L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il teatro e la vita

di Roberta Pedrotti

Gregory Kunde, Mariangela Sicilia, Claudio Sgura, Mario Cassi e Paolo Antognetti, con la direzione di Daniel Oren, sono i protagonisti della felice ripresa di Pagliacci con la regia di Serena Sinigaglia. 

BOLOGNA, 22 dicembre 2024 - Un mesetto fa, al Comunale Nouveau di Bologna, nel Werther di Massenet risuonavano le voci bianche con «Noël, Noël» [Bologna, Werther, 24/11/2024]. Oggi, alle porte delle festività, sul palcoscenico splende il «sole di mezz'agosto» a illuminare passioni e delitti nella ripresa del bell'allestimento dei pagliacci già visto nella sala del Bibiena cinque anni fa (sarà forse un refuso che in locandina fa apparire la definizione di «nuova produzione»?) [Bologna, Cavalleria rusticana/ Pagliacci al Comunale, 15-17/12/2019]. Facendo subito apparire in scena una troupe con regista e tecnici, Serena Sinigaglia ci dice subito che il metateatro è una scatola cinese: la recita di Pagliaccio, Colombina, Taddeo e Arlecchino è all'interno di un'altra rappresentazione che si specchia nel gioco di maschere del quotidiano. È vero che «il teatro e la vita non son la stessa cosa», ma nondimeno Shakespeare insegna che «Tutto il mondo è un palcoscenico, e tutti gli uomini e le donne solamente degli attori. Essi hanno le loro uscite e le loro entrate. Ognuno nella sua vita recita molte parti.» Il campo di grano dove tutto si svolge viene montato a vista: sappiamo perfettamente che è tutto finto, ma decidiamo di crederci, perché il teatro è una forma sublimata di verità.

A uno spettacolo collaudato, ben fatto, convincente, corrisponde la scelta sicura della bacchetta di Daniel Oren, sempre ruggente, energico, mobile nel fraseggio e ardente nello slancio melodico, ma anche capace di suggestivi spunti coloristici nel duetto Nedda/Silvio e, soprattutto, all'ingresso di Pagliaccio nella Commedia. Quella di Oren è senz'altro una lettura iper tradizionale, che non si propone di rivelarci illuminanti analisi e si punteggia semmai delle ben note esuberanze vocali, e tuttavia si anima di un indiscutibile istinto musicale e teatrale. L'orchestra del Comunale risponde con suono pieno e duttile e si fanno apprezzare i cori di adulti (direttrice Gea Garatti Ansini) e di voci bianche (direttrice Alhambra Superchi).

Nonostante qualche cambio in corsa per la parte del Prologo/Tonio/Taddeo, con la fuggevole apparizione poi sfumata in locandina di Luca Salsi, il cast promette e mantiene pure una solida riuscita. Mariangela Sicilia, in primis, è una Nedda eccellente, forte della sua bella sostanza lirica e dell'esperienza belcantistica viene a capo delle insidie di una parte che esige leggiadria e duttilità (si pensi agli acuti della ballatella o al finto settecento della Commedia) tanto quanto ardente carnalità. Essendo l'attrice non meno affinata della musicista, il personaggio emerge sfaccettato e tridimensionale. Nel duetto d'amore, le è ottimo partner Mario Cassi, un Silvio che coniuga il trasporto «E allor perché, di’, tu m’hai stregato» a una concreta virilità che ben rappresenta l'anelito di Nedda non solo alla passione e al sentimento, ma anche a una vita «calma e tranquilla».

Il Canio giustamente festeggiatissimo di Gregory Kunde merita una riflessione a sé. Il tenore statunitense fra un paio di mesi compirà settantun anni: il suo ruolo nella storia è indubbio, è indubbio il percorso quasi miracoloso che lo l'ha visto prima eccellente contraltino belcantista, poi preda di una feroce malattia e infine, tornato in salute, sorprendente baritenore e interprete del repertorio lirico spinto. L'affetto del pubblico è tutto meritato per la generosità dell'artista, la sua comunicativa e la sua finezza di musicista, versatile quanto raffinato. Tuttavia, è pure ben chiaro che lo scorrere del tempo comporti anche l'affievolirsi del vigore, qualche momento di stanchezza e sonorità meno perentorie. L'intelligenza di Kunde fa sì che, dove altri sarebbero tentati di compensare calcando la mano sull'effetto, si riveli vincente un gioco di sottrazione. Sotto il profilo strettamente vocale «No, Pagliaccio non so» può dirsi giocato in difesa, ma tale è l'intensa compostezza del cantante attore nel definire l'estrema sconfitta umana da far scordare lo spessore della singola nota. Un momento resta nel cuore, un piccolo istante, ma che dice tutto sulla statura di un artista al di là dell'anagrafe: «Adoro la mia sposa» con un accenno di baciamano a Nedda che fa balenare anche nell'inflessione della voce il «Datemi ancor l'eburnea mano» di Otello e provoca un brivido vero. L'intelligenza di Kunde che illumina i dettagli più ancora delle grandi arie (e non che queste siano trascurate, anzi) ci fa immaginare nei prossimi tempi un dosaggio sapiente della fine della carriera, senza trascinarsi oltre ai limiti ragionevoli. Per chi ha dato alla musica e al teatro ciò che ha dato lui non c'è davvero bisogno d'altro.

Prologo/Tonio/Taddeo per una sola recita, Claudio Sgura si trova senz'altro a proprio pieno agio in questo repertorio e regala momenti assai efficaci nel duetto con Nedda o nel finale primo, quando sibila a Canio come un vero Jago plebeo. Talvolta, però, forse proprio perché subentrato solo all'ultima replica, non sembra in perfetta sintonia con Oren e nella commedia si avverte qualche sfasamento.

Paolo Antognetti è come sempre un elemento prezioso per camei come quello di Beppe/Arlecchino. I due contadini sono interpretati da Sandro Pucci e Francesco Amodio.

La rinuncia a proporre Pagliacci in dittico con un altro titolo breve, come da tradizione, induce il Comunale a “far serata” dilatando lo spettacolo con un intervallo che dura in pratica quanto la seconda parte: è pur vero che formalmente l'opera di Leoncavallo consta di un prologo e due atti, ma di fatto fluisce come un corpo unico e l'idea di interromperlo (già realizzata, per esempio, a Parma lo scorso anno: Parma, Pagliacci, 05/05/2023) porta a riflettere sui tempi di fruizione odierna del teatro musicale. Ma se qui si tratta di un'evoluzione anche dei ritmi di vita, di certo merita un serio ragionamento quel che concerne la formazione e la consapevolezza del nuovo pubblico che si attrae in sala. Dal punto di vista quantitativo il risultato è stato ottimo, con una sala piena e applausi prolungati. Tuttavia, fra i neofiti che si spera di rivedere all'opera si riconoscevano anche molti spettatori casuali pronti a recare più disturbo che altro. Ne è un esempio la famiglia che (forse pensando che Pagliacci indicasse uno allegro spettacolo circense natalizio) ha lasciato scorrazzare i pargoli e insolentito un abbonato comprensibilmente spazientito. Il teatro è un luogo aperto a tutti, non deve incutere timore e deve accogliere l'appassionato di lunga data come il curioso alla prima esperienza, ma proprio per questo merita rispetto.

Novara, Cavalleria rusticana / Pagliacci, 12/05/2024

Milano, Cavalleria rusticana / Pagliacci, 28/04/2024

Parma, Pagliacci, 05/05/2023

Roma, Pagliacci, 15/03/2023

Macerata, The Circus / Pagliacci, 05/08/2022

Cagliari, Pagliacci, 23/06/2022


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