L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Malinconia e mistero di cose ultime

di Alberto Ponti

Stanislav Kochanovsky affronta con successo due lavori estremi di grandi autori. Se nel concerto per violino di Schumann, eseguito con il magnifico apporto di Sergej Khachatryan, prevale il ripensamento della forma classica, le Danze sinfoniche di Rachmaninov sono all'insegna di un'acuta nostalgia che non esclude momenti di alto virtuosismo orchestrale.

TORINO, 2 marzo 2023 - Il concerto per violino e orchestra di Robert Schumann conserva ancora oggi la nomea di oggetto misterioso al quale sembrò condannato fin dal suo nascere. Scritto in brevissimo tempo nell'autunno del 1853, il lavoro finì presto dimenticato per volontà della cerchia più intima del compositore (la moglie Clara, Joseph Joachim, il giovane Brahms) che intravedeva in esso presagi dell'imminente malattia mentale che lo avrebbe condotto alla morte tre anni dopo. Non essendo pubblicato nell'opera omnia, la sua esistenza rimase fino agli anni '30 del Novecento sconosciuta al mondo ma non, pare, alle sorelle violiniste D'Aranyi, nipoti di Joachim, che al fine di mettere musicologi ed editori sulle tracce del manoscritto, di cui loro stesse ignoravano la collocazione, utilizzarono l'espediente di una seduta spiritica. Trucco non troppo originale che richiama altri episodi avvenuti in ambito non solo artistico (noi italiani ci ricordiamo soprattutto di via Gradoli). La storia è infatti più contorta e oscura ma, per farla breve, la partitura fu trovata alla Biblioteca di Stato di Berlino e l'opera venne finalmente eseguita nella Germania del 1937. Tutto bene è quel che finisce bene? Non proprio. Allora come oggi la politica volle metterci lo zampino e il 'nuovo' concerto per violino di Schumann, nell'ottica culturale nazista, poteva costituire una valida alternativa all'analogo lavoro dell'ebreo Mendelssohn bandito dal regime. Il fatto non giovò alla sua fama, nonostante i buoni auspici dell'irreprensibile Yehudi Menuhin che, convinto della bontà del lavoro, si prodigò per diffonderlo all'estero.

Arriviamo ai nostri giorni e, pur con minore frequenza rispetto ad altri analoghi lavori, il pezzo ha trovato una vita autonoma all'interno dei programmi concertistici. L'esecuzione torinese di giovedì 2 marzo per la stagione dell'Orchestra Sinfonica Nazionale ha potuto giovarsi di interpreti di notevole spessore. Il direttore russo Stanislav Kochanovsky e il violinista armeno Sergey Khachatryan, che sotto la Mole hanno già avuto occasione di mettersi in mostra, sono stati accolti con entusiasmo in una serata dove entrambi sono riusciti a dare il meglio di sé. La tinta generale del concerto schumanniano è improntata a una certa cupezza nel movimento iniziale, dovuta non solo alla tonalità d'impianto di re minore ma anche alla compassata seriosità dei due temi tradizionali, che non impedisce tuttavia, con efficace contrasto drammatico, di imprimere uno slancio energico al primo e un indugio struggente e appassionato al secondo. Khachatryan trae dallo strumento un suono di grande fascino, con estrema precisione e sensibilità per la gamma cromatica di una scrittura che, salvo alcuni passaggi del finale, non offre occasioni di spiccato virtuosismo e non prevede cadenze ma percorre disparate situazioni espressive, ripensando la forma classica attraverso la ricerca dell'immediatezza del dire di un romanticismo acceso e febbrile. Il suo fraseggio è caratterizzato da una perfetta messa a fuoco di ogni singola frase, da un'intonazione esemplare e da un'autentica bellezza dell'articolazione all'interno di un dialogo fra tutti e solo sviluppato a blocchi contrapposti. L'unico appunto che si può muovere all'attenta direzione di Kochanovksy, in questo 'Vigoroso, ma non troppo presto' che contempla ampi squarci di puro sinfonismo senza l'intervento del solista, è la mancanza di un adeguato pathos nel rendere l'anelito verso l'infinito cui Schumann, anche negli ultimi anni di disincanto dai sogni giovanili, guardava sempre nei momenti più ispirati. Nel breve tempo lento, un incantevole lied dove l'orchestra si riduce ad archi, fagotti e corni e nel brillante finale in ritmo di polacca la compenetrazione tra le parti si fa serrata ed emerge l'abilità di bacchetta e orchestra nel chiosare, riprendere e anticipare le evoluzioni del solista con ampia gamma di sfumature e sottigliezze. Il suono di Khachatryan cambia pelle, dalle ombrose pastosità del primo movimento diventa luminoso e cristallino, ugualmente mantenendo precisione, amabilità, magistrale bilanciamento tra ragioni della tecnica e intensità dell'emozione.

Le doti di concertatore del maestro originario di San Pietroburgo assurgono a un livello assoluto negli altri due brani in programma, a cominciare da ...Pianissimo... (1968) di Alfred Schnittke, dieci minuti di musica rischiosissima perché fondata in maniera esclusiva sul timbro e sui cambiamenti di dinamica in totale assenza di elementi ritmici, armonici e melodici in cui l'esito dello sperimentalismo dell'autore russo conduce a risultati molto simili a quelli raggiunti da Krzysztof Penderecki in quel capolavoro che è la sua prima sinfonia, di pochi anni posteriore. Kochanovsky dirige senza bacchetta, attraverso pochi gesti essenziali che si limitano a scandire il tempo indicando con le dita della mano cinque diverse gradazioni di intensità ma si percepisce il controllo totale della complessa partitura, basata su un crescendo impercettibile da un brusio alle soglie del silenzio a una violenta esplosione sonora, col ritorno successivo alla situazione di partenza. Un tipico cliché della musica di ogni epoca che, sotto la guida di un grande direttore, si trasforma in un esperienza di puro coinvolgimento sensoriale.

Nelle Danze sinfoniche op. 45, ultima opera orchestrale di Sergej Rachmaninov, nata negli Stati Uniti e presentata nel 1941 due anni prima della sua scomparsa, Kochanovksy gioca in casa e intende alla perfezione la lingua del compositore, dosando il giusto mix di nostalgia per la Russia vista dalla lontana America e sorprendente colore orchestrale. Ne esce un'interpretazione tra le migliori che ci sia mai capitato di ascoltare: il camaleontico dinamismo degli archi, lo squillare contemporaneamente sensuale ed elegiaco delle trombe nel secondo movimento Tempo di valse, il liquido scorrere delle melodie tra i legni, con un memorabile intervento del sassofono, sull'inquieto ticchettare delle percussioni sono dettagli preziosi che salgono in primo piano grazie alla mano di Kochanovsky e alla propria visione personale, trasmessa a un'Orchestra Sinfonica Nazionale apparsa in gran forma.

Pubblico non eccessivamente numeroso, ed è un peccato, ma lunghi e calorosi applausi per tutti i protagonisti.


 

 

 
 
 

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