L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un'accoppiata vincente

di Lorenzo Cannistrà

In diretta streaming da Bari, Beatrice Rana al pianoforte e Giampaolo Bisanti alla guida dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli offrono una lettura lucida e coinvolgente di due capolavori assoluti di Beethoven

Streaming da Bari, 15 dicembre 2020 - Molti anni fa lessi la recensione di un noto musicologo italiano all’incisione del Quarto Concerto di Beethoven, suonato da Friedrich Gulda e diretto da André Cluytens alla testa dell’Orchestra RTSI. Il disco era del 1965; il recensore non nascondeva il proprio stupore per il fatto che il famoso pianista austriaco, pur essendo “dantescamente nel mezzo del cammin di sua vita” (classe 1930, ma, ironia della sorte, Gulda morì effettivamente nel 2000, alle soglie dei settanta), potesse suonare senza sostanziali differenze di qualità rispetto ad esempio all’interpretazione di un ottantunenne mostro sacro come Wilhelm Backhaus.

Con i dovuti distinguo potremmo fare lo stesso discorso per la protagonista di questo concerto, la giovane Beatrice Rana. Classe 1993, non ha neanche trent’anni, ma suona già con un’autorità da senior ed ha una carriera internazionale di grande prestigio. La sorreggono una tecnica solidissima, una musicalità istintiva ma sorvegliata, e soprattutto una modestia che deriva forse dalla consapevolezza della propria giovane età.

È quindi con grande interesse che si ascolta il Quarto concerto per pianoforte e orchestra (op. 58) di Beethoven, opera complessa, per molti versi rivoluzionaria, ineliminabile banco di prova per la maturità esecutiva di qualsiasi interprete. Ad accompagnarla, l’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, che nella seconda parte esegue la Sinfonia op. 92 (la “Settima”), guidata con autorevolezza dal suo direttore stabile, Giampaolo Bisanti.

Non sarà mai rimarcata abbastanza la difficoltà dell’incipit del Quarto Concerto. Non è soltanto una questione tecnica, benchè l’accordo iniziale a freddo e la scaletta eterea facciano già abbastanza sudare così. Quello che è veramente difficile è entrare immediatamente nell'atmosfera, in quella signorile discrezione richiesta da quelle poche battute: è ben più di un epigramma o di uno spoiler di quello che verrà, è l’essenza distillata di un’idea geniale. Beatrice Rana esegue le poche battute iniziali come se fossero veramente tra parentesi, in modo quasi incorporeo, con una dinamica ridottissima. Il tema è quasi un’apparizione, un fantasma destinato a prendere corpo durante le vicende a tratti drammatiche dell’intero movimento. Ciononostante l’accordo iniziale viene agganciato alla perfezione: incorporeo sì, ma le note ci sono tutte e viene data la medesima importanza a ciascuna di esse.

La risposta iniziale dell’orchestra, con l’affermazione del tema principale, manca di un pizzico di perentorietà, ma nel complesso l’accompagnamento è esemplare per equilibrio e rispettosa integrazione con la parte solistica.

Quanto a quest’ultima, Beatrice Rana è ben consapevole del peso della partitura che affronta. Le libertà che si concede sono assai contenute, rintracciabili solo nell’esecuzione di quasi tutti i trilli prolungati, nei quali la pianista adotta un effetto di graduale accelerazione, peraltro in modo misurato ed elegante. Per il resto è difficile spiegare, anche per un pianista, quale sia il modo di affrontare il virtuosismo di questo concerto, che è di sostanza e non consente all’interprete di cavarsela semplicemente con bravura , o con uno stile “brillante”. Il consiglio che più in qualche modo coglie nel segno, sia pur nella sua genericità, è quello che dava Claudio Arrau, interprete insuperato di questo capolavoro: il grande pianista cileno parlava di Beseelung , cioè “mettere l’anima” nei passaggi virtuosistici, per non farli risuonare come un mero esercizio tecnico. Per quanto mi riguarda, il consiglio pare ampiamente recepito dalla giovane pianista salentina. Le cascate di scale e arpeggi partono sempre morbidamente, prendendo corpo nel mezzo, e sfumando con assoluta eleganza, senza mai annoiare o stridere all’orecchio. Fantasia e musicalità sono profuse a piene mani soprattutto a livello timbrico. La Cadenza del primo movimento consente a Beatrice Rana di sfoggiare la sua piena intelligenza musicale, ovvero quell’agogica “elastica” che ormai la contraddistingue, in cui i rallentando vengono accentuati fino alla sospensione del tactus , e quasi scientificamente recuperati fino a ripristinare l’equilibrio complessivo. Bellissimi certi effetti di eco, e certe scalette in pp , così come il colore del secondo tema riproposto in si bemolle maggiore, esitante ma pieno di calore.

Nel secondo movimento Bisanti sceglie per la parte orchestrale un approccio essenziale: tempi stretti e cavata corta. Si percepisce meno solennità e più severità nelle “parole” che Beethoven fa pronunciare all’orchestra. La risposta del pianoforte è estremamente coerente con il carattere conferito al già citato incipit del concerto: il suono sembra provenire da un’altra dimensione, sono sempre “parole” che però non sono dette qui e ora, ma sembrano affiorare da un tempo trascorso. Le dinamiche si mantengono sempre in un miracoloso intervallo che oscilla tra il p e il pp . Questo timbro così lontano e sotterraneo consente all’allucinata breve cadenza di emergere come un momento sicuramente di follia, ma anche di temporaneo ritorno alla realtà, con un contrasto ben più marcato rispetto a molte altre esecuzioni anche celebri.

Il terzo movimento è affrontato da Beatrice Rana con grande personalità. Il tema è esposto con levità ma senza leziosaggini, con trilli brevi e non troppo concatenati, mentre i passaggi più impegnativi e ritmati sono risolti con scioltezza e solidità. Nella cadenza forse avrei preferito un minor uso di quegli effetti di sospensione e quasi arresto del discorso musicale, che funzionano bene nella cadenza del primo movimento, mentre in questa breve parentesi a solo appaiono, a mio avviso, meno appropriati.

L’orchestra ha sfoggiato un fraseggio estremamente curato: si sente tutto, anche (e specialmente) nei momenti in cui orchestra e pianoforte si “passano la palla”. Già in questo Quarto Concerto, Giampaolo Bisanti, preparatissimo ed estremamente scrupoloso, mette in luce le sue notevoli doti: una tecnica direttoriale solida, un gesto misurato elegante ed efficace, ed una evidente facilità nel trasmettere la propria idea ai professori d’orchestra. Tutte qualità che si confermano nella lettura della Settima sinfonia, che presenta diversi aspetti pregevoli.

In primo luogo, anche se vengono eseguiti integralmente i ritornelli, l’ascolto non risulta mai pesante. Merito di scelte di tempo non estreme, della leggerezza degli archi, davvero eccellenti e sempre eleganti nel fraseggio, e della complessiva pulizia e attenzione al dettaglio. Predomina poi una grazia settecentesca che rappresenta a mio giudizio una validissima alternativa ad esecuzioni emotivamente molto accese ma fin troppo “bombastiche”. Non a caso sono proprio il terzo e il quarto movimento a raccogliere i buoni frutti della visione apollinea ed equilibrata proposta dal direttore milanese.

Tuttavia, al mio orecchio, gli indiscutibili pregi di questo approccio finiscono per far perdere di vista altri aspetti non meno importanti dell’opera. Solo per fare qualche esempio, nel primo movimento alcuni contrasti e sorprese ritmiche ed armoniche vengono in qualche modo edulcorate; il celebre Allegretto , perfetto nella realizzazione e nell’equilibrio complessivo, perde un po’ di quel pathos che rappresenta il centro emotivo dell’intera sinfonia (anche se il fugato è realizzato splendidamente); nel quarto movimento l’intensificazione che caratterizza tutta la coda è forse fin troppo “educata”, senza quel pizzico di follia che illustri contemporanei (in prima linea Carl Maria von Weber) vollero ravvisare in questa sinfonia.

Nel complesso, ci tengo a precisarlo, la performance è stata comunque di livello molto elevato, tecnicamente impeccabile e soprattutto ci ha restituito una Settima estremamente rassicurante e godibilissima.


 

 

 
 
 

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