L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Grigorij Sokolov

Genio e regolarità

 di Stefano Ceccarelli

Attesissimo e puntuale il recital di Grigory Sokolov. La sala Santa Cecilia è gremita e trepidante di ascoltare un autentico mago della tastiera, che ha costruito la sua ormai lunghissima carriera su una genialità priva di sregolatezza e, anzi, carica di senno, di una regolarità certo non priva di sperimentalismo e continuo, ininterrotto studio. Il programma è ben scandito in un dittico: la prima parte prevede l’Arabeske in do maggiore op. 18 e la Fantasia in do maggiore op. 17 di Robert Schumann, mentre la seconda i due Notturni op. 32 e la Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 35 di Fryderyk Chopin. Il concerto è graditissimo: raramente un pubblico è così caloroso.

ROMA, 15 aprile 2016 – Che Sokolov sia un genio, è assodato. E che riesca a dimostrarlo, sempre, con intelligenza e regolarità, è certo meno scontato, soprattutto per un artista del suo livello. Il mito di genio e sregolatezza non si attaglia a Grigory Sokolov: basti leggere la sua biografia per sapere che tiene circa settanta concerti a stagione, tutti col medesimo programma. Vuol dire vivere intensamente un singolo pezzo di musica, averne una percezione talmente profonda da renderlo ancor più di un automatismo esecutivo (per quanto brillante e perfetto, pur sempre un’automatismo): un appendice del proprio io. Peraltro, a differenza di molti artisti che sovente danno forfait, Sokolov è uno stakanovista: tiene sempre la parola data e è una costante e felicissima presenza dei programmi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.

Il recital che presenta in questo concerto è ordinatamente scandito: due tempi, due autori. Schumann e Chopin. La sala Santa Cecilia è gremita fino agli spalti – spettacolo insolito per un concerto non sinfonico: ma la fama di Sokolov lo precede da lontano! Primo tempo tutto dedicato a Schumann, dicevo. Incredibile il palpabile calore che Sokolov riesce a cavare dall’Arabeske op. 18; un calore sì borghese, ma anche romanticamente turbato. E vi riesce grazie al sapientissimo e dosato uso del tocco, scorrevole e vellutato nella coperta di note che avvolge la melodia quasi pudicamente scandita dalla destra. Sconvolge la semplicità con cui rende limpidamente naturali tutti questi sentimenti. Applausi già eccitatissimi. Kempff amava suonare questa Arabeske con una certa nonchalance, alternando momenti più spediti a momenti in rallentando; più sentimentale, intimistico Gilels; toccante la versione della Pires. Ma la naturalezza di Sokolov, forse, gli altri suoi illustri colleghi non la posseggono. Opera di più ampio respiro, la Fantasia op. 17 ci dimostra come Sokolov riesca a spaginare anche brani di carattere diegetico, epico: l’incipit del I movimento, tormentato e vorticoso, è comunque ricondotto a una tersa espressività sonora, la cifra più autentica di Sokolov assieme al suo impressionante controllo di ciò che suona; non che, poi, non riesca a caratterizzare perfettamente tanto una sezione dai toni quasi anticheggianti, ricca di tocco poetico, melodicamente lontano, a una pregna di sussulti emotivi più schiettamente romantici; la conclusione, con una nota lungamente tenuta a perdersi, è sublime. Piene volumetrie, chiaroscuri cangianti, caravaggeschi, trilli mozzafiato, incisività e pienezza negli accordi del tema principale: Sokolov è perfetto anche nella lettura del II movimento, trovando atmosfere più scanzonate fino al finale. L’ultimo movimento è il più trasognato: l’atmosfera languida che riesce a creare, nella prima parte, con il tema della destra così ben scandito, avvolto dall’accompagnamento della sinistra, franto, in tono piangente, è assolutamente poetica. La sinistra continua a ondeggiare, la destra su una barca inframmezza intermezzi lirici. Applausi a profusione: il pubblico non riesce quasi a smettere di applaudire Sokolov, che raccoglie umilmente gli applausi ma sempre in maniera defilata.

Ecco arrivare il secondo tempo: ed è subito Chopin. I due notturni dell’op. 32. Il Notturno n. 1 op. 32 è qualcosa di sublime: Sokolov lo rende un’esperienza superiore. Il russo riesce a dare una chiarezza argentina alla melodia, contornata da effetti pianistici dovuti al solo talento percussivo dell’esecutore: l’uso del pedale è quasi nullo e, dunque, il suono che respiriamo, l’atmosfera che Sokolov crea, è frutto esclusivamente del dosaggio mirabolante del tocco sonoro, con speciali effetti volumetrici e chiaroscurali. Che dire, poi, del Notturno n. 2 op. 32? Un’esecuzione naturale, schietta, genuina. I suoni sono turgidi come mature pesche, dolci al gusto uditivo. Siamo lontani da pretese di effetti più o meno sforzati, di tocchi talvolta ai limiti dell’udibilità. Tutto è suonato come se fossimo a casa con lui, nel salone di Sokolov, a sentirlo suonare dimessamente per noi, solo per noi. Una perfezione che lascia sconcerti per la sua naturalezza. Non può, chiaramente, che cambiar peso e senso sonoro nell’esecuzione della Seconda sonata op. 35. Non lesina certo sulla naturalezza, seppur con peso energico e ben scandito, nell’eseguire il tema del I movimento, virtuosistico e trascinante: con rara raffinatezza agogica, dosa i rallentando, i rubando, i vari colori, in nome di una assoluta fluidità. Lo Scherzo (II) è ben riuscito, soprattutto nel suo contrasto fra il tema d’apertura e il trio di delicato erotismo. La Marcia funebre (III) incede inesorabile: Sokolov crea effetti anche lugubri nel risalto dato ai rintocchi mortiferi, ma riesce a cambiare gradatamente colore per aprire al mondo quasi eroico della sezione in maggiore. Il piccolo notturno, che Chopin inserisce in questo movimento e che fa da cerniera alla ripresa della marcia, è eseguito a fil di suono: quanto pathos l’esecutore profonde, poi, nel finale. Impressionante la resa uniforme, monocolore, del fulmineo IV movimento, che scorre indifferente come l’acqua. Gli applausi sono inarrestabili: le richieste di bis piovono dovunque. E Sokolov non s’arrende al cimento. Ecco la terza parte del concerto – altra sua firma, per la gioia dei suoi fans: mi scuseranno i lettori, ma nell’estasi in cui mi ha lasciato il concerto rammento, ora, solo un bis, uno dei Moments Musicaux schubertiani (il n. 3 dell’op. 94).


 

 

 
 
 

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