L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Sulla storia di palazzetto Zane a San Stin

Massimo Favilla, Ruggero Rugolo

I «pregi» di una famiglia

Nel 1682 Casimiro Freschot, nei Pregi della nobiltà veneta, ricordava che gli Zane avevano fornito alla Repubblica di Venezia «prelati insigni, senatori famosi, ambasciatori applauditi e fortunati guerrieri»1. I «pregi» illustrati da Freschot trovavano il loro fondamento nelle ricerche genealogiche dell’erudito padovano Giacomo Zabarella, il quale nel 1661 in un volumetto intitolato Il magnifico, ovvero la virtù mascherata, aveva dettagliatamente narrato l’origine di tale prosapia «cavandola dalli profondi abissi dell’antichità e strappandola dalle voraci fauci del tempo e dell’oblio»2. Secondo la favolosa e suggestiva ricostruzione di Zabarella la famiglia Zane affondava le proprie salde radici nella Roma antica, discendendo dai «Vipzanii nobilissimi» e quindi da Marco Vipsanio Agrippa, suocero di Augusto, strenuo sostenitore delle istituzioni repubblicane e vincitore nel 31 a.C. della battaglia di Azio. Mecenate delle arti, Agrippa aveva fatto innalzare a proprie spese il Pantheon, nel cui pronao pose la sua effigie accanto a quella di Ottaviano3.

Giunti in epoca imprecisata nella Patavium romana, ovvero Padova, i Vipzanii avrebbero visto progressivamente corrotto il loro nome in «Sanii, Ciani, Ziani e finalmente in Zani» o «volgarmente Zane»4. Trasferitisi poi nelle lagune durante le invasioni barbariche agli albori della storia di Venezia, gli Ziani furono tra le ventiquattro famiglie, definite tribunizie, che amministravano il governo della neonata Repubblica. L’intento celebrativo della pubblicazione di Zabarella si inscrive a metà Seicento in quel processo di esasperata autoglorificazione della classe dominante veneziana che, nel solco di una lunga tradizione di artata ricerca delle proprie origini nel mondo antico romano, intendeva specchiarsi comunque e sempre, per la sua stessa ragion d’essere, nella Roma repubblicana, rifiutando il modello dell’autoritarismo imperiale e monarchico5.

Sappiamo dalle fonti che gli Zane erano presenti nella parrocchia di Santo Stefano confessore (vulgo San Stin) almeno dal 1276, quando un Nicolò Zane da San Stin veniva eletto alla carica di procuratore di San Marco6, mentre il primo documento noto che attesta con certezza la loro stabile residenza in quella contrada risale al 1367. A quella data infatti Andrea di Almorò Zane acquistava dal «serenissimo [doge] Andrea Contarini»7 il terreno nella contrada di Sant’Agostino (vulgo Sant’Agostin), dall’altro lato del rio omonimo in fronte alla propria casa dominicale, sul quale sorgeva la dimora di Baiamonte Tiepolo a questi confiscata e abbattuta per il «delitto di tradimento e lesa maestà».

La generazione seicentesca, che a noi interessa per le vicende legate alla costruzione del casino-biblioteca, si articola a partire da Domenico (1622-1672)8, che fu definito per la sua eloquenza «Pericle della patria intelligentissimo»9: iperbolica similitudine barocca che lo accostava a una figura mitica, simbolo stesso di democrazia nella storia. Ambasciatore in Austria e Spagna, per i suoi meriti diplomatici venne insignito da Filippo IV del titolo di cavaliere e gratificato con la concessione di poter unire al proprio stemma l’arma di Castiglia10. Nel 1665 Domenico provvide a far rimodernare la facciata della gotica casa dominicale sul rio di Sant’Agostin11.

Morto senza discendenti diretti, Domenico lasciò erede il nipote Marino (1639-1709) figlio del fratello Leonardo e di Maria Civran12. Podestà a Bergamo e a Brescia, generale a Palmanova e in Dalmazia, Marino sposerà nel 1662 Elisabetta Pisani. Uomo di vasta cultura, collezionista di porcellane e dipinti, appassionato bibliofilo, nel Ritratto di Venezia del 1704 la sua raccolta veniva inserita nel novero delle «librerie de’ particolari che al presente sono in maggior stima»13. Egli si interessò attivamente anche all’amministrazione del teatro di San Moisè, che la famiglia aveva acquisito in eredità nel 1628 dai Giustinian (e lo tenne fino al 1715), provvedendo al rimodernamento delle sue strutture, e dove a partire dal 1639 furono rappresentati esclusivamente drammi per musica, tra i quali ricordiamo, nel 1640, l’Arianna di Claudio Monteverdi14.

A Marino spetta l’iniziativa per la costruzione del complesso casino-biblioteca collocato in fondo al giardino del palazzo dominicale. Dal matrimonio con Elisabetta nasceranno Leonardo (1663-1696), Vettor (1665-1715), Domenico (1666-1695) e Maria Celeste, poi monaca nel convento di Santa Caterina15. Il primogenito Leonardo morirà precocemente senza aver garantito una successione, e anche il terzogenito Domenico non potrà assicurare la prosecuzione della casata. Infatti, dal suo matrimonio con Paolina Loredan, celebrato nel 1692, nascerà Maria, che nel 1711 convolerà a nozze con Nicolò Venier da San Vio16. Spettava dunque a Vettor salvaguardare la continuità della stirpe. Per questo al 1697 risalgono i tardivi sponsali con Elena Michiel. Il 26 novembre 1698 l’unione veniva allietata dalla nascita di Marino, che purtroppo morirà ancora in fasce. Si esauriva così la linea maschile della famiglia, poiché dopo quest’ultimo non seguiranno altri figli. Vettor morì nel 1715 all’età di 49 anni di un colpo apoplettico durante l’ambasceria presso la corte imperiale di Vienna lasciando il patrimonio famigliare alla moglie Elena Michiel17. A quella data la sostanza degli Zane garantiva una considerevole rendita annua che ammontava a 163.500 ducati18. Elena morirà molti anni dopo il 26 gennaio 1759 all’età di 84 anni in casa del fratello Polo nella parrocchia di San Moisè, nella cui chiesa verrà sepolta. Nel testamento olografo, datato 10 novembre 1757, la nobildonna lasciava erede universale «Marco Antonio Michiel mio carissimo pronipote»19.

Le arti

Il 15 maggio 1694 Marino Zane saldava allo scultore Giovanni Comin20 il pagamento di due statue di Bacco e Cerere da collocarsi nel giardino, oggi obliterato da alcune costruzioni21, che s’apriva sul retro del suo palazzo situato nella contrada di San Stin22. La facciata sul rio di Sant’Agostin, rivestita interamente di pietra d’Istria, era stata rimodernata vent’anni prima dall’architetto Baldassare Longhena, definito nel contratto «proto alla nova chiesa di Santa Maria della Salute», su incarico di Domenico Zane, zio di Marino23. Domenico, alla sua morte avvenuta nel 1672, lasciava il patrimonio al nipote raccomandandosi di non alienare i libri e le «poche pitture» che aveva raccolto24. Marino si impegnò a incrementare la biblioteca e la quadreria, tanto che alla metà degli anni novanta si rivolse ad Antonio Gaspari, già proto del doge Francesco Morosini, per ideare nuovi ambienti da adibire appositamente a «libraria» e «casin»25. La figura di Gaspari (Venezia, 1654-1723) emerge e si distingue nel contesto veneziano in virtù di una specifica caratura culturale e grazie alla sopravvivenza di un rilevante corpus grafico custodito presso il Museo Correr26. Inoltre la sua formazione non avvenne, rispetto ai coetanei Domenico Rossi e Andrea Tirali, all’interno di una bottega. Egli non proveniva, infatti, da una tradizione famigliare di mureri o tagliapietra e, se si può ragionevolmente ipotizzare un apprendistato presso Baldassare Longhena, non si può peraltro escludere la frequentazione in gioventù dell’Accademia di San Luca a Roma. In questa veste, Gaspari fu il più convinto e coerente assertore, tra le lagune, del gusto barocco nell’accezione più squisitamente romana, benché filtrata e contaminata dalla tradizione. Impegnato, fin dagli anni ottanta del Seicento, nel proseguire il rinnovamento del linguaggio architettonico avviato dal genio di Longhena, egli tentò di innestare nella Dominante un’estetica che mirava a coniugare Bernini e Borromini.

Per soddisfare le esigenze di Marino Zane, in prima battuta l’architetto pensò di collocare la «libraria» ampliando il palazzo verso la corte retrostante e innalzando una torre a pianta ellittica, inscritta in un rettangolo, che si concludeva in una slanciata sala coperta da un soffitto a volta27. Non sappiamo per quali motivi questa originale proposta fu alla fine scartata e si preferì invece costruire il fabbricato in fondo al giardino, in luogo di alcune preesistenze, di proprietà degli stessi Zane, chiamate «le case nove sopra l’orto»28. La struttura venne dotata anche di un affaccio sul canale di San Giacomo dall’Orio e di almeno tre ingressi indipendenti: uno d’acqua, uno da terra (attraverso la piccola corte che dà sul campiello del Forner) e uno direttamente dal giardino. Di sicuro la soluzione adottata permetteva di avere un luogo intimo e raccolto, materialmente e idealmente separato dagli spazi di rappresentanza e di ufficialità della «casa grande». Nel novembre del 1695, sotto la direzione di Antonio Gaspari, presero avvio i lavori di muratura che si conclusero nel maggio del 1697, e fin dall’apertura del cantiere, il 21 gennaio 1696 (1695 more veneto), Marino Zane aveva commissionato quattro teste in pietra allo scultore d’origine tedesca Enrico Merengo29 da collocare in chiave d’arco sul portale d’acqua e sulla soprastante trifora del piano nobile30. A lavori completati il complesso si presentava come un blocco quadrangolare, un vero e proprio palazzetto, con due piani fuori terra, nel quale si innestava, verso il giardino, un’ala stretta e lunga destinata a ospitare la biblioteca. Tale articolazione a ‘L’ lasciava sul retro lo spazio per una corte rinserrata dai due lati dell’edificio. Il corpo principale si caratterizzava al suo interno per un portego terreno passante (dal canale alla corte), replicato al piano nobile, ma a doppia altezza, e questo era interamente circondato da un ballatoio che consentiva l’accesso ai camerini dell’ultimo piano. Intorno al portego – secondo la tradizione tipologica veneziana – si articolavano poi i diversi ambienti del casino. La scala era collocata in un vano laterale e raggiungeva anche il livello del ballatoio.

Non disponiamo dei progetti relativi alla porzione di edificio destinato a «casin», ma è giunto fino a noi il disegno di Gaspari per la facciata principale della biblioteca31: un corpo di fabbrica a due piani con un paramento murario scandito da quattro alte finestre ad arco bugnate che inquadrano al centro, quale fulcro visivo della composizione, una vasta nicchia ospitante una statua e un tetto a terrazza; un richiamo, quest’ultimo, formale e simbolico alla Libreria Marciana di Jacopo Sansovino32. Il 3 settembre 1699 «l’eccellentissimo et illustrissimo» Marino Zane si accordava con il tagliapietra Andrea Ciprioto di San Barnaba «per far alcune pietre vive per ornamento di balconi e prospettiva al muro del giardino» che «serve alla libreria», attenendosi scrupolosamente al «dissegno e modello» approntato da Gaspari che sottoscriveva con il suo autografo il contratto33. Ciprioto si impegnava a consegnare questi e altri materiali, necessari anche al prospetto secondario aperto verso la corte interna, il 24 ottobre dello stesso anno. Tutte le forniture occorrenti all’apparato decorativo dovevano essere di pietra «istriana della cava di Lemme»34: porte quadrangolari e finestre arcuate «alla rustica», una nicchia chiamata «prospettiva» ornata di «architrave, freggio e cornice dorica» sormontata da un timpano curvilineo, sul quale si innestava l’imponente stemma degli Zane «con sua corona di rillievo». Nelle intenzioni del progettista la facciata si concludeva con una cornice coronata da una balaustra a colonnelle sopra la quale facevano bella mostra di sé «cinque vasi» monumentali e «otto balle» tutte «di pietra viva» con il loro «peduzzo».

Nel 1708 la famiglia volle consegnare al pubblico dominio e ai posteri il sembiante della casa dominicale, del nuovo edificio e del giardino, attraverso la richiesta a «Luca pittor di Ca’ Zenobio», ovvero al vedutista Luca Carlevarijs35, di provvedere «per li rami et intagli per la stampa […], da ponersi con li altri fati da lui delle cose più notabili e di 42 palazzi più cospicui»36, all’interno della seconda edizione, non datata, del volume Le fabriche e vedute di Venetia37, che tuttavia – ora sappiamo – Marino Zane poté prontamente acquistare il 12 maggio 1708 presso il libraio Giovanni Battista Finazzi a San Giovanni Crisostomo38. In particolare l’incisione di Carlevarijs, che riproduce il prospetto del «casino Zanne» verso il giardino, mostra due edifici i quali, pur facendo parte del medesimo corpo di fabbrica, appaiono architettonicamente distinti, come a voler sottolineare la diversa funzione loro attribuita. Al 1708 risale poi un registro di conti, in gran parte stilato personalmente da Marino, che testimonia l’attenzione da questi riservata al suo giardino, con l’acquisto di arbusti per le «venezze» (aiuole), bulbi e semi di fiori39; all’incremento del patrimonio librario40, alla collezione di porcellane41, e all’arredo del casino, attraverso le spese per mobili ricercati, come le poltrone d’intaglio «all’ultima moda»42 o le lumiere dorate a forma di «girasole»43. Il suo interesse per la pittura è poi attestato dall’inventario della vasta quadreria, conservata nel palazzo44, e dalla cura con la quale nel 1702 egli si assicurò la spedizione in Dalmazia, durante il suo generalato, di alcuni dipinti di Antonio Balestra, «Monsù Cussin», Leandro Bassano, Carlo Isman, e altri ancora, che gli stavano particolarmente a cuore45.

Il 5 luglio 1708 Marino annotò nel suo registro l’onorario versato al medico Tommaso Senacchio, che «lo visitò più giorni» a causa della «sopravenienza del velenoso male» che gli «levò tutti i sentimenti» e lo «ridusse ad esser più ombra che corpo»46. Nei mesi successivi la malattia non concesse più molte requie al nobiluomo, e il 17 febbraio 1709 «l’illustrissimo et eccellentissimo ser Marino Zane […] d’anni 70» moriva per la «febre e cattaro»47.

Dopo il suo decesso la conduzione della famiglia passò nelle mani del figlio Vettor48, e il 18 agosto dello stesso anno l’amministratore di casa Zane Domenico Sartori stipulava con il proto Domenico Mazzoni, coadiuvato dal figlio Antonio, un dettagliato contratto per «refabricar da novo la facciata sopra al zardin»49 del casino con l’intento di uniformarla stilisticamente a quella della adiacente biblioteca. Se l’incarico fu materialmente affidato ai Mazzoni, il supervisore esplicitamente citato nel documento fu l’architetto Domenico Rossi, da poco vincitore del concorso (nel quale aveva battuto sia Antonio Gaspari che il di lui figlio Giovanni Giacomo) per la costruzione del prospetto della chiesa di San Stae, svoltosi grazie al lascito del defunto doge Alvise Mocenigo II50. Rossi era altresì responsabile di alcuni lavori di decorazione all’interno della cappella di famiglia nella chiesa di San Stin, edificata su progetto di Gaspari51. Come abbiamo visto sopra, Vettor morirà di lì a poco nel 1715, e l’inventario dei beni mobili, stilato dopo il suo decesso, descrive minuziosamente gli interni del casino e della biblioteca. Le pareti del portego del piano nobile, in particolare, erano «guarnite» con quattro «quadri grandi» raffiguranti «tre paesi» e «un porto di mar» incastonati in cornici di stucco, mentre sul soffitto del ballatoio, dai due lati corti, si stagliavano alcune tele «imprimite» (ovvero stampate a motivi ornamentali). Oltre ai «pedestalli d’intaglio dorati ad uso di torciera» e in foggia di girasoli, completavano l’arredo della sala quattro «banchette lunghe» e due «vasi alti di maiolica con figure colorite» coronati da «fiamme di legno dipinte». Anche le pareti del «corridor» intorno alla sala erano impreziosite da «nicchi» di stucco nei quali si incassavano altri «quattro quadri di paesi grandi […] con soaza d’intaglio dorata». Visti i rapporti di committenza degli Zane con Luca Carlevarijs, i dipinti richiamati nell’inventario non possono non ricordare i paesaggi e le marine che il medesimo pittore aveva lasciato, entro cornici a stucco, sulle pareti dell’andito che conduce al salone da ballo di Ca’ Zenobio52.

Tornando ai lavori per l’edificio, nella primavera del 1697 Marino, uomo pienamente aggiornato sui gusti dell’epoca, volle dotare il «vòlto» del portego a doppia altezza, e altre stanze del casino, di un apparato a stucco e affresco. Ancora oggi alcuni ambienti mostrano le tracce di tale campagna decorativa. A iniziare dal vano della scala, che reca sulla volta una raffigurazione del Tempo che rapisce la Verità, raccolto in una rotonda cornice di stucco e accompagnato da decori a finte architetture con grandi conchiglie e vasi di fiori. Sulla parte più alta delle pareti, illusionistiche colonne incorniciano balaustre sulle quali siedono alcuni puttini, mentre le frammentarie personificazioni della Prudenza da un lato e della Giustizia dall’altro sono inserite all’interno di finte nicchie che s’innestano in una architettura fittizia di ordine dorico-tuscanico. Nel riquadro centrale del soffitto del salone si staglia Ercole tra la Gloria e la Virtù e negli angoli della volta medaglioni a monocromo accoppiati raffigurano Mercurio e Diana, Anfitrite e Nettuno, Giunone e Pan, Ercole e Giove, simboli dei quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco53. Questi sono inseriti in cornici di stucco sostenute da leggiadri putti e intrecciate con serti ora di quercia ora d’alloro. Elemento oltremodo singolare nel panorama veneziano appaiono le quattro grandi conchiglie sulle quali sono dipinti putti scherzosi che giocano con un leone e con una tigre. Il vano, a doppia altezza, è interamente circondato da un ballatoio, in origine forse destinato a ospitare due orchestre, chiuso con una balausta lignea riccamente intagliata, al cui interno si scorgono le iniziali di Marino Zane «M Z». Il recente restauro ha inoltre riportato alla luce un palinsesto di successive stratificazioni ad affresco in tre camerini dell’ultimo piano. In particolare, sul soffitto della stanza che guarda verso la corte interna è emerso un fregio neoclassico a tempera che cela un intervento tardoseicentesco caratterizzato dalla presenza di quadrature architettoniche accompagnate da personificazioni delle Arti e delle Virtù; sulle pareti, trompe-l’oeil con vedute di fantasia risalgono sicuramente al XVIII secolo.

L’esecuzione degli stucchi magnificamente modellati venne affidata, giusta le notizie d’archivio, a un artista esordiente di origine ticinese, Abondio Stazio, che si dimostrerà un vero e proprio virtuoso nel suo campo, divenendo nei decenni successivi ricercatissimo dall’aristocrazia della Serenissima54. L’impresa per gli Zane costituisce un tassello importante per la storia dell’arte veneziana, poiché rappresenta la prima attestazione documentata della sua attività lagunare. Stazio non fu qui affiancato, anche per ragioni anagrafiche, da quello che poi diverrà il suo più fedele collaboratore, Carpoforo Mazzetti Tencalla, ma venne coadiuvato dal meno celebre Andrea Pelli che si occupò anche della decorazione dei «camerini». I compensi elargiti ai due artefici furono puntualmente registrati nel libro dei «Riceveri», dal 15 marzo 1697 al 20 maggio dell’anno successivo, quando Pelli rilasciava quietanza per il saldo dell’ultimo conto di 180 ducati a nome «del mio collega Abondio Statio stucadore»55.

Ulteriore testimonianza della sensibilità di Marino Zane fu la chiamata del quadraturista bolognese Ferdinando Fochi – attivo di lì a qualche anno insieme a Giovanni Antonio Pellegrini sul soffitto della Biblioteca del Santo a Padova56 – per dipingere con motivi a trompe-l’oeil alcune stanze e la tromba della scala. Un lavoro in cui si impegnò a più riprese dal marzo del 1697 fino al saldo dei compensi avvenuto il 5 marzo 170157. A lui quindi spettano anche i monocromi con le Arti e le Virtù ora affiorati sul soffitto del camerino verso la corte, che per affinità di stile consentono adesso di attribuire a Fochi le quadrature architettoniche di villa Gradenigo a Piove di Sacco nel padovano58.

Invece, una ricevuta datata 31 maggio 1698 di «Giacomo della Gana depentor», relativa ad alcuni lavori effettuati nel soffitto del portego, ci informa che egli veniva compensato per la doratura di un fregio intorno alla cornice di mezzo «del quadro fato per mano del Rici»59. L’Ercole tra la Gloria e la Virtù e, all’evidenza, i monocromi che lo circondano, i putti nelle conchiglie (tutti sul soffitto del salone) e Il Tempo che rapisce la Verità (sulla volta della scala) sono dunque da riferire alla mano di Sebastiano Ricci60. L’esecuzione di questo ciclo si colloca a ridosso del 1698, quand’egli era appena rientrato a Venezia dalle sue peregrinazioni tra Parma, Roma e Milano61, si configura come la prima testimonianza documentata, in patria, del suo talento per l’affresco, e l’unica sopravvissuta nelle lagune insieme a quella per la cappella della scuola dei Carmini, nella chiesa omonima, realizzata tra il 1708 e il 170962.

Artista di fama internazionale, «ricco di doni di benigna natura»63, Sebastiano Ricci fu, insieme a Giovanni Antonio Pellegrini, il promotore dell’orientamento ‘chiarista’ che introdusse nelle lagune il gusto rococò secondo l’accezione più propriamente veneziana di Barocchetto. Gli fu maestro il pittore di origine milanese Federico Cervelli, dal quale apprese in giovane età il colorito fresco e la «facilità di pennello». La sua vastissima produzione spazia dai dipinti da cavalletto all’affresco su grande superficie, a iniziare dalla volta di San Secondo a Parma (1685), passando per palazzo Colonna a Roma (1692), dove fondamentale fu l’esempio di Pietro da Cortona, per San Bernardino alle Ossa a Milano (1694), per la cappella del Santissimo in Santa Giustina a Padova (1700), giungendo allo straordinario esempio di Palazzo Marucelli a Firenze (1707). Richiesto financo alla corte imperiale di Schönbrunn, ammesso all’Accademia di Francia, egli non disdegnò di cimentarsi nella realizzazione degli apparati scenografici per le opere di Georg Friedrich Häendel durante il suo soggiorno londinese del 1712-1716. Ricci fu uomo di grande spirito, dal carattere irrequieto e sanguigno, esperto nella contraffazione dei dipinti di Paolo Veronese che riusciva a spacciare come autentici. La sua maniera trovò riflesso nell’arte di Gaspare Diziani, Francesco Fontebasso, Francesco e Antonio Guardi, fu la causa del virage coloristico e luministico di Giambattista Piazzetta, suscitando altresì una suggestione profonda nel genio inarrivabile di Giambattista Tiepolo.

Per quel che riguarda le prove del casino Zane, risulterebbe ozioso in questa sede stabilire puntuali rimandi con la sua produzione, ma le fisionomie dolci e al contempo icastiche dei personaggi, la scioltezza del disegno, i colori chiari e fluidi sono già sufficientemente eloquenti. Un restauro eseguito nel 1947 ne compromise alcuni brani, sia nel riquadro centrale della volta che nelle composizioni all’interno delle conchiglie64. Il Tempo che rapisce la Verità risulta l’episodio che ha meno sofferto, nonostante l’imbrunimento dell’originale cromia, e si configura come un esempio particolarmente felice nell’incastro dei corpi sodi e sapientemente modellati da una luce di sottoinsù. Permeato da una garbata ironia, formula costante dell’intero catalogo riccesco, un muscoloso Saturno, intento nello sforzo deciso di afferrare la giovane, ha ceduto momentaneamente il falcetto a due puttini che lo ostentano – insieme alla clessidra, propria della Verità – con quel sussiego che solo i bambini sanno mettere nei loro giochi. La fanciulla dai biondi capelli, che non si vergogna di mostrare le proprie nudità, poiché «a lungo andare la Verità necessariamente si scopre e apparisce» in quanto «figliuola del Tempo», non ha smesso invece di reggere il Sole e si è appropriata dell’Uroboros, attributo del suo audace compagno e simbolo di eternità65.

Nel lungo riquadro che s’apre sul soffitto del salone la figura di un giovane Ercole, accompagnato dalla Gloria e dalla Virtù che scacciano le creature delle tenebre, esibisce altresì gli attributi dell’Onore: il volto imberbe, il petto scoperto, la corona d’alloro che sta per cingergli il capo, alcuni monili suoi propri (scettro, corona, collari con medaglioni d’oro, offerti da un amorino), la clava in sostituzione dell’asta, parimenti simbolo di forza66. La composizione si configura, ad ogni buon conto, come una esaltazione delle nobili virtù del committente, mentre i monocromi posti ai quattro angoli della sala, autentici punti cardinali di questo microcosmo, restituiscono un Olimpo già rivisitato, con Ercole (barbato, questa volta) accolto a pieno titolo nell’aureo consesso. Simboli di fortezza e di gloria sono rappresentati anche dai serti di quercia e di alloro che li attorniano. I putti che si accampano nelle grandi conchiglie di stucco, impegnati in trastulli innocenti, alludono alla gioia dell’evento che, calato nella quotidianità e nella cronaca familiare, potrebbe essere accostato alla celebrazione di una non minore promessa di fecondità e quindi di immortalità per la stirpe, dovuta al matrimonio di Vettor Zane, figlio di Marino, con Elena Michiel, celebrato l’8 febbraio 169767. Buoni auspici che, come già detto, non troveranno seguito dal momento che nel corso di pochi anni la famiglia si estinguerà nel ramo maschile.

Un altro importante artista coetaneo di Ricci intreccia il suo destino con questa committenza. Si tratta di uno scultore di stampo classicista, Giuseppe Torretti, che agli esordi della carriera, a partire dal 1680, si dedicò soprattutto alla lavorazione del legno68. Trevigiano della pedemontana, nato a Pagnano d’Asolo nel 1664, la sua produzione eserciterà profonde «suggestioni sugli scultori contemporanei e della generazione successiva»69. Se non vi è più traccia del «letto d’intaglio» realizzato nel 1698 per Marino Zane70, possiamo tuttavia consolarci con un disegno che Sebastiano Ricci aveva approntato per un simile manufatto71. Stimolante può essere infatti il confronto tra le grandi conchiglie a stucco sul soffitto del salone, entro le quali lo stesso Ricci dipinse dei putti festosi, e il disegno, ove una grande conchiglia barocca, sostenuta da due poderosi cavalli marini, contiene il talamo matrimoniale sopra il quale si innalza una Fortuna ignuda che dispiega una vela rigonfia. In questo caso l’artista sembra rammentare un’opera pubblica di pregnante valore: la bronzea Fortuna, commissionata dalla Repubblica a Bernardo Falconi nel 1677, che volteggia sul globo dorato della Punta della Dogana da Mar nel cuore del Bacino di San Marco72.

Dopo gli Zane

Nel suo testamento datato 17 gennaio 1714 Vettor Zane stabiliva di lasciare l’intera facoltà alla vedova Elena Michiel o, in caso di sua scomparsa, alla nipote Maria sposata Venier, figlia del fratello Domenico73. Ma nello stilare le ultime volontà il nobiluomo aveva tralasciato di considerare un antico fidecommesso approntato nel 1348 dall’avo Almorò Zane, che fissava una linea ereditaria diretta esclusivamente maschile. Se questa si estingueva, il patrimonio doveva passare ai consanguinei maschi più vicini al ramo principale della famiglia che avrebbero «provveduto» alle femmine, senza meglio definire la consistenza della parte che a queste doveva spettare74. Nello specifico il fidecomesso trecentesco si applicava al ramo discendente dal fratello minore di Almorò, Tommaso che, nel 1714, alla morte di Vettor era rappresentato da Antonio Zane quondam Francesco. Egli non perse tempo e il 30 marzo 1715 impugnò il testamento contro Elena Michiel. Ma la liquidazione alla componente femminile risultò fin da subito assai complicata, non essendovi clausole specifiche in merito. Per tutelare i propri diritti si unirono a Elena nella causa, la nipote Maria Zane Venier, e, inaspettatamente, anche la sorella di Antonio, Luchese Zane sposata Loredan. Le nobildonne attraverso i loro avvocati posero il dubbio se la clausola del fidecommesso andava applicata soltanto alla consistenza patrimoniale del 1348 o a quella enormemente ampliata – solo a San Stin gli immobili in proprietà era una trentina – lasciata da Vettor alla sua morte. La causa rischiava di prolungarsi nel tempo e nel 1716 venne trovato un accordo che, per quel che a noi interessa, lasciava a Maria Zane Venier il possesso del «palazzo con giardino e casino con due case annesse». Con la morte prematura di Maria nel 1724, il complesso dominicale passava definitivamente nel patrimonio dei Venier di San Vio, insieme alle «statue, banchi dipinti, quadri, portiere e pedestali» valutati 1.083 ducati. Nel 1726 «la casa grande e casino» risultavano affittate ai Giovanelli per 800 ducati, e nel 1740 erano occupate dalla «nobildonna Calbo», che versava ai Venier 600 ducati annui di pigione. Il 3 aprile 1783 «Maria Venier cavaliera e procuratoressa Contarini» moglie di Alvise II, detto Piero, dei Contarini di San Trovaso, cedeva al conte Giacomo Collalto il palazzo e il giardino – già affittato a Francesco Sagredo e all’epoca vuoto – per la somma di 15.000 ducati75. In un secondo momento, il 14 settembre 1789 la stessa vendeva sempre ai Collalto, per 5.000 ducati, anche il casino, a quella data occupato, in veste di inquilino, dal conte Giacomo Zanchi.

Trascorsa la bufera che aveva inesorabilmente travolto la Repubblica nel 1797, il primo marzo 1805 Maria Contarini Venier rinunciava ad ogni suo «diritto e patronato» sopra la cappella di San Giuseppe nella chiesa di San Stin, luogo che accoglieva i sepolcri degli Zane. Di lì a poco con i decreti napoleonici del 1807 e del 1810, relativi al riordino delle parrocchie veneziane, la chiesa sarebbe stata demolita76 e le ossa dei defunti dell’illustre casata avrebbero trovato la loro destinazione nella sperduta isola ossario di Sant’Ariano nella Laguna Nord.

Maria Contarini Venier fu l’ultima discendente, seppur indiretta, degli Zane che poté legare il proprio nome al complesso edilizio di San Stin. Dopo altri passaggi di proprietà avvenuti nel corso del XIX e XX secolo, il casino fu separato dal palazzo che diventò infine sede dell’Istituto Tecnico Livio Sanudo. Entrato in possesso dei marchesi Taliani, ad esclusione di quella parte un tempo destinata a biblioteca, il palazzetto passò all’arciduca Domenico di Asburgo Lorena, che lo cedette nel 2006 alla Fondation Bru di Cologny.

1 C. Freschot, Li pregi della nobiltà veneta, abbozzati in un gioco d’arme di tutte le famiglie […], Venezia 1682, pp. 429-431.

2 G. Zabarella, Il magnifico, ovvero la virtù mascherata dove si scoprono tutte le sublimi grandezze della Ser. Repub. di Venezia et della nobilissima casa de Zani […], Padova 1661, p. 20.

3 Alla metà del XVI secolo la statua di Agrippa, proveniente dal Pantheon, apparteneva già alla celebre collezione dei Grimani di Santa Maria Formosa; G. Moschini, Della statua di Marco Agrippa nel cortile Grimani a Santa Maria Formosa. Cenni di storia e di arte pubblicati nelle nozze Manin-Grimani, Venezia 1829.

4 Zabarella, Il magnifico, cit., p. 29.

5 Sull’argomento si veda D. Raines, L’invention du mythe aristocratique. L’image de soi du patriciat vénitien au temps de la Sérénissime, 2 voll., Venezia 2006.

6 G. Tassini, Curiosità veneziane, ovvero origini delle denominazioni stradali di Venezia, a cura di L. Moretti, Venezia 1990 (I ed. 1863), p. 703.

7 Biblioteca del Museo Correr di Venezia (d’ora innanzi bmcve), Mss. P.D.c, 1100, Archivio privato Zane, «Catastico per la commessaria di Ca’ Zane», c. 44v.

8 L’albero genealogico della famiglia Zane relativo al ramo di San Stin si trova in Archivio di Stato di Venezia (d’ora innanzi asve), Miscellanea Codici Storia Veneta, 23, «M. Barbaro, Arbori de’ patritii veneti», reg. VII, pp. 328-329.

9 Così definito da Leonardo Querini, nell’introduzione ai Vezzi d’Erato. Poesie liriche di Leonardo Quirini […], Venezia 1649, p. n.n.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane raccolte ed illustrate […], III, Venezia 1830, p. 441.

10 A Domenico fu donata «l’arma di Castiglia, ch’è la Torre d’oro in campo vermiglio, la quale egli inquartò colla Volpe antica insegna della casa Zane»; Cicogna, Delle inscrizioni, cit.,p. 440.

11 Sulle vicende costruttive del palazzo dominicale si vedano: E. Bassi, Un episodio dell’edilizia veneziana del secolo XVII: i palazzi Zane a San Stin, in «Arte Veneta», 15 (1961), pp. 155-164; M. Frank, Baldassare Longhena, Venezia 2004, pp. 343-348.

12 Per la morte di Marino, avvenuta il 17 febbraio 1709 si veda asve, Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 907, alla data 17 febbraio 1708 more veneto.

13 D. Martinelli, Il Ritratto di Venezia […], Venezia 1704, p. 690. La formazione della biblioteca risale allo zio Domenico, e nel 1663 la libreria di «Domenico il cavaliere, e Leonardo Zane fratelli» veniva ricordata come «mirabile per quantità e varietà di materie con bellissime ligature e stampe forestiere»; G. Martinioni, in F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare […], VIII, Venezia 1663, p. 371. A Marino investito «di tante altre cospicue e supreme dignità», lo stampatore veneziano Giuseppe Prosdocimo dedicava l’edizione del 1679 del Ristretto dell’historie del mondo del padre gesuita Orazio Torsellini.

14 Nel 1715, con la morte di Vettor, ultimo della famiglia in linea maschile, il teatro di San Moisè, che gli Zane avevano gestito dal 1628, ritornava in proprietà della famiglia Giustinian. Gli Zane ne erano entrati in possesso, insieme ad altri beni, grazie ad Alvise Giustinian il quale nel suo testamento del 1625 nominava suoi eredi i cugini di parte materna Marino e Almorò Zane. Il fidecommesso che stabiliva una discendenza esclusivamente maschile per il patrimonio inalienabile di Alvise Giustinian, in caso di estinzione della linea maschile degli Zane, doveva ritornare «a propinqui di Ca’ Giustinian» ovvero ai parenti maschi anche se indiretti, in questo caso del ramo Giustinian di San Barnaba; F. Mancini, M.T. Muraro, E. Povoledo, I teatri di Venezia, I, Teatri effimeri e nobili imprenditori, Venezia 1995, pp. 155-208.

15 asve, Miscellanea Codici Storia Veneta, 23, «M. Barbaro, Arbori de’ patritii veneti», reg. VII, pp. 328-329. Le notizie relative ai matrimoni e alle nascite si trovano in ivi, Avogaria di Comun, reg. V, c. 266v, reg. VI, c. 288.

16 Il contratto di matrimonio veniva stilato il 7 dicembre 1710; bmcve, Mss. P.D.c, 1100, Archivio privato Zane, «Catastico per la commessaria di Ca’ Zane», c. 37v.

17 Ibid., c. 26.

18 bmcve, Mss. P.D.c, 1114, Archivio privato Zane, n. 37, «Calcolo d’avviso dell’entrata della facoltà […] lasciata alla morte dell’eccellenza Vettor Zane kavalier […] non compresi li fondi dotali delle nobil donne madre e moglie».

19 asve, Notarile testamenti, notaio Giuseppe Bernardo Bellan, b. 149, n. 163. Anche l’archivio degli Zane passerà ai Michiel, per poi confluire nei Donà delle Rose e giungere infine negli anni trenta del Novecento alla Biblioteca del Museo Correr dove tuttora in buona parte si conserva.

20 Sulla figura di Giovanni Comin si veda, con bibliografia, A. Bacchi, La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, Milano 2000, pp. 724 725.

21 Realizzate nel secondo dopoguerra su iniziativa dell’Istituto Tecnico Livio Sanudo che attualmente occupa i locali del palazzo dominicale appartenuto agli Zane.

22 bmcve, Mss. P.D.c, 1825-1829, Archivio privato Zane, reg. segnato «1694, primo marzo. Riceveri di artefici, salariati, et altri sino tutto novembre 1710», alla data.

23 Bassi, Un episodio, cit., pp. 155-164; Frank, Baldassare Longhena, cit., pp. 343-344.

24 bmcve, Mss. P.D.c, 1100, Archivio privato Zane, «Catastico per la commessaria di Ca’ Zane», cc. 23-24; Bassi, Un episodio, cit., p. 160. Sulla quadreria di Marino Zane si veda: L. Borean, Il collezionismo e la fortuna dei generi, in Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Seicento, a cura di L. Borean, S. Mason, Venezia 2007, pp. 63-83: 73.

25 bmcve, Mss. P.D.c, 1145, Archivio privato Zane, reg. segnato «Spese per la fabrica del casin». Il cantiere restò aperto dal novembre 1695 al maggio 1697; Bassi, Un episodio, cit., p. 161.

26 Per una ricostruzione della vicenda biografica e artistica ci sia consentito rimandare a M. Favilla, R. Rugolo, La Verità sul caso Gaspari, in «Studi Veneziani», n.s., 45 (2003), pp. 243-263; Iid., Gaspari Antonio Domenico, in Allgemeines Künstlerlexicon, L, München-Leipzig 2006, pp. 8-9; Iid, Progetti di Antonio Gaspari architetto della Venezia barocca, in «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», Classe di scienze morali, lettere ed arti, CLXV (2006-2007), pp. 139-141. E inoltre B. Cogo, Antonio Gaspari architetto veneziano. Dati biografici (1656-1723). Il suo capolavoro, Este 2003. Il primo studio sistematico sull’opera di questo architetto è di E. Bassi, Episodi dell’architettura veneta nell’opera di Antonio Gaspari, in «Saggi e Memorie di Storia dell’Arte», 3 (1963), pp. 56-108, ove è riportato anche l’inventario, stilato dalla studiosa, dei disegni conservati presso il Museo Correr di Venezia (d’ora innanzi mcve). A tale inventario ricorreremo in seguito con la dicitura Raccolta Gaspari.

27 mcve, Raccolta Gaspari, III, n. 8; Bassi, Un episodio, cit., p. 157, figg. 189-190; Ead., Episodi, cit., p. 101.

28 bmcve, Mss. P.D.c, 1120, Archivio privato Zane, c. 75v.

29 Sulla figura di Enrico Merengo (Heinrich Meyring) si veda, con bibliografia, Bacchi, La scultura, cit., 760-762.

30 bmcve, Mss. P.D.c, 1825-1829, Archivio privato Zane, reg. segnato «1694, primo marzo. Riceveri di artefici, salariati, et altri sino tutto novembre 1710», alla data.

31 mcve, Raccolta Gaspari, I, n. 92, Bassi, Un episodio, cit., p. 163, fig. 200; Ead., Episodi, cit., p. 100.

32 Infatti l’esplicito richiamo alla Libreria Marciana si coglie pienamente nell’incisione di Luca Carlevarijs che riproduce il prospetto del casino e della biblioteca, dove, sulla balaustra della terrazza di quest’ultima, compaiono delle mai realizzate statue in acroterio. Per l’incisione di Carlevarijs si veda qui infra note 35-37.

33 bmcve, Mss. P.D.c, 1120, Archivio privato Zane, n. 55.

34 Località in prossimità di Rovigno in Istria.

35 Luca Carlevarijs (1663-1730), detto anche Luca da Ca’ Zenobio dal nome della nobile famiglia veneziana che lo proteggeva. Sull’artista si veda almeno F. Mauroner, Luca Carlevarijs, Padova 1945.

36 bmcve, Mss. P.D.c, 1675, Archivio privato Zane, «Ca’ Zane. Giornale del scosso e speso per l’anno 1708». Il 3 aprile 1708 Luca Carlevarijs riceveva un primo pagamento di 8 ducati per i «due prospetti di casa grande, giardino e casino» e l’11 maggio dello stesso anno l’artista veniva saldato con ulteriori 10 zecchini «per li rami e fogli de’ prospetti di casa».

37 L. Carlevarijs, Le fabriche e vedute di Venetia disegnate, poste in prospettiva et intagliate […], Venezia, Giovanni Battista Finazzi a San Giovanni Crisostomo, s.d., tavv. 102-103.

38 Marino Zane acquistava dal «librer a San Giovanni Crisostomo» il «libro di prospettiva dato in luce da Luca pittor di Ca’ Zenobio»; bmcve, Mss. P.D.c, 1675, Archivio privato Zane, «Ca’ Zane. Giornale del scosso e speso per l’anno 1708».

39 Ibid. In questo registro sono anche annotati i seguenti acquisti e spese: «duecento cipole giacinti per il giardin» (9 marzo 1708); «contadi a Gerolamo semenser per li fiori» (12 marzo); «due colme di pomi lazaruoli bianchi [Crataegus azarolus, ovvero azzeruolo,] per le venezze»; «contadi in donativo al giardinier dell’eccellentissimo signor Giovanni Loredano che mi regalò una coppa di fiori bellissimi rari del suo giardino» (7 aprile); «spese per metter fuori li naranzari» (18 aprile).

40 L’inventario della biblioteca si trova in bmcve, Mss. P.D.c, 1103, Archivio privato Zane, n. 33. Sull’argomento si veda D. Raines, La biblioteca-museo patrizia e il suo 'capitale sociale' - modelli illuministici veneziani e l’imitazione dei nuovi aggregati, in Arte, storia, cultura e musica in Friuli nell’età del Tiepolo (Atti del convegno internazionale di studi, Udine 19-20 dicembre 1996), a cura di C. Furlan, Udine 1997, pp. 63-84: 80.

41 La collezione di porcellane era conservata nel casino, in una stanza denominata «gabinetto […] per entrar in libreria», all’interno di due «armaretti», e annoverava oltre un centinaio di pezzi «di galanterie da galleria, la maggior parte scudelle, piattelli e vasetti di porcellana o sia maiolica fina». Alcuni oggetti erano poi esposti nello stesso ambiente sopra «quattro piedestalletti grandetti attaccati al muro»; bmcve, Mss. P.D.c, 1103, Archivio privato Zane, n. 30,«1715, 29 agosto. Inventario degli oggetti lasciati dal fù Vettor Zane kavalier nella casa di abitazione del suddetto a San Stin […]».

42 Ivi, Mss. P.D.c, 1675, Archivio privato Zane,«Ca’ Zane. Giornale del scosso e speso per l’anno 1708», 17 maggio 1708: «contadi a monsù Zuanne intagliador a conto di quattro fusti di careghe d’intaglio di bel lavoro, vanno vestite di veluto d’oro con pozi alti all’ultima moda».

43 Ibid., primo marzo 1708: «contadi al tornidor al ponte dell’Oglio per haver fatto le lumiere di tre branchi a sorte tornite e il bussolo di mezzo per compagno posti sopra li cantoni dorati colli girasoli e servono per illuminare la sala del casino».

44 La stima della quadreria, dove purtroppo non sono registrati i nomi degli artisti ma solo i soggetti dei dipinti, fu approntata il 21 maggio 1717 dal pittore Nicolò Bambini, due anni dopo la morte di Vettor Zane; bmcve, Mss. P.D.c, 1103, Archivio privato Zane, n. 32, «1717. Stime fatte di quadri, arazzi, mobili et argenti, furono del fù eccellenza Vettor Zane kavalier di consenso delle nobildonne Elena Michiel Zane e Maria Zane Venier».

45 Ivi, Mss. P.D.c, 1461, Archivio privato Zane, «Ca’ Zane. Registro di robbe spedite per il servitio del generalato in Dalmatia», alle date 15 luglio e 4 settembre 1702. Nel caso del dipinto indicato come «un paese di Monsù Cussin con figure di Monsù Levebre», dovrebbe trattarsi di un opera frutto della collaborazione del francese Nöel Cochin con il fiammingo Valentin Lefèvre; cfr. L. de Fuccia, Per un profilo di “Cochin de Venise”, in «Arte Veneta», 64 (2007), pp. 253-261; U. Ruggeri, Valentin Lefèvre: (1637-1677), dipinti, disegni, incisioni, Manerba (Reggio Emilia), 2001.

46 bmcve, Mss. P.D.c, 1675, Archivio privato Zane,«Ca’ Zane. Giornale del scosso e speso per l’anno 1708», alla data.

47 Cfr. qui supra nota 12.

48 A testimonianza della considerazione che questi riscuoteva negli ambienti culturali della città, il nome di «sua eccellenza Vettor Zane senatore veneziano» appariva nel primo tomo del Giornale de’ letterati d’Italia, uscito nel 1710, in una erudita dissertazione intorno alla «picciola antica immagine di bronzo creduta del dio Telesforo» trovata nei pressi di Altino e conservata a palazzo Zane.

49 bmcve, Mss. P.D.c, 1120, Archivio privato Zane, cc. non numerate. Il primo luglio 1709 il tagliapietra Valentin Lucchese si impegnava a fare «alcuni lavori di pietra viva» nella facciata del casino «sopra il giardino […] giusta al dissegno che li sarà consegnato dal proto Domenico Rossi»; ibid., n. 60. Il 20 novembre dello stesso anno si saldava il compenso al tagliapietra per «aver disfatto le piramidi» che svettavano sulla facciata del casino verso il rio di San Giacomo dall’Orio; Bassi, Un episodio, cit., p. 161.

50 Sull’argomento si veda: L. Ravaioli, Il concorso per la facciata di S. Stae a Venezia, in «Disegno di architettura», 7 (1993), pp. 57-70.

51 I pagamenti per i lavori affidati a Domenico Rossi risalgono al 15 maggio 1708 e sono registrati in bmcve, Mss. P.D.c, 1675, Archivio privato Zane, «Ca’ Zane. Giornale del scosso e speso per l’anno 1708», alla data. Per i progetti di Antonio Gaspari relativi alla cappella Zane si veda Bassi, Un episodio, cit., p. 163.

52 Sull’attività di Luca Carlevarijs a Ca’ Zenobio si veda I. Chiappini di Sorio, Gli Zenobio e il Carlevarijs, in Per l’arte. Da Venezia all’Europa. Studi in onore di Giuseppe Maria Pilo, a cura di M. Piantoni, L. De Rossi, Gorizia 2001, pp. 443-446.

53 Per l’identificazione dell’iconografia si veda M. Favilla, R. Rugolo, Divagazioni tardobarocche da Dorigny a Tiepolo, in «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti», 167 (2008-2009), Classe di scienze morali, lettere ed arti, pp. 401-467: 409-410.

54 Sulla figura di Abondio Stazio si vedano almeno: B. Aikema, “Il famoso Abondio”: Abbondio Stazio e la decorazione a stucco nei palazzi veneziani, circa 1685-1750, in «Saggi e Memorie di Storia dell’Arte», 21 (1997), pp. 85-122, e , con bibliografia Bacchi, La scultura, cit., pp. 787-788.

55 bmcve, Mss. P.D.c, 1825-1829, Archivio privato Zane, reg. segnato «1694, primo marzo. Riceveri di artefici, salariati, et altri sino tutto novembre 1710», alla date: 15, 23, 27, marzo 1697; 1, 17, 28 settembre 1697; 22 febbraio 1698; 5, 11, 12, 19, 26, aprile 1698; 3, 10, 16, 20 maggio 1698. Gli stucchi, tradizionalmente attribuiti ad Abondio Stazio, erano stati assegnati su base stilistica a Pietro Roncaioli da M. De Grassi, Filippo Parodi, Pietro Roncaioli e lo stucco tardobarocco a Venezia, in «Arte Veneta», 54 (1999), pp. 55-79: 65.

56 A. Mariuz, Antonio Pellegrini a Padova, in Antonio Pellegrini. Il maestro del Rococò alle corti d’Europa, catalogo della mostra (Padova, Palazzo della Ragione, 20 settembre 1998-10 gennaio 1999) a cura di A. Bettagno, Venezia 1998, pp. 23-37.

57 bmcve, Mss. P.D.c, 1825-1829, Archivio privato Zane, reg. segnato «1694, primo marzo. Riceveri di artefici, salariati, et altri sino tutto novembre 1710», alla date: 15, 23 marzo 1697; 21 febbraio 1698; 11, 19 aprile 1698; 3, 10, 26, 31 maggio 1698; 7, 14, 21, 27 giugno 1698; 5, 18 luglio 1698; 2, 14 agosto 1698; 26 maggio 1700; 29 luglio 1700; 5 marzo 1701. L’anno dopo l’artista veniva pagato da Marino Zane per aver «disegnato et ombrezato» 20 braccia di raso necessarie alla foderatura dei «cariazi», ovvero i carri per il trasporto dei bagagli, per il generalato in Dalmazia; ivi, Mss. P.D.c, 1909, Archivio privato Zane, reg. segnato «Eccellenza Marin Zane 1702. Libro di spese per il generalato di Dalmatia […]», p. 2.

58 Cfr. G. Ericani, Architettura reale ed architettura dipinta. La costruzione e la decorazione del palazzo, in Palazzo Gradenigo, villa veneta in Piove di Sacco, Piove di Sacco (PD) s.d., pp. 61-85: 72-73, 83-85.

59 bmcve, Mss. P.D.c, 1825-1829, Archivio privato Zane, reg. segnato «1694, primo marzo. Riceveri di artefici, salariati, et altri sino tutto novembre 1710», alla data. Documento reso noto da M. Favilla, R. Rugolo, Sebastiano Ricci, Venezia, Casino Zane, in Gli affreschi nei palazzi e nelle ville venete dal ’500 al ’700, a cura di F. Pedrocco, Schio (Vicenza) 2008, pp. 178-183.

60 Tali pitture erano state attribuite da Serena Romano alla mano di Nicolò Bambini, collocandone l’esecuzione verso la fine del XVII secolo, «per la solida plasticità seicentesca», laddove l’artista inventa «tagli e controluce che più che ad ogni altro lo avvicinano a Sebastiano Ricci»; S. Romano, Palazzi veneziani: scoperte. Un ciclo di Niccolò Bambini nel palazzetto Zane a Venezia, in «Ricerche di Storia dell’Arte», 17 (1982), pp. 85-90. L’attribuzione a Bambini sarà accolta dalla critica successiva e con riserva nello studio monografico di R. Radassao, Nicolò Bambini «pittore pronto spedito ed universale», in «Saggi e Memorie di Storia dell’Arte», 22 (1998), pp. 131-287: 190-191, n. 84A.

61 Si veda per ultima, con bibliografia, A. Scarpa, Sebastiano Ricci, Milano 2006.

62 L. Moretti, Documenti e appunti su Sebastiano Ricci (con qualche altro cenno su altri pittori del Settecento), in «Saggi e Memorie di Storia dell'Arte», 11 (1978), pp. 95-125: 108. Giova rammentare che durante il Seicento nella realizzazione della pittura murale era invalso tra gli artisti, in particolare dell’area veneta, l’uso del mezzo fresco e di estese finiture a secco. Non fanno eccezione, come emerso anche nel corso dell’ultimo restauro, le pitture di Ricci e Fochi a palazzetto Zane. Sull’argomento si veda S. Tagliapietra, Appendice. Le tecniche e i materiali del Barocco veneziano, in M. Favilla, R. Rugolo, Venezia barocca. Splendori e illusioni di un mondo in ‘decadenza’, prefazione di F. Pedrocco e appendice di S. Tagliapietra, pp. 262-263: 263.

63 A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia 177, p. 437.

64 Romano, Palazzi veneziani, cit., p. 87.

65 C. Ripa, Iconologia […], Venezia 1669, pp. 620, 666.

66 Ibid., p. 258.

67 asve, Avogaria di comun, reg.VI, c. 228; cfr. Aikema, «Il famoso Abondio»,cit., p. 117 nota 53.

68 G. Vio, Giuseppe Torretti intagliatore in legno e scultore in marmo, in «Arte Veneta», 38 (1984), pp. 204-209.

69 P. Rossi, Per il catalogo delle opere veneziane di Giuseppe Torretti, in «Arte Documento», 13 (1999), pp. 285-289. Ma sulla figura di Torretti si veda anche, con bibliografia, Bacchi, La scultura, cit., pp. 795-798.

70 bmcve, Mss. P.D.c, 1825-1829, Archivio privato Zane, reg. segnato «1694, primo marzo. Riceveri di artefici, salariati, et altri sino tutto novembre 1710». I compensi a Giuseppe Torretti «intagliador» sono annotati alle date 6 settembre, 21 novembre e 6 dicembre 1698, per un totale di 40 ducati.

71 Venezia, Gallerie dell’Accademia, Gabinetto dei disegni e delle stampe, inv. 1737; cfr. A. Perissa Torrini, in Andrea Brustolon 1662-1732, «il Michelangelo del legno», catalogo della mostra (Belluno, Palazzo Crepadona, 14 marzo-12 luglio 2009), a cura di A.M. Spiazzi, M. De Grassi, G. Galasso, Ginevra-Milano 2009, pp. 333-334, n. 50.

72 Favilla, Rugolo, Venezia barocca, cit., pp. 129-130. Cfr. F. Lazzari, Notizie di Giuseppe Benoni architetto e ingegnere della Veneta Repubblica, Venezia-Alvisopoli 1840, pp. 27-28; S. Moretti, «Fondamenti sodi et non pensier vani»: Giuseppe Benoni ingegnere e architetto tra Venezia e Friuli nella seconda metà del XVII secolo a servizio della Dominante, in «Architetto sia l’ingegniero che discorre». Ingegneri, architetti e proti nell’età della Repubblica, a cura di G. Mazzi, S. Zaggia, Venezia 2004, pp. 153-199: 186.

73 bmcve, Mss. P.D.c, 1100, Archivio privato Zane, «Catastico per la commessaria di Ca’ Zane», c. 26.

74 Ivi, Mss. Venier, 124, «Catastico Venier», I, cc. 126-131.

75 Ibid., cc. 369-370.

76 A. Zorzi, Venezia scomparsa, II, Milano 1977, p. 388; E. Bassi, Tracce di chiese veneziane distrutte. Ricostruzioni dai disegni di Antonio Visentini, Venezia 1997, pp. 66-71.


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.