L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

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La virata nei criteri, seppur piuttosto timida e con molti elementi di criticità, arriva con le linee guida del Decreto Legge “Valore Cultura” di Bray, ministro che ha saputo coniugare modi di fare apparentemente ecumenici con qualche idea di radicale discontinuità rispetto all’imperare burocratico di certi ambienti ministeriali, e difatti è stato prontamente defenestrato alla prima occasione utile. Il cambiamento più radicale è l’eliminazione dai criteri di ogni riferimento al costo storico, anche nella sua riformulazione basata sulle piante organiche; il passaggio da questa eliminazione di un elemento di valutazione scriteriato alla valorizzazione di aspetti quanti-qualitativi è più complesso e spinoso.

Secondo i nuovi criteri, a parte un transitorio di tre anni nei quali si ripartirà preliminarmente il 5% (del 47% dell’intero FUS) in parti uguali fra i teatri con gli ultimi tre conti esercizio in attivo (il pervicace impegno nell’ottenere forzatamente un commissariamento per la Fondazione Teatro Massimo comporterà alla stessa sul versante 5% minori introiti compresi tra i 2 e 3 Mln di euro all’anno!), la ripartizione avverrà per il 50% (art. 2 lett. a) su base quantitativa (il criterio dei borderò per tipologia che nel criterio precedente vigente pesava per il 25%), per il 25% (art.2 lett. b) sulla base della capacità di aumentare il valore della produzione a prescindere dal contributo statale ottenuto e per il complementare 25% (art. 2 lett. c) sulla base della qualità.

E allora abbiamo fatto una simulazione di ripartizione virtuale sui dati del 2012 con i nuovi criteri, per vedere cosa rischia di accadere nell’immediato futuro, confrontando la distribuzione realmente effettuata con quella virtuale; prima di proporla, però, occorre qualche commento sui tre sottocriteri.

Nel sotto-criterio “quantitativo” (che peserà per un bel 50%), occorre osservare come l’attribuzione dei punti in relazione al genere di spettacolo è operata dalla singola fondazione che, comprensibilmente, tende ad essere generosa con sé stessa; ebbene, non è previsto alcun controllo dal Ministero sicché se qualcuno programmasse una trentina di esecuzioni di un madrigale di Monteverdi dichiarando più di 45 elementi (cosa evidentemente ridicola) potrebbe anche auto-attribuirsi 6,5 punti a recita anziché 2; più o meno tutte le fondazioni, da quando esiste questo criterio “quantitativo”, hanno manifestato una tendenza al “puntinismo” nella loro programmazione, che certamente pone innumerevoli ambiguità al momento di operare la classificazione del genere per l’auto-attribuzione del punteggio. Ovviamente il problema sarebbe risolto se, cartellone alla mano, la classificazione fosse operata da una stessa Commissione per tutti (nella speranza che i membri sappiano la differenza tra l’organico per un madrigale monteverdiano e quello per Götterdämmerung).

Il sotto-criterio “gestionale” è volto a premiare chi sa essere produttivo con l’incasso al botteghino e è particolarmente efficiente nel reperimento di soldi da privati (non a parole e conferenze stampa, qua si ricorre ad un rapporto matematico dove la capacità oratoria è ininfluente!) ossia nel fundraising e nel crowdfunding, per dirla con parole alla moda. Di grande accortezza e certamente da lodare è l’esclusione nel computo degli “incrementi di immobilizzazioni” che sono un trucchetto di bilancio (perfettamente legale, ma non prudenziale) per conseguire risultati economici positivi, a prezzo di una diminuzione di liquidità e aumento di indebitamento (la tecnica contabile, piuttosto geniale, sarà illustrata con esempi pratici nella prossima puntata, giacché la realtà supera ogni immaginazione), tuttavia non si può non segnalare uno squilibrio nell’avvantaggiamento economico all’Arena di Verona che, in assenza di una misura correttiva, valorizza in maniera abnorme i suoi incassi al botteghino molto superiori agli altri teatri per specificità del suo spazio monumentale all’aperto.

Il sotto-criterio “qualitativo” è un terreno ancora più spinoso per tante ragioni; intanto perché non sono stabiliti i metodi che la Commissione ministeriale dovrà seguire per procedere con valutazioni ovviamente discrezionali, e poi anche la scelta degli elementi sui quali si articola la “qualità” (e dei rispettivi sub-pesi, elencati nella seguente tabella) appare non molto in sintonia con il vero concetto di qualità (si registra una sorta di copia e incolla con gli elementi di qualità del DM 2007, con qualche modifica – non certo migliorativa – di cui diremo in seguito).

04 DM 2014 Tabellino


 

 

 
 
 

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