L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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Nel furor delle tempeste

di Luigi Raso

Il pirata di Bellini, registrato a porte chiuse e proposto in streaming dal Teatro di San Carlo, sembra spronare a rinnovare la gloriosa tradizione belcantista del Massimo partenopeo. Nel cast Sondra Radvanovsky, Celso Albelo, Luca Salsi, Emanuele Cordaro, Francesco Pittari e Anna Maria Sarra diretti da Antonino Fogliani.

Streaming da Napoli, 5 febbraio 2021 - "Nel furor delle tempeste..." intona Gualtiero nella cavatina d’esordio de Il pirata di Bellini. E proprio nel fuor della tempesta che sta sconvolgendo vita artistica e programmazione di tutti i teatri è stato registrato al San Carlo e trasmesso in streaming dal 5 febbraio Il pirata di Vincenzo Bellini, primo grande successo al Teatro alla Scala del Cigno di Catania. L’opera su libretto di Felice Romani mancava al San Carlo addirittura dal 1834: nessuna rappresentazione nel corso del ‘900, secolo in cui, grazie alla riscoperta di Maria Callas e Montserrat Caballé, il titolo ha ripreso a circolare nei teatri con una certa frequenza. Peccato, dunque, che pandemia e limitazioni connesse consentano la riproposizione di un titolo così interessante e atteso soltanto in streaming sulla piattaforma MYmovies.it.

Il pirata, registrato lo scorso 16 gennaio all’interno del teatro vuoto, viene proposto in forma di concerto, seppur inframmezzato da poco pertinenti - e brevi, per fortuna! - inserti video.

A proposito dell’opera in streaming, la protagonista, il soprano Sondra Radvanovsky, nel corso di una video-intervista concessa a Repubblica.it durante la registrazione dello spettacolo, non ha nascosto di mostrare una visibile e grande commozione per “l’assenza e la mancanza del pubblico”, elemento essenziale e insostituibile della più complessa e affascinante forma di spettacolo partorita da mente umana, l’opera lirica.

Per il momento, dunque, non ci resta che accontentarci - attenzione a non abituarci! - di questa modalità di fruizione dell’opera, augurandoci che, passata la tempesta e tornati a sedere in teatro, il repertorio belcantistico diventi una costante della programmazione futura del San Carlo, teatro intimamente legato a quell’età aurea del melodramma, il cui palcoscenico e palchi hanno visto trionfi e tribolazioni di Rossini, Donizetti e, seppur soltanto agli esordi, di Bellini.

La scrittura vocale della parte del protagonista, il pirata Gualtiero, fu modellata da Bellini sulle corde vocali ed espressive del tenore Giovanni Battista Rubini; tuttavia, sul finire degli anni ’50 del secolo scorso, la forza dirompente dell’interpretazione di Maria Callas fu tale da ribaltare la gerarchia dei ruoli assegnando, de facto, a Imogene quello della protagonista. Il pirata, pur nella preziosità e nella estrema difficoltà della scrittura tenorile, nell’era d.C. (id est, dopo Callas; e, volendo, possiamo aggiungere anche dopo Caballè: pur sempre in epoca d.C. saremmo) è divenuto opera feticcio per i soprani.

E questa produzione ha l’onore di schierarne uno che conosce bene l’opera, avendola proposta nel 2019 a Parigi: Sondra Radvanovsky dà subito l’impressione di avere carte, note e fiati in regola per affrontare l’impervia parte ideata da Bellini per Henriette Méric-Lalande. Il soprano statunitense, al suo debutto sancarliano, canta tendenzialmente sempre bene, domina gli acuti lanciando sciabolate vocali di rara intensità, con la stessa spontaneità con la quale assottiglia e sfuma quando occorre; la linea di canto è ben sostenuta e pazienza se qualche suono grave è eccessivamente pompato e “di petto”, troppo alieno dalla purezza ideale della linea di canto che Bellini pretende e impone. Tuttavia, non è figlio di eccessiva pignoleria censurare una dizione oscura, probabilmente derivante da un’emissione a tratti eccessivamente “coperta” e da una non perfetta adattabilità dei notevoli mezzi vocali alla “parola scenica” (copyright di Giuseppe Verdi). Quella della Radvanovsky è una Imogene cantata bene sicuramente, con buon dominio della scrittura, in primis degli acuti che sono lame lucenti, ma dall’interpretazione poco sfaccettata e acuminata, la quale per gran parte della serata stenta a coinvolgere l’ascoltatore per carenza di varietà di accenti e di registri. Sin dal sogno di "Lo sognai ferito, esangue, in deserta, ignuda, riva..." Radvanovsky opta per una cifra interpretativa perennemente dolente, difettando, anche nei successivi duetti con Gualtiero e Ernesto, la passionalità derivante dall’amore mai sopito per Gualtiero. La sua è una Imogene troppo racchiusa nel proprio totalizzante dolore, che prosciuga la passionalità amorosa dalla quale la protagonista è pur dominata. In quella che costituisce la prima grande scena di pazzia del melodramma romantico "Oh! s'io potessi dissipar le nubi… Col sorriso d'innocenza" Radvanovsky, complici le meravigliose melodie belliniane, dà fuoco alle polveri interpretative, prendendosi la scena nel momento più alto e atteso dell’opera e trasmettendo una buona dose di empatia all’ascoltatore.

A Celso Albelo l’onore e soprattutto l’onere di sostenere l’infida scrittura vocale di Gualtiero: quella del tenore spagnolo è una prova in crescendo. Appare eccessivamente compassato nella cavatina "Nel furor delle tempeste", troppo timorosa nell’incedere la linea vocale, con sonorità eccessivamente nasaleggianti, tuttavia trova nello sfavillìo degli acuti le gemme di un timbro vocale di estrema suggestione e di un’impostazione vocale fondamentalmente solida e di grande eleganza. Migliora nel corso della rappresentazione, pur denotando un costante affaticamento nel sostenere e condurre la linea vocale nel registro medio e nella zona passaggio dal medio all’acuto, per trovare, invece, un liberatorio sollievo in acuti ben timbrati e ben tenuti. Dolente, prostrato, Albelo trova gli accenti migliori nella Scena e aria "Tu vedrai la sventuratadell’Atto II, cantata con stile elegante e appropriato e giusta accentazione.

Luca Salsi, invece, sfoggia la consueta baldanza vocale, voce ampia e ben timbrata: il suo è un Ernesto declinato forse eccessivamente secondo i canoni della virile scrittura verdiana, ma non per questo meno credibile e autorevole, anzi. Salsi cerca accenti, sfuma, dando vita a un Ernesto spavaldo, vendicativo e poi tormentato sin dalla cavatina "Sì, vincemmo, e il pregio io sento"; è, poi, intenso e perentorio nel duetto con Imogene "Tu m'apristi in cor ferita".

Molto bene le parti secondarie: solido e timbratissimo Goffredo di Emanuele Cordaro, preciso e convincente anche scenicamente - per ciò che una rappresentazione in forma di concerto consente - l’Itulbo di Francesco Pittari, accorata e dal timbro luminoso l’Adele di Anna Maria Sarra.

Antonino Fogliani dirige l’Orchestra del San Carlo con mano esperta, rivelandosi molto attento alle esigenze del canto; il direttore siciliano dimostra da subito di saper districarsi con sicurezza tra le insidie nascoste del belcanto, avendo un’idea ben precisa delle scelte dinamiche, dell’uso del rubato da distribuire con saggezza nel corso dell’opera, dell’impeto da conferire alle scene corali (ben articolata nella sua speditezza la Sinfonia, molto plastica nella propria irruenza romantica la tempesta iniziale).

L’Orchestra del San Carlo è in ottima forma in tutte le sezioni e poco male se un a solo denota una lampante imprecisione: ci dà l’illusione di essere a teatro, dove, a differenza di un asettico studio di registrazione, l’errore non è emendabile. È ormai tale la alienazione da ascolto in streaming che incominciamo a rimpiangere e apprezzare anche tutte quelle imperfezioni, grandi o piccole che siano, che fisiologicamente càpitano nelle recite dal vivo!

Bene anche il Coro della Fondazione, opportunamente distanziato, affidato alle cure di Gea Garatti Ansini: la compagine corale, al netto di qualche asprezza sonora della sezione femminile, assolve egregiamente al ruolo di co-protagonista, commentando le vicende, intercettando e amplificando gli stati d’animo dei protagonisti. Si fonde molto bene con l’orchestra nella tempesta che apre l’opera, una delle pagine più potenti del repertorio belliniano e anticipatrice di suggestioni sonori di là da venire.

Bellini, Donizetti e Rossini aspettano di veder rappresentate nel “loro” teatro proprie opere, anche le meno frequentate: tra le missioni del San Carlo - teatro che, grazie al fiuto e alla gestione illuminata di Domenico Barbaja, per quasi tutta la prima metà dell’800 era il re incontrastato dell’opera lirica - dovrebbe esserci, non appena riusciremo a “riveder le stelle”, anche quella di indagare alla luce delle odierne visioni esecutive e interpretative proprio quel repertorio della prima metà dell’ottocento tanto inscindibilmente legato alla storia e al patrimonio culturale del San Carlo e della città di Napoli.


 

 

 
 
 

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