata trepidazione, restituisce non una tragedia perturbata, ma un’emozione attendibile, convincente, persuasiva e plausibile in un’anima frantumata. La scena della follia viene affrontata con tenerezza, il suo dramma è disarmante e toccante, la Giselle che Arduino porta in scena non necessita di esagerata teatralità o gestualità convulsa, lei punta al dramma sensibile e così mantiene Giselle costantemente triste e toccante fino a chiusura di sipario, con coraggio, commozione e naturale freschezza. In una sola recita, nei ruoli protagonisti sono stati coinvolti otto primi ballerini della Compagnia, accanto ai solisti e artisti di punta, come i primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko (nei ruoli principali nel secondo atto), con Virna Toppi nel ruolo di Myrtha, Marta Romagna (la Principessa Bathilde) Mick Zeni (il Duca di Courland) e Antonella Albano nel passo a due dei contadini con Nicola Del Freo. Marco Agostino nel ruolo di Hilarion, la madre di Giselle Deborah Gismondi, Wilfried Christian Fagetti, Il Gran Cacciatore Giuseppe Conte, Sei amiche di Giselle Marta Gerani, Christelle Cennerelli, Stefania Ballone, Camilla Cerulli, Agnese Di Clemente, Denise Gazzo, Due Willi Alessandra Vassallo, Vittoria Valerio. Ha diretto l’Orchestra del Teatro alla Scala Koen Kessels perfettamente al servizio della coreografia. Sempre ammirevoli le scenografie e i costumi di Aleksandr Benois, rielaborati da Angelo Sala e Cinzia Rosselli.

Ricordo, a proposito della non continuità tra un atto e l’altro e dell’inevitabile confronto tra interpreti non a distanza di tempo ma nella stessa serata, addirittura nella stessa rappresentazione, di aver letto che nel gennaio del 1914 dopo una esibizione di Giselle, il critico di danza del Theatres Review dichiarò “che il ruolo in questo balletto romantico ha avuto un effetto favorevole grazie alla performance di Tamara Karsavina”, continuando però nel suo articolo “a confrontare la tecnica di danza della Karsavina con quella di Anna Pavlova”. Questa abitudine di confrontare i ballerini innescò un rimprovero da parte di Denis Leshkov, un altro autorevole critico di danza della rivista Theatre and Life, il quale affermò, puntando il dito che “il metodo comparativo è stato a lungo stabilito dal critico di balletto in generale. Abbastanza spesso puoi vedere articoli in cui i critici, analizzando la performance di un artista in qualche ruolo, inevitabilmente entrano in confronto e sulla base di esso costruiscono la loro intera recensione. Per qualche motivo non chiaro, né nella prosa né nelle opere liriche è consuetudine confrontare diversi interpreti nello stesso ruolo. Al medesimo tempo, nel balletto, una volta che un artista si esibisce in un nuovo ruolo, inizia subito il confronto, a volte ritornando con la memoria al passato più remoto. Se un artista di talento raggiunge ad un certo punto un brillante successo nell’esecuzione di un ruolo difficile e significativo, c’è davvero bisogno che altri copino ciecamente la sua interpretazione di questo ruolo? (così si domandava Leshkov). Per non parlare del fallimento della personalità artistica, questo creerebbe una routine fuori dall’arte e un modello al posto di un tocco stilistico. Quanta attrattiva rimarrà nel balletto se gli artisti, invece di ballare nella loro individualità, svolgeranno i ruoli rigorosamente secondo il ‘modello approvato’? (ancora si domanda Leshkov). Giselle è un balletto che fornisce ad un artista una gamma estremamente ampia per inventare un’interpretazione soggettiva del ruolo.”


 

 

 
 
 

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