L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Acque e danze

di Alberto Ponti

Juraj Valčuha torna sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale. In programma quattro titoli della prima metà del Novecento legati tra loro da reciproci motivi conduttori

TORINO, 12 maggio 2022 - È sempre un gradito ritorno quello di Juraj Valčuha all'auditorium 'Toscanini'. Il maestro slovacco, ormai decisamente affermato a livello internazionale e fresco di nomina a Music Director della Houston Symphony a partire da giugno 2022, sceglie un programma impegnativo e sfaccettato per il penultimo appuntamento della stagione Rai.

Nella prima parte il filo conduttore è la suggestione esercitata sui compositori dall'acqua. Da Haendel in poi l'elenco sarebbe lungo ma a aprire la serata è una pagina, spesso citata ma poco eseguita, di Jean Sibelius (1865-1957), il breve poema sinfonico Aallottaret (Le Oceanidi) op. 73. Nato quasi come cartone preparatorio alla Quinta Sinfonia, con la quale condivide senza dubbio alcune atmosfere, il lavoro scorre in fluidità, proprio come il mitologico elemento ispiratore, raggiungendo un climax e ritornando nella quiete iniziale della raffigurazione della calma marina. Valčuha gioca abilmente sul versante del timbro, differenziando con efficacia, anche da un punto di vista dinamico, i diversi piani sonori su cui è impostata la partitura, trasmettendo l'impressione del movimento e della guizzante vivacità delle onde, il profumo della salsedine. Qui risiede l'autentico Sibelius, non nella dialettica tra idee ma nella forza propulsiva ottenuta accoppiando in un unico respiro musica e natura, e chi non riesce nel restituire all'ascoltatore tale aspetto compie un peccato mortale.

Altro stile e altro mare in Benjamin Britten (1913-1976). Nei Four Sea Interludes op. 33a tratti dal capolavoro operistico Peter Grimes (1942-43) imperversano e cozzano tra loro sentimenti contrastanti. Il direttore slovacco fa emergere in tutta la cruda ruvidità non solo l'elemento popolaresco un po' rude in Sunday Morning o lo scatenarsi dell'oceano e l'infuriare dei venti in Storm, forse la più grandiosa e veemente rappresentazione di una tempesta in musica mai scritta, ma anche l'apparente pace di Dawn e la splendida visione notturna di Moonlight risultano venate di un'asciuttezza tutta novecentesca, lucide lame d'acciaio di paesaggi fiabeschi tese sui protagonisti aspettando il dispiegarsi del dramma. Il merito di Valčuha è liquidare tutti i residui di gentilezza impressionistica, di bozzettismo ambientale. Nonostante in concerto siano avulsi dal contesto dell'opera teatrale, in questi pezzi si respira la tragedia da capo a fondo e poco importa, nella chiassosa festa del villaggio, che assuma le mentite spoglie di una festa.

L'Orchestra Sinfonica Nazionale sfodera una prestazione di rilievo in ogni suo settore, scaldando i motori per un brano di difficoltà infernale, e dalla ricerca di effetti sonori per l'epoca inediti, quale la suite dal balletto pantomima Il mandarino meraviglioso op. 19 (1918-19) di Béla Bartók (1881-1945). Oltre alla straordinaria prova collettiva, un plauso deve in particolare essere tributato al primo clarinetto Enrico Maria Baroni, in un parte di notevolissimo virtuosismo e al limite delle possibilità espressive per lo strumento, chiamato a rappresentare le evoluzioni della danzatrice per adescare le vittime dei tre malviventi intorno ai quali ruota l'azione. Valčuha rende al meglio le infinite sfaccettature del pezzo, che potrebbe benissimo essere accostato al Sacre di Stravinskij per la concezione di pagine che non hanno ceduto in oltre un secolo nemmeno un grammo della propria attualità e carica visionaria. É ascoltando un'opera come il Mandarino che si pone in modo ineludibile il confronto con certe composizioni contemporanee. Vi è tanta magnifica musica dei primi due decenni del XXI secolo. Ma qualche volta, esplorando in profondità gli spartiti, viene spontaneo chiedersi che senso abbia considerare il non plus ultra dell'innovazione idee che autori del calibro Bartók avevano realizzato, e assai meglio, già negli anni dieci del Novecento. La platea ha seguito con autentico rapimento l'esecuzione, caratterizzata da un'attenta scansione dei tempi, dove nei passaggi di maggiore stratificazione ritmica non è mai perso il bandolo della matassa, fino al vorticoso inseguimento tra il Mandarino e la ragazza, con cui si chiude la suite, rappresentato formalmente da una geniale fuga.

Le stesse considerazioni potrebbero farsi per il finale della serata, con Maurice Ravel (1875-1937) e il suo poema coreografico La valse (1919-20), legato al brano precedente dal fatto di essere stato concepito in origine per la danza. Estrema perizia nel trattamento orchestrale e charme dell'eterno sogno del valzer declinato con una sensibilità tutta francese: ingredienti che, sotto una bacchetta sapiente come quella di Valčuha non mancano di suscitare il meritato entusiasmo di una folla numerosa.


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