L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il teatro seduttore

di Antonino Trotta

Seduce ed entusiasma ancora, alla seconda ripresa, il Don Giovanni scaligero firmato da Robert Carsen: alti e bassi nella concertazione di Pablo Heras-Casado, eccellente il cast in cui spicca per completezza il Leporello di Alex Esposito.

Milano, 2 aprile 2022 – Su una cosa si converrà unanimi, il Teatro è seduttore: inafferrabile nella molteplicità di volti con cui esso si rivela, aitante nello spregiudicato scontro con l’ottusità della morale comune, stregonesco quando fa appello con pienezza alla possanza dei suoi mezzi, esso pare incarnare appieno, quando al meglio delle sue capacità, il mito dell’irresistibile Don Giovanni. Vale allora anche il viceversa, specie qui a Milano dove il celeberrimo spettacolo firmato da Robert Carsen, alla seconda ripresa dopo il 7 dicembre 2011, riflette e soprattutto gioca col mito della Scala stessa proiettato negli ardenti lombi dell’eterno seduttore.

Ecco allora che Leporello si veste da macchinista, un plotone di scattanti tecnici svela la magia delle quinte, il crinale tra realtà e finzione si assottiglia, nel finale primo tutti indossano i velluti del sipario – magnifici i costumi di Brigitte Reiffenstuel –, gli ordini logici si invertono quando l’infinita superficie riflettente catapulta la sala del Piermarini sul palcoscenico o quando essa si moltiplica in diversi livelli di prospettiva – non meno accattivanti sono le scene di Micheal Levine –, e Don Giovanni fa un continuo andirivieni al di là e al di qua della quarta parete, ora protagonista ora spettatore della vita che è spettacolo o dello spettacolo che è vita. Certo, si potrà condividere o non il taglio della lettura, discutere o meno sull’originalità delle idee a monte della messinscena, sorvolare o soffermarsi su una serie di calligrafismi che poi definiscono pure la cifra dell’autore, tuttavia risulta pressoché impossibile, anche per chi ha visto solo tre quarti dello spettacolo – nel senso della larghezza –, non soccombere al fascino della maestria con cui il tutto è minuziosamente costruito.

Maestria che si ritrova parimenti nell’eccellente cast. Christopher Maltman, nel ruolo del titolo, sfoggia una voce ampia e bella. È un Don Giovanni aristocratico, volitivo, disinvolto, capace soprattutto di focalizzare su di sé l’attenzione, almeno quando Alex Esposito lascia libero il campo. Già perché il basso-baritono bergamasco è il vero padrone della scena, per ragioni che vanno oltre la forbitezza del canto in sé: istrionico, carismatico, in grado di illuminare ogni battuta e ogni verso grazie a un fraseggio magnetico per varietà di colori e accenti, Esposito sa valorizzare al meglio ciascuna delle mille sfaccettature di Leporello. D’altronde il dominio della lingua aiuta e in virtù di ciò colpisce positivamente anche il Masetto di Fabio Capitanucci, ben contraddistinto da un timbro suadente e da un porgere fragrante. Dei maschietti convince meno solo Bernard Richter che nei panni di Don Ottavio palesa qualche problemino d’emissione – o forse di stile – e un’intonazione, specie nella seconda aria, talvolta sdrucciolevole. Sonoro e protervo infine è il Commendatore di Günther Groissböck. Molto appagante il versante femminile. Se Hanna-Elisabetta Müller, donna Anna, spicca per la luminosità di timbro e l’impeccabilità della linea arricchita da preziosissimi virtuosismi come legati e dinamiche, Emily D’Angelo, donna Elvira, colpisce per il colore ambrato, le screziature sensualissime e il peso specifico della voce. Fa benissimo anche Andrea Carroll, Zerlina fresca dallo strumento preciso e argenteo. Ottima infine la prova del Coro del Teatro Alla Scala, istruito dal maestro Alberto Malazzi.

Alla guida dell’Orchestra del Teatro alla Scala, Pablo Heras-Casado intavola una concertazione convincente a tratti. O meglio, convincente a metà perché al di là della morbidezza nel velluto orchestrale, della limpidezza nel dettaglio strumentale, del basso continuo – Paolo Spadaro Munitto al fortepiano, Simone Groppo al violoncello – realizzato a regola d’arte e qualche scelta agogica pur opinabile, il tutto procede sempre con mordente teatrale ovattato, quasi rinunciando a quella componente dionisiaca che anima la scrittura.

Poco importa. La Scala tutta esaurita decreta il trionfo e tra applausi scroscianti ed autentiche ovazioni si arrende ai piedi del teatro seduttore.


 

 

 
 
 

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