L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Šostakovič d’assalto

di Alberto Ponti

Il maestro uzbeko ritorna a Torino con una generosa esecuzione della Sinfonia di Leningrado

TORINO, 3 novembre 2022 - Aziz Shokhakimov è un giovane direttore che si riascolta sempre con piacere ogni volta che sale sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale. Dopo aver presentato nella scorsa stagione la Dante-Symphonie di Franz Liszt, il maestro uzbeko, seguendo una personale predilezione per le opere di ampio respiro e organico, ha dato modo al pubblico torinese di valutare il suo trascinante entusiasmo e la sua forza comunicativa con un titolo destinato a non lasciare indifferenti quale la Sinfonia n. 7 in do maggiore op. 60, composta nel 1941 da Dmitrij Šostakovič durante l’assedio di Leningrado ad opera dell’esercito tedesco e la cui dedica alla città ne costituisce anche il celebre sottotitolo. È il periodo della celebre copertina del magazine Time con l’autore in divisa da pompiere (nei tempi attuali sarebbe stata una perfetta immagine da ‘influencer’) e la diffusione negli Stati Uniti della partitura, ad opera in primis di Arturo Toscanini, non poteva non ricoprire uno spiccato carattere di propaganda politica antinazista. In effetti poche opere sono state destinate fin dal nascere a suscitare una travolgente onda di emozione come questo imponente affresco, ancora oggi in grado di stimolare interrogativi sull’opportunità di guerre presenti e future. E poco serve, sotto tale profilo, riflettere sul fatto che la pagina non è forse, dal punto di vista strettamente musicale, il culmine artistico del sinfonismo di Šostakovič, rappresentato piuttosto dalla Quarta e dall’Ottava, quest’ultima nata a stretto giro di posta nel 1943 ancora nel pieno della tragedia del secondo conflitto mondiale. La Settima è una perfetta ‘instant symphony’, fatto che ne ha decretato il successo planetario, nata dalla penna di uno tra i massimi compositori del Novecento che, in larghi tratti di essa, vi infonde comunque la propria geniale abilità di rinnovatore della grande forma per eccellenza. La lettura di Shokhakimov è volenterosa ed efficace nell’amalgamare le sezioni dell’immensa orchestra che chiama a raccolta, nella sola sezione degli ottoni, ben otto corni, sei trombe, sei tromboni e tuba. Alcune asprezze di conduzione ed irruenze nella dinamica, in una scrittura che opera sovente facendo cozzare tra loro blocchi strumentali contrapposti, sono temperate da un vivo senso del discorso musicale e del fraseggio e dalla ottimale resa del timbro e del giusto colore tanto nei molti infernali episodi a pieno organico quanto negli altrettanto numerosi passaggi solistici che mettono in luce le prime parti. Nel vasto primo movimento (Allegretto), mezz’ora di durata, la parte centrale con il tema in apparenza semplice e banale ripetuto dodici volte sul rullo continuo del tamburo in un crescendo graduale ma inarrestabile che arriva al parossismo è scolpita da Shokhakimov con sicuro senso drammatico, senza perdere di vista il significato dell’episodio, che tiene luogo del tradizionale sviluppo e in cui molti, suggestionati dal contesto e dal titolo ‘La guerra’ apposto in un primo momento dall’autore, vi hanno voluto vedere una raffigurazione della violenza cieca e disumana dello scontro bellico. Non è facile conferire un senso unitario a una forma tanto ampia quanto incandescente, qua e là stemperata da improvvisi arresti dell’incedere, dove il suono sperduto di singoli strumenti (violino, flauto, clarinetto) si avvita in pura contemplazione sospesa fuori del tempo. Il direttore pare talvolta a disagio proprio nell’incastonare tra loro questi grandi blocchi assai distanti per temperie emotiva con i quali è costruito l’immenso movimento, come nel difficilissimo trapasso dal culmine del clima ‘guerresco’ alla baldanzosa ripresa del tema eroico d’apertura, condotta in porto non senza ruvidezza. Assai meglio, sotto tal punto di vista, è la resa dei successivi tre tempi, il Moderato (poco Allegretto), sorta di scherzo sui generis nel puro stile di Šostakovič, l’ispirato Adagio e l’Allegro non troppo finale con il sofisticato incessante intrecciarsi di idee che portano alla ricomparsa della melodia iniziale dell’opera. Qui l’accostamento di materiale disparato, l’improvviso divampare di fiammate orchestrali, l’ipnotico ripetersi di minimi grumi sonori al limite del silenzio, allo stesso modo dell’espandersi del discorso sui binari più tradizionali, vengono dipanati con mano sicura di concertatore grazie anche all’apporto di un OSN Rai dalla perfetta messa a punto in ogni reparto, con i suoi componenti, dai legni acuti, agli archi, al nutrito gruppo di percussioni, capaci nel giro di poche note a mutare la natura del suono (da aspro a dolce, da carezzevole a tagliente, giusto per fare alcuni esempi tra le infinite sfumature possibili) assecondando le intenzioni dell’autore.

Successo garantito e meritato, a livello singolo e collettivo, per tutti i protagonisti della serata.


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